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Alternanza scuola-lavoro: ecco perché potrebbe essere una straordinaria occasione di accessibilità al patrimonio culturale

  • Pubblicato il: 15/04/2016 - 23:22
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Francesco Mannino

Da quest'anno parte il programma per la integrazione, anche nei licei, dei programmi curricolari con il mondo del lavoro. Musei e istituzioni culturali sono chiamati a stipulare convenzioni con le scuole, per ospitare gli studenti e coinvolgerli nelle loro attività: una opportunità di audience engagement da cogliere subito
 
 
 
L'educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l'arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell'educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d'intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d'imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti.
Hannah Arendt, Between Past and Future
 
 
 
Con la LEGGE 13 luglio 2015, n. 107 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”, ma meglio conosciuta come “La Buona Scuola”, il Governo in carica ha messo in moto una riforma complessiva del sistema formativo, con uno sguardo strutturato al “dopo” ovvero al mondo del lavoro con cui i ragazzi si confronteranno una volta concluso il ciclo delle secondarie di secondo grado.
L'unico articolo della legge (Art. 1) manifesta al Comma 33 la necessità «di incrementare le opportunità di lavoro e le capacita' di orientamento degli studenti», attuando pertanto percorsi di alternanza scuola-lavoro negli istituti tecnici e professionali (per una durata complessiva di almeno 400 ore) e nei licei (per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio). I percorsi di alternanza sono inseriti nei piani triennali dell'offerta formativa (PTOF), il nuovo strumento che prevede un tempo più ampio di pianificazione rispetto al tradizionale piano annuale, il vecchio POF.
Oltre al PTOF, la grande novità con cui si stanno confrontando da alcuni mesi tutti gli attori che gravitano attorno o dentro mondo scolastico è proprio l'estensione operativa dell'alternanza scuola-lavoro ai licei di ogni ordine (anche se già prevista dal DL 77/2005, e poi ribadita nel con il DPR 89/2010), istituti che non erano abituati a porsi questioni di collaborazione duratura e continuativa con enti esterni per programmi finalizzati ad incrementare il rapporto degli studenti con il mondo del lavoro. Il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca ha prodotto una “Guida operativa per la scuola”  che aiuta ad orientare dirigenti e professori nella gestione di questo passaggio delicato.
In questo contesto un'altra novità rilevante è l'indicazione esplicita (Comma 40) in merito al fatto che i dirigenti scolastici possano stipulare convenzioni «con musei, istituti e luoghi della cultura e delle arti performative, nonché con gli uffici centrali e periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo» al fine di soddisfare le esigenze previste dall'alternanza. Ma su questo aspetto, centrale per il presente contributo, torneremo tra poco.
Attorno alle attività di alternanza si è sviluppato un intenso dibattito (in realtà ormai longevo, a partire da precedenti riforme della scuola) che in alcuni passaggi ha focalizzato l'attenzione sul rischio di una deriva aziendalista della formazione secondaria, in altri sul pericolo che i ragazzi si possano trovare a sostituire gratuitamente manodopera altrimenti onerosa per le aziende (grazie anche ad alcune vicende giudiziarie che hanno evidenziato distorsioni del ricorso all'alternanza), in altri ancora che le attività di alternanza sottraggano tempo prezioso ai programmi curricolari, o che – non meno importante – gli studenti si trovino a svolgere attività inutili per la loro formazione individuale. Ricordiamo che nel DL 77/2005, il primo decreto che istituì l'alternanza,  le finalità individuate erano le seguenti:
 

  1. attuare modalità di apprendimento flessibili e equivalenti sotto il profilo culturale ed educativo, rispetto agli esiti dei percorsi del secondo ciclo, che colleghino sistematicamente la formazione in aula con l'esperienza pratica;
  2. arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l'acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro;
  3. favorire l'orientamento dei giovani per valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali;
  4. realizzare un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e la società civile, che consenta la partecipazione attiva dei soggetti […] nei processi formativi;
  5. correlare l'offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio.

