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STREET ART DI COMUNITÀ: BLU (E GLI ALTRI) A LIBRINO

  • Pubblicato il: 14/06/2016 - 16:48
Rubrica: 
PAESAGGI
Articolo a cura di: 
Francesco Mannino

Conosciuto dai più perché annoverato tra le cosiddette periferie degradate, in compagnia di Scampia e dello Zen, Librino è una città nella città, che da solo ospita un quarto della popolazione di Catania. 80 mila abitanti in quella che doveva essere per l'architetto Kenzo Tange una esemplare città satellite degli anni settanta, dove sono stati realizzati esperimenti d'arte sociale come “La porta della bellezza” di Antonio Presti: ma il quartiere combatte ancora per la sua dignità, tra rivendicazioni di ciò che manca e il diritto ad essere riabilitato. Qui un collettivo di street artists, coinvolgendo gli abitanti del quartiere, ospita BLU per la sua ultima opera monumentale

 
Catania, 6ª Circoscrizione, quartiere Librino, viale Moncada, blocco 6, palazzina A. Da alcune settimane nel portico della palazzina IACP c'è un movimento continuo, diverso dal solito via vai quotidiano. Alcuni ragazzi, tra cui un giovane abitante, stanno discutendo con i residenti su come recuperare i pilastri in cemento armato che sorreggono tutta la struttura, uno dei quali mostra preoccupanti segni di usura. Non sembrano danni strutturali ma il ferro è a vista, scoperto da cemento e intonaco venuti via. I ragazzi propongono di passare l'antiruggine e di ripristinare le coperture, ma non si fermano lì. Propongono anche di decorare i pilastri una volta recuperati, e ragionano con gli abitanti su quali temi proporre. Sì, loro sono artisti, artisti di strada, street artists catanesi che intendono l'arte di dipingere i muri come un prodotto condiviso, che tenga conto del contesto in cui viene realizzato. Non sono writers, non taggano con le bombolette i muri: piuttosto interpretano il luogo con tecniche pittoriche ardite e sperimentali, “rilasciando” l'opera finale al godimento e all'interazione della collettività e all'usura inevitabile.
La gente che si ferma a parlare racconta delle difficoltà delle famiglie ad arrivare a fine mese, della separazione che spesso ne affligge i componenti per diversi motivi, della voglia di ricongiungimento. Si discute e si arriva all'epopea della famiglia divisa per eccellenza, quella di Penelope e Ulisse. Al lavoro: in alcuni giorni il pilastro viene ripristinato e i due personaggi diventano delle cariatidi bidimensionali che sorreggono con le loro fatiche un intero palazzo IACP, a Librino, Catania. «L'amore regge la famiglia» e «La famiglia regge il mondo», recitano le due figure, guardando il paesaggio circostante dai loro pilastri. Di fronte, dall'altro lato della strada, una collina di terra argillosa ospita il Campo San Teodoro Liberato e l'Istituto Comprensivo Brancati; a seguire sul viale, altri blocchi IACP, il famigerato “palazzo di cemento” e poi la campagna. Catania è più a nord, separata da lunghi stradoni e profondi pregiudizi che raramente gli altri tre quarti di abitanti della città intendono superare. Tre quarti, sì: perché a Librino ci abitano circa 80 mila persone, su una popolazione urbana complessiva di 320 mila abitanti.
 
