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Il senso dei musei per il digitale

  • Pubblicato il: 14/02/2017 - 02:00
Rubrica: 
CULTURA DIGITALE
Articolo a cura di: 
Massimiliano Zane

Dal gioco tutto italiano “Father and Son" fino alla realtà aumentata all'Ara Pacis di Roma o alla piattaforma digitale europea “Pluggy”, la cultura si fa sempre più un co-racconto multidisciplinare. Ma qual è l’impatto del digitale sulle politiche e sulle pratiche delle organizzazioni culturali?

Dalla realtà aumentata agli allestimenti cros-disciplinari, dal digital storytelling al social gaming, dall'accessibilità alla didattica multimediale, fino ai contest digitali ed al turismo emotivo, le dinamiche di gestione, accesso e promozione di ogni attività nel settore culturale sono in continua evoluzione. Un incremento tecnologico che ha cambiato tanto i nostri rapporti interpersonali quotidiani quanto gli approcci all'arte ed ogni forma di esperienza di visita, memoria e conoscenza culturale.

Ed è proprio in questo panorama, in cui tutto -o quasi- si può sperimentare, che si inserisce, il videogame “Father and Son” (www.fatherandsongame.com ): il primo videogioco a tema storico-culturale interamente realizzato con e per un museo archeologico italiano. Nato dalla collaborazione tra il MANN-Museo Archeologico Nazionale di Napoli e TuoMuseo, "Father and Son" è il primo esempio in Italia, e tra i primi al mondo, di un museo che diventa publisher di un videogioco, portando dallo “storytelling” allo “storydoing” la propria comunicazione.
Parte integrante del “Piano Strategico 2016-2019” del MANN, nel quale era stata già indicata l'esigenza di arrivare a nuovi pubblici attraverso la tecnologia e la rete in una prospettiva di audience engagement, “Father and Son”, attraverso una pioneristica esperienza narrativa che pone al centro il protagonismo ed il coinvolgimento del fruitore, è in tutto e per tutto un nuovo modo di raccontare il museo. Attraverso un'inedita connessione con il pubblico “Father and Son rappresenta una nuova forma di contaminazione, una straordinaria avventura digitale che ci farà dialogare con nuove tipologie di utenti e migliaia di potenziali, nuovi visitatori” (Ludovico Solima).
Ma l'idea di espandere le occasioni di coinvolgimento di vecchi e nuovi pubblici della cultura nasce da lontano: in principio furono i famigerati open data, come “Art Project” di Google, a spronare i musei a “prestarsi” all'innovanzione, tant'è che oggi sono gli stessi musei, come il Rijksmseum di Amsterdam ( https://www.rijksmuseum.nl/en/rijksstudio ) ad incoraggiare le persone a scaricare, riprodurre, modificare e giocare con le opere e manufatti delle proprie collezioni.
Poi vennero i supporti mobile e le Apps: da quelle più comuni capaci di offrire contenuti e informazioni extra, si è passati a quelle attraverso cui i visitatori possono porre domande a direttori e curatori in tempo reale, come Martmuseumbot del MART di Rovereto per Telegram; o a quelle in uso al MET che, incorporando anche la tecnologia GPS, aiutano i pubblici a progettare anticipatamente il loro percorso di visita; o ancora a quelle in uso al MoMa o al Guggenheim a NY che, attraverso Bluetooth e i-Beacons, non solo sono in grado di monitorare come i visitatori si muovono tra sale e gallerie ma che anche, grazie ai “Place Tips”, permettono di ricevere automaticamente contenuti geolocalizzati inerenti allo stesso museo direttamente sui propri profili social, semplicemente passando nei pressi della struttura.
O ancora con supporti tecnologici “speciali”, come con “Gallery One - Collection Wall”, il più grande multi-touch screen negli USA, presso il Cleveland Museum of Art, o il progetto “After Dark” presso la Tate Britain, in cui è possibile visitare il museo a distanza e a porte chiuse attraverso gli “occhi digitali” di un robot (similmente al progetto italiano “Virgil”); o con il progetto danese “Be My Eyes”, o le stampanti 3D ed i rilievi 3D, che offrono la possibilità di creare e riprodurre fedelmente intere gallerie in 3D sia online che fisicamente, rendendo arte, musei ed archeologia ancor più fruibili da tutti i tipi di pubblici, offrendo nuovi modelli di accessibilità. Esempio ultimo questo di una irreversibile “contaminazione” cultural-hitech capace di far dialogare davvero humanities e science che, andando (ben) oltre il fenomeno PokemonGo e le mostre Instagram-Frendly, ci rivela che i musei sono vivi e più vitali che mai.

