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FOCUS FOTOGRAFIA: Appunti per una nuova Cultura della fotografia (parte 2/4)

  • Pubblicato il: 10/08/2017 - 10:34
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

MiBACT per la fotografia: nuove strategie e nuovi sguardi sul territorio. Lorenza Bravetta, Consigliere del Ministro Dario Franceschini per la valorizzazione del patrimonio fotografico nazionale, ha varato un intenso programma di confronto, con un ciclo di conferenze itineranti che ha seguito la convocazione ad aprile degli Stati generali della fotografia: Reggio Emilia, Palermo, Milano, come Senigallia, Torino. L’obiettivo del percorso capillare di dibattito e confronto con gli addetti ai lavori  è definire un piano di sviluppo strategico -le linee guida, i temi di policy, gli ambiti di intervento prioritario- ,per adattare l’intervento pubblico alle mutazioni tecniche ed economiche del settore, determinando nuove opportunità per la fotografia italiana a livello nazionale e internazionale. Restituiamo il flusso di ascolti che abbiamo realizzato per l’incontro di Milano che abbiamo moderato su fotografia tra documento sociale ed espressione artistica. Ne parliamo con Walter Guadagnini che dirige la Fondazione Camera- il Centro per la fotografia torinese e con l’artista Francesco Jodice. “Qual è il distinguo tra l’azione  documentale e  quella artistica? L’artista che usa la fotografia restituisce un dubbio, ė interessato alla costruzione di una domanda ben formulata da condividere. Una domanda che genera partecipazione
 


Walter Guadagnini, la fotografia di reportage finisce nel flusso delle immagini, i lettori e il pubblico girano pagina e cambiano canale. E’ vero?  L’arte può fare di più per coinvolgere il pubblico sui grandi temi del tempo presente?
La fotografia di reportage è in trasformazione: è un racconto, anche con più linguaggi, che consente di cogliere situazioni complesse, ma le immagini iconiche dei grandi eventi degli ultimi anni, le immagini della cronaca che diventa storia, non sono state scattate da fotoreporter, ma da dilettanti con in mano un telefonino, che si trovano dove il fatto accade e ne sono spesso protagonisti in prima persona. Pensa a casi come Abu Ghraib, o alle Primavere Arabe.
Quello che alla fine però conta da un punto di vista della comunicazione è la capacità di creare l'icona, a prescindere dalle intenzioni e dalle etichette disciplinari. Pensiamo alla barca sul lago deserto di Aral del progetto Citytellers di Francesco Jodice. Ai migranti sulla pista di volo, sulla scaletta dell’areo senza aereo, verso il nowhere di Adrian Paci, non sono fotografie di cronaca, ma valgono come simboli, metafore, intorno ai temi della cronaca, non ne sono descrizione né commento, sono immagini in cui si concentrano diverse suggestioni, che comunicano senza raccontare, ma comunicano, anche senza bisogno della didascalia esplicativa.
L’arte può rompere il rumore di fondo. Un esempio. Richard Mosse qualche anno fa ha realizzato un lavoro straordinario su una guerra quasi totalmente ignorata che prosegue da anni in Congo,  tutto girato con una pellicola particolare che rendeva il tono dominante delle immagini un fucsia lisergico , una visione assolutamente straniante, tra video e fotografia , nel quale non sapevi se essere affascinato o terrorizzato dalle immagini, bellissime e violentissime. Dopo molti anni di silenzio si presenta oggi con un lavoro  nuovo  sui  migranti, fatto con strumenti ad uso militare che leggono il cambio di temperatura della pelle. Anche queste sono immagini ahimé bellissime , lunari. Mosse accetta come artista la sfida di raccontare ciò che oggi è irraccontabile, ma la forte critica che gli viene mossa è sull’estetizzazione del dolore, la stessa accusa indirizzata a Salgado trent’anni fa. E' un tema cruciale, intorno al quale servono forse ancora delle riflessioni, perché è una strada aperta tra la banalizzazione della cronaca e l'ermetismo di tanta fotografia e arte contemporanea. In fondo questo approccio fa vedere e  pensare a temi che altrimenti rifiuteremmo.
Si tratta in ogni caso di un lavoro lento, che ha bisogno di tempi lunghi di realizzazione, più meditativo, che arriva comunque a meno persone,  ma che forse rimane più nella memoria, nel momento in cui l'immagine riesce a diventare qualcosa di realmente diverso dai milioni di immagini prodotte quotidianamente.  
Queste riflessioni valgono per il pubblico dei Millennials?
Secondo me per parlare ai giovani occorrono altre narrazioni,  che passano da altri canali,  del web, dai blog. E' un problema di come si accede alle immagini, e di come questo accesso modifichi il rapporto stesso con le immagini. 
 
 Cosa ne pensa Francesco Jodice,  artista-fotografo, citato da Gudagnini, che ha recentemente avuto uan mostra personale a Camera. Ha senso utilizzare questa definizione?
 
Le definizioni mi rendono sospettoso. Un artista è un artista, punto e basta. In inglese gli artisti che seguono questa linea di ricerca vengono definiti come lens based artists, termine che in italiano non ha traduzione: artisti che si basano sulla tecnologia, sui media “delle lenti”, ovvero fotografi, film e video maker, tecnologie mediatiche storicamente molto prossime al documentale, prima che all'arte.
 
Ma qual è il distinguo tra l’azione  documentale e  quella artistica?
A mio avviso la questione potrebbe risultare priva di senso. Un artista, a prescindere dai linguaggi, potrebbe avere “una intenzione" e rivolgersi a tematiche politiche o sociali.  Alfredo Jaar ne è un ottimo esempio, ma questo non ha alcuna  relazione con il fatto di essere legato a dei media come la fotografia e il filmaking.
Ci sono  artisti significativi le cui azioni artistiche possono essere definite politiche e sociali, che magari usano la fotografia, le mappe, performance, scultura,  tessono,  scrivono,  dipingono, artisti come Adrian Paci, Santiago Sierra, Marjetica Potrc o Edi Rama.
Penso che non ci sia nessuna relazione, in arte, tra le tecnologie lens based e l'attenzione sociale, dell’artista impegnato, vi sono ottimi artisti che usano la fotografia e sono socialmente disimpegnati.
I fotografi sociali,  quelli del reportage, come Sebastiao Salgado, Josep Koudelka, gli italiani Paolo Pellegrin, Alex Majoli, hanno  una  naturale attenzione verso le questioni  politiche ed è probabilmente una delle motivazioni per cui hanno scelto il media della fotografia per esprimersi nel loro habitat culturale di riferimento: la comunicazione, il giornalismo, il racconto, il reportage.
Dal mio punto di vista,  tra Sebastiao Salgado, ottimo fotogiornalista e Alfredo Jaar, artista che si occupa con la fotografia di questioni politiche, non percepisco alcun punto di contatto, ma probabilmente ė solo una mia illazione.
 
Quali sono  le grandi differenze tra un reporter che si occupa di questioni sociali e un artista interessato a questa ricerca?
Il reporter è una persona molto sensibile, non necessariamente un intellettuale, che viaggia verso luoghi nei quali il fatto, il fenomeno, è già accaduto. Il fotografo artista, dal mio punto di vista, ė interessato a una proiezione una forma di previsione, magari sbagliando, di quello che accadrà.
Il fotografo reporter restituisce un'immagine emblematica, iconica, spesso leggibile a molti su di un livello comune.
L’artista che usa la fotografia restituisce un dubbio, ė interessato alla costruzione di una domanda ben formulata da condividere piuttosto che ad una risposta semplificata del fenomeno. Una domanda che genera partecipazione.

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