I ragazzi, gli street artists dei pilastri del 6/A, li incontro in un bar del centro dal nome “Città vecchia”: ed è curioso parlare della città nuova in un posto che si chiama così. Loro sono Luprete e Poki (manca SinMetro, la terza del gruppo). Ci tengono a sottolineare che fanno parte di un collettivo di artisti, Res Publica Temporanea, con un'attività in corso che si chiama Librino. Sky Line Distreet, “progetto realizzato senza autorizzazioni, se non quelle degli abitanti del quartiere”, come recita la loro galleria su Facebook. «Non è una questione di attività legale o illegale», mi dice Poki, «ma piuttosto se quella attività è legittima: una volta avuto il consenso e la partecipazione dei residenti, l'attività di decoro dei pilastri è stata legittimata». E non ci sono stati solo Penelope ed Ulisse: da un disegno (e da un ripristino) è nata la voglia per molti ragazzi e bambini di estendere ad altri muri i disegni, dando vita così ad una collaborazione tra gli abitanti e alcuni artisti chiamati da Res Publica Temporanea, che hanno dipinto molte altre pareti. Collettivo FX, Luvi (da Firenze),  Rosk & Loste + Gost, NemO's, SinMetro, Poki, Antonio dei Cuori Rivelati, ma anche bambini come Denni, Kevin, Luca, discutono e disegnano, disegnano e discutono. E attorno a questi laboratori estemporanei si affollano anche gli adulti. Res Publica Temporanea pensa nel frattempo a due possibili sviluppi: un grande intervento sulla martoriata parete ciclopica che chiude il palazzo a nord est, e la nascita di una crew di ragazzini con la missione di raccontare i bisogni e i sogni di Librino attraverso la street art. «Sul primo dei due progetti ci si stava lavorando da un po'», mi dice Luprete. «Dopo qualche tentativo su altre pareti nelle stesse drammatiche condizioni, ci siamo concentrati su quella del 6/A e su i suoi pilastri». Nel frattempo al vicino Campo San Teodoro, dove i Briganti di Librino hanno messo su una Associazione Sportiva di Rugby, una biblioteca popolare (la Librineria), una Club House e tanti orti sociali, molti artisti stanno dipingendo i muri di questa struttura rigenerata autonomamente e residuo di una palestra abbandonata dopo le Universiadi del 1997: oggi i Briganti stanno affrontando una grande campagna di crowdfunding per realizzare un campo regolamentare di rugby con tanto di prato, che sarebbe la svolta per quel progetto sociale. Si parla di interventi artistici e di coinvolgimento attivo dei residenti, fino a pensare di avvertire i residenti del 6/A con dei volantini nelle cassette della posta e nell'ascensore. La notizia si sparge tra gli abitanti, che – visti i risultati sui pilastri – accettano di buon grado l'esperimento. Ad interpretare la facciata di 8 piani sarebbe poi stato BLU, artista prolifico e famoso anche prima della polemica nata sui distacchi delle sue opere da parte di Genius Bononiae di Roversi Monaco. Ma dell'opera in sé ne riparleremo dopo.
 
A Città vecchia nel frattempo si sta discutendo del senso di queste operazioni artistiche e del rischio di attivare, con la rigenerazione urbana, processi di gentrificazione nei quartieri interessati, pur senza volerlo (Il Giornale delle Fondazioni se ne è già occupato ampiamente). Il tema è caldo per loro, che nel frattempo hanno aperto un altro fronte in città. Questa volta il quartiere è completamente diverso: San Berillo, in gran parte sventrato e ricostruito (per realizzare un centro direzionale finanziario) tra gli anni cinquanta e sessanta del '900, da cui circa 10 mila abitanti furono “esodati” verso le nuove periferie di Nesima (Catania ovest), divenuto un dedalo di degrado nella sua parte storica sopravvissuta alle ruspe, prevalentemente sede di prostituzione. Oggi il quartiere è al centro di un intervento sociale partecipativo innescato dall'omonimo Comitato, a cui gli artisti stanno dando una mano reinterpretando con la popolazione residente luoghi, racconti, religiosità e criticità dipingendo le centinaia di porte murate dei bassi sulle strade del quartiere.
Chiedo loro se il gioco vale la candela, se il rischio di produrre un effetto “Disneyland” nei quartieri in cui vengono attivati processi condivisi di rigenerazione urbana non sia così grande da arrestare questo impeto collettivo. Mi risponde Luprete: «Tra il non fare nulla e il muoversi rischiando effetti collaterali, preferiamo la seconda opzione. E' innanzitutto un atto educativo partecipato, un processo che produce una consapevolezza diffusa, perché si sta insieme in un luogo, se ne discute, si va oltre le lamentele e si comincia a lavorare su piccole o grandi soluzioni, anche artistiche. Alla gentrificazione ci si pensa dopo, casomai. E comunque quello è il risultato di atti speculativi che certamente non siamo noi a produrre: noi siamo dei cittadini e i nostri sono dei progetti indipendenti». E infatti se ne discuterà in quartiere il 17 giugno, in un incontro con Giovanni Semi e il Comitato San Berillo.
 