Dopotutto “La dimensione digitale consente possibilità partecipative che vanno a scardinare la natura tradizionalmente binaria dell’esperienza culturale fornendo opzioni «incrementali», «differite» o «laterali» di partecipazione e fruizione” (Davide Beraldo): come ritroviamo nella realtà aumentata di “Ara com'era”, all'Ara Pacis di Roma che offre come mai prima d'ora un racconto multimediale totalmente immersivo e multisensoriale; o quella virtuale offerta da Smithsonian e British Museum, in cui le opere d'arte interagiscono tra loro e coi cambiamenti dell'ambiente circostante (dalla luce alle stagioni) offrendo “qualcosa” di diverso ad ogni visita; o ancora con il viaggio virtuale tra Pompei ed Ercolano visto al MAV, o con le proiezioni olografiche e gli ologrammi interattivi 3-D dell'Holocaust Memorial di Washington D.C, in cui i sopravvissuti alla Shoah accompagnano i visitatori e rispondono alle loro domande.

Un'evoluzione a ritmo continuo, dunque, e che guarda tanto al potenziale creativo ed espressivo tecnologico, quanto a quello collettivo del pubblico; che spinge ogni istituzione non solo ad un costante adeguamento, ma anche allo sviluppo di nuove strategie concepite e programmate per un incremento crescente del livello qualitativo delle modalità di coinvolgimento dei propri pubblici. Implementare ogni sorta di informazione e partecipazione, quindi, ma anche apprendere e parlare nuovi linguaggi, anticipare cambiamenti, trend e bisogni delle proprie audiences per sviluppare interconnesioni, multidisciplinarietà e nuovi percorsi di narrazione: la cultura diviene sempre più una galassia comunicativa e formativa che si fa multidisciplinarietà attiva e creativa, in un processo strategico per la valorizzazione (anche economica) delle proprie risorse.
Una cultura che avanza in termini di ricerca, di sperimentazione e di condivisione per co-progettare, co-produrre e co-generare nuove logiche, formule e metodologie di valorizzazione; che guarda con efficacia tanto allo sviluppo di un buon engagement, quanto ad una corretta promozione del proprio V.A.C. -Valore Aggiunto Culturale- relazionale: elemento economico e sociale che ancora in un recente passato era considerato “collaterale”, e che oggi, invece, anche grazie proprio all'effetto connettivo del digitale, è sempre più elemento fondativo di un'architettura sociale che vuol dirsi realmente integrata e consustanziale.

In questo senso, e non a caso, la stessa Commissione Europea individua proprio nell’accesso alla cultura attraverso il digitale uno dei maggiori temi strategici del prossimo sviluppo (anche economico) dell'intera Unione. Lo dimostrano gli innumerevolo bandi di finanziamento aperti già in questo inizio 2017, sia in seno a H2020 - "Participatory approaches and social innovation in culture" (https://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/h2020/topics/cult-coop-06-2017.html ) - che nel settore cultura di Europe Creative - “Call for Platforms active in Cultural and Creative sectors” ( eacea.ec.europa.eu/node/1773). Oppure ancora con i progetti Europeana ( http://www.europeana.eu/portal/it ) e Pluggy ( http://www.pluggy-project.eu/ ) una nuova ed inedita piattaforma comunitaria virtuale, basata su contenuti crowdsourcing e che risponde alla necessità della società europea di essere coinvolta attivamente nelle attività riguardanti il proprio patrimonio culturale. Per una cultura della cultura sempre più rinnovata nella sua stessa essenza, ma che ci si augura che, in questa rincorsa al futuro, non smarrisca mai la propria (nostra) identità.

© Riproduzione riservata

Massimiliano Zane, Progettista Culturale, consulente strategico per lo sviluppo e la valorizzazione del patrimonio.

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