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Serve una nuova rete associativa per le realtà del terzo settore che si occupano di cultura?

  • Pubblicato il: 15/10/2018 - 00:01
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Franco Broccardi, Marco D’Isanto, Irene Sanesi
Il 17 Ottobre 2018 a Roma verrà lanciata una sfida: possono le organizzazioni culturali in Italia, che operano nel terzo Settore, provare a dotarsi di una propria rete associativa nazionale che sia in grado di rappresentare le istanze particolari di questo comparto e al tempo stesso accompagnare queste organizzazioni nel delicato e complesso percorso che la Riforma del Terzo Settore indica? La Riforma del Terzo Settore sottolinea il ruolo delle reti anche allo scopo di promuovere e accrescere la rappresentatività del comparto presso i soggetti istituzionali e “le organizzazioni culturali risultano le più impreparate al  passaggio della Riforma (::) anche in virtù di una mancata presenza -la si percepisce bene- nella fase di costruzione del Codice quale soggetto portatore di interesse. Dal punto di vista tributario risulta evidente che (…) in virtù delle specifiche modalità con cui esercitano le proprie attività dovranno subire il trattamento più oneroso, che le condurrà, molto probabilmente verso la categoria degli enti del Terzo Settore commerciali.Valdo Spini quale Presidente dell’AICI (Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane) promuove una riflessione con i tributaristi Franco Broccardi, Marco D’Isanto, Irene Sanesi. “Avremo nei prossimi mesi un arcipelago destinato ad assumere una nuova fisionomia”, tra rischi e opportunità. E voi cosa ne pensate? Occorre una tutela con nuovi soggetti?
 
Le Associazioni culturali e le Fondazioni culturali private, comprese le Onlus operanti nella valorizzazione del patrimonio culturale, sono le uniche entità del Terzo Settore, a differenza degli enti Sportivi, delle Ong, degli enti filantropici, degli enti di promozione sociale, prive al momento di una propria organizzazione nazionale “dedicata”.
 
I motivi storici per cui questo è accaduto nel nostro paese possono ricondursi in parte all’assenza di una normativa in grado di delineare specificamente le organizzazioni culturali, in parte alla presenza delle profonde differenze tra queste realtà diffuse nello Stivale. Basti pensare che il termine Associazione Culturale in Italia è presente unicamente in