Un “atto educativo partecipato”, ecco come questi artisti vivono il proprio lavoro. L'arte non è solo un prodotto dell'artista ma un pretesto per socializzare, condividere problemi e conflitti e tentare abbozzi di soluzioni. O anche solamente per gridarli sulle pareti dei paesaggi urbani che abbiamo via via costruito e che ci ospitano quotidianamente. Se da questi processi ne nasce un'abitudine alla collaborazione, l'atto educativo è stato efficace e tanto basta. «Una cosa ben diversa dalle opere commissionate dalle istituzioni, che agiscono per delega e non attivano la partecipazione dei diretti interessati, producendo un cortocircuito educativo», sottolinea Luprete. Questo è il concetto alla base del progetto di creazione della crew Librino Boys, una scuola d'arte per strada che deve portare i ragazzi a farsi domande con gli abitanti del quartiere e trasformarli in grafiche e disegni. «Tutto è nato quando uno di loro è venuto da me con una cartolina in mano», mi dice Luprete, «e mi ha chiesto di aiutarlo a disegnare gli omini di Keith Haring, che lui amava follemente. Ho fatto la prima traccia, gli ho spiegato come procedere, e poi hanno fatto una parete tutta loro. Ora non si vogliono fermare più: noi siamo stati solo gli operai dei bambini». Gli brillano gli occhi, quando parlano del progetto della crew: si comincia a parlare del futuro di questo pezzo importante di città nuova, periferia che sarà presto un baricentro della nuova città metropolitana di Catania. E che già, per i suoi 80 mila abitanti, è il centro del mondo.
 
Insomma, al Città vecchia comincia a fare buio, sono passate due ore e ancora di BLU non ne abbiamo praticamente parlato. «E' vero!», mi dice Poki (che è nato e cresciuto al 6/A di viale Moncada), «Ti racconto: abbiamo contattato BLU e lui, dopo un paio di rinvii dovuti ai suoi interventi a Messina e a Niscemi contro il MUOS, è arrivato a Catania. Il “terreno” era pronto, perché gli abitanti erano avvisati e d'accordo. Abbiamo cominciato a raccogliere dei fondi con alcune iniziative al Teatro Coppola – Teatro dei Cittadini e poi al Campo San Teodoro con i Briganti. Nel frattempo con le sue corde e i suoi imbrachi BLU ha cominciato a trattare l'enorme parete prima di tutto rimuovendo l'intonaco gonfio, quindi ha passato l'antiruggine sul ferro ormai a vista e la malta per isolarlo. La parete non permetterà infiltrazioni agli appartamenti retrostanti per un bel po'. I soldi per i materiali? Oltre le iniziative che ti ho detto, anche una colletta spontanea degli abitanti del palazzo». Mentre BLU penzola dal 9° piano dell'edificio, intento a sviluppare un'idea artistica tutta dentro la sua testa, sotto i ragazzi di Res Publica Temporanea, insieme a quelli del San Teodoro e ai ragazzini e gli abitanti del palazzo, preparano i materiali, li mettono nei secchi appesi a corde e carrucole, e nel frattempo vigilano che nulla possa disturbare l'operazione. «Non autorizzata da nessuno se non dal consenso degli abitanti: forse illegale ma certamente legittima», mi ribadiscono Poki e Luprete. L'effetto tilt, come lo definiscono loro, fa sì che nessun “estraneo” interrompa per un mese circa l'operazione: nessuno può davvero credere che un tizio stia appeso a corde da arrampicata con un imbraco e dei colori, a dipingere una parete così grande, senza autorizzazioni. «Presidiavamo la fermata dell'autobus ai piedi della parete, come passeggeri in attesa. La gente si fermava e partiva il toto-scommesse su cosa ne sarebbe venuto fuori. E' stato davvero divertente».
Alla fine la parete viene completata. L'Etna erutta una lava fluida composta da lepri (la probabile origine del toponimo Librino), elefanti (il simbolo della città) rossi, giocatori di rugby e cittadini che sommergono una grigia città fatta di spacciatori, soldati, politici, piovre teschiate, elefanti grigi: insomma, seppur site specific, tutto il repertorio simbolico del potere già utilizzato da BLU in altre opere, come la famosa #OccupyMordor realizzata su un muro del centro sociale XM24 di Bologna, poi coperto dall'artista durante la battaglia contro Genius Bononiae. Il bene della città contro il male delle città, che se a Bologna era cristallizzato in una battaglia in atto tra le parti, qui a Librino è un atto prorompente che vince su un “esercito del male” in fuga. «Speriamo non diventi un museo all'aperto», mi dicono Poki e Luprete, «una spettacolarizzazione temporanea che attiri i curiosi perché c'è lo zampino di BLU, ma che non faccia riflettere e socializzare. Per questo dobbiamo insistere sui progetti futuri, perché diventi un punto di partenza e non un'opera conclusa». Ci sarà da riflettere su come questi ragazzi percepiscono i musei, ovvero luoghi privi di potenzialità aggregativa e civica. Ma questo è un altro discorso.
 