 
Oggi, con la Legge 107/2015, l'alternanza è un obbligo formativo ed è necessario farci i conti: le esperienze degli istituti tecnici prima, e quelle dei licei a partire da quest'anno, saranno indispensabili per valutare questi primi anni ed eventualmente proporre integrazioni e modifiche. Quello che si intende mettere in luce con questo contributo è un aspetto che non emerge ancora molto dal dibattito sull'alternanza scuola-lavoro, ovvero l'opportunità che essa costituisce per le istituzioni culturali, pubbliche e private, di lavorare su un segmento di pubblico storicamente critico per i luoghi della cultura: gli adolescenti. E' risaputo infatti, e Il Giornale delle Fondazioni se ne è già occupato, che solo negli ultimi anni (in pochi casi, qualche decennio) le organizzazioni culturali si stanno ponendo quesiti in merito all'efficacia del loro operato nei confronti dei minori in generale, ma soprattutto verso la specifica età cognitiva di pre-adolescenti e adolescenti, quella che maggiormente instaura un rapporto di disinteresse o in alcuni casi di conflitto con istituzioni e luoghi come i musei (Bollo, Gariboldi, 2008). Vetustà, chiusura, normatività, lontananza, conflitto o addirittura sovrapposizione con la scuola: è questa la percezione spesso espressa dai ragazzi nei confronti di istituzioni che faticano a farsi domande (e a trovare risposte) su come comunicare efficacemente le proprie “testimonianze materiali e immateriali”  a scopo di studio, istruzione e diletto, rimanendo “al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico” (ICOM, 2004). Proprio l'ICOM, come istituzione di riferimento, con la sua Commissione Educazione e Mediazione invita di continuo i dirigenti e gli operatori museali a lavorare sul tema, citando tra le altre un'importante iniziativa del Ministero per le Attività e i Beni Culturali e il Turismo (Newsletter marzo 2016, p. 1), ovvero il Piano nazionale per l'Educazione al patrimonio culturale, anch'esso già trattato in queste pagine. Il Piano del MiBACT fa riferimento alle attività di alternanza scuola-lavoro, riflettendo sul fatto che «Il ruolo formativo del patrimonio culturale trova un’ulteriore declinazione nella possibilità di contribuire alla definizione del curriculum dello studente o nelle attività di formazione aggiornamento dei docenti. Le innovazioni introdotte da questa riforma riconoscono implicitamente il ruolo del patrimonio culturale (con un maggiore accento posto sui musei) quale luogo di formazione».
L'obbligo dei ragazzi di svolgere le attività di alternanza sui tre anni presso istituzioni e organizzazioni culturali che diventano partner della loro scuola, insieme alla possibilità di costruire progetti che rispondano alle linee programmatiche del PTOF e che quindi abbiano una durata e un tempo di azione di lungo termine (se assumiamo in 5 gli anni dell'istruzione superiore), sono ingredienti che consentono al partenariato «scuola-organizzazione culturale» di lavorare con serietà sull'efficacia degli interventi, concorrendo a superare quella inevitabile asimmetria tra la durata media dei progetti culturali e i processi di sviluppo che hanno chance di produrre impatti sociali profondi e duraturi, di cui Luca Dal Pozzolo ragionava nel Rapporto Symbola 2014 (p. 248).
Perché il “problema” che i musei hanno con i ragazzi non può essere affrontato solo dal punto di vista dell'edutainment, ovvero trovando forme di intrattenimento che alleggeriscano i contenuti rendendoli più potabili, quanto ponendosi anche domande su quei processi di engagement e partecipazione dei ragazzi che possano attivare in loro curiosità, la socializzazione, fino alla costruzione di contenuti e attività. L'alternanza scuola-lavoro pertanto non aumenterà l'efficacia del potenziale educativo dei luoghi della cultura solo perché costringerà fisicamente tanti ragazzi a passare del tempo in un museo o in una biblioteca, quanto perché consentirà alle organizzazioni culturali di strutturare programmi inclusivi che mettano al centro i ragazzi, i loro bisogni e i loro desideri, e sovrapponendo tutto ciò con la missione intrinseca dell'organizzazione.
E' una sfida che sta già comportando – laddove viene interpretata come tale – riorganizzazioni profonde non solo negli istituti scolastici ma anche nelle istituzioni ospitanti, che devono programmare su tempi assai lunghi, mettere a disposizione personale dedicato ed esperto, attrezzature, spazi e attività: ovvero risorse, umane e finanziarie. Esistono ancora delle criticità che le scuole stanno rilevando e inoltrando come quesiti al Ministero, come le modalità di impiego delle risorse economiche a disposizione, l'accreditamento delle strutture ospitanti (con una notevole confusione presso le Camere di Commercio che dovrebbero attivare le sezioni del Registro nazionale per l’alternanza scuola lavoro, non sempre presente), la distribuzione delle attività e la loro integrazione con le lezioni. Ma, più di tutte, la criticità maggiore è il rischio che, se non adeguatamente orientata e gestita, l'alternanza presso le organizzazioni e istituzioni culturali sia una opportunità mancata, magari riempita con passive e noiose permanenze presso le sale di un museo, o con l'esecuzione di scarne illustrazioni a ripetizione dei reperti in esso contenuti. Le istituzioni culturali svolgono quotidianamente diversi compiti e realizzano diverse attività, sia verso il pubblico che in back office: messe in scena, prove teatrali, scenografie, mediazione archivistica e bibliotecaria, servizi educativi, accoglienza, comunicazione e marketing, progettazione, programmazione, e molto altro ancora. Tutte attività che necessitano di altrettanti professionisti del patrimonio culturale, nonché potenziali terreni di coinvolgimento attivo dei ragazzi durante il percorso di alternanza, non solo per «l'acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro» (summenzionate finalità del DL 77/2005) ma anche, e soprattutto, per stimolare e valorizzare «le vocazioni personali» (e sociali, suggerirei). Insomma, una occasione ghiotta si presenta all'appello di quella progettazione culturale che vede nei luoghi della cultura uno strumento per contribuire alla domanda diffusa di coesione sociale: ancora grezza, ma potente, forse capace di offrire agli adolescenti dei nostri territori una opportunità di partecipare attivamente a quelli che rimangono, nella maggior parte dei casi, beni della collettività di cui essi fanno parte, e probabilmente istituzioni in cui potrebbero un domani andare a lavorare. In ogni caso, potenziali luoghi di socialità.
 
 
Bibliografia:
BOLLO A., GARIBOLDI A., Io non vado al museo! In BOLLO A. (a cura di) I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche, FrancoAngeli, 2008.
DAL POZZOLO, L., Cultura come driver di sviluppo territoriale, in Io sono cultura, L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, Rapporto 2014.
GASCA E., Musei vs giovani nelle politiche di audience engagement. Buone pratiche per un coinvolgimento attivo di adolescenti e giovani, in "Il Giornale dell’Arte/Fondazioni", 2014.
GASCA E., Educazione al patrimonio: accessibilità, partecipazione e cultura digitale, in "Il Giornale dell’Arte/Fondazioni", 2016.
 

 
Didascalie:
Ragazzi della 4D del Liceo Statale G. Lombardo Radice in alternanza scuola-lavoro presso il Monastero dei Benedettini di Catania, con Officine Culturali