Durante il mese della realizzazione si susseguono curiosi, sostenitori, altri lavori correlati e tante prospettive per il futuro. «Molti condomini della zona sono venuti a chiederci di fare anche le loro pareti: stiamo valutando come procedere. A noi preme più di tutti il progetto della crew Librino Boys». Gli chiedo come vorranno affrontare i costi che una scuola d'arte, seppur informale e di strada, inevitabilmente richiede. E, soprattutto, se tra questi costi contempleranno anche il loro lavoro come educatori e facilitatori, oltre che quello dei materiali e di eventuali altri artisti da coinvolgere. «Bella domanda», mi rispondono. «Siamo consapevoli che il lavoro si dovrebbe sempre pagare, e che il carattere non lucrativo di progetti come questo non deve far venire meno il diritto di chi lavora a venire retribuito. Ma al momento non crediamo ci siano possibilità di trovare dei fondi, per cui partiamo senza. Magari i materiali li recupereremo con collette tra gli abitanti o con iniziative come quella fatta per il murales del 6/A al Teatro Coppola occupato. L'importante è partire».
 
Durante tutta la chiacchierata si è tornato spesso sul tema del controllo mafioso in città, e della agibilità di operazioni come quella al 6/A senza dovere scendere a compromessi con chi esercita tale controllo. «Siamo tutti vittime di soprusi e vessazioni mafiose, a Librino come nei “quartieri alti”» mi dicono con convinzione, rigettando le (poche) allusioni fatte su una rivista on line riguardo una presunta tolleranza di spacciatori e criminalità. «Continuare a ribadire luoghi comuni sull'impossibilità di prescindere dalla mafia in quartieri come Librino», precisa Poki, «rallenta i processi di cambiamento, che invece attività come quella del 6/A accelerano e facilitano». La ricetta c'è. Bisogna puntare sulla consapevolezza collettiva che l'arte e le attività culturali possono attivare e potenziare, mi fanno capire: non si tratta di tollerare o convivere con la mafia, ma di rafforzare azioni di attivismo civico e collaborativo, sempre più numerose, sempre più diffuse, sempre più forti. Sempre più alternative alla mafia. Un po' come la lava di BLU, in fondo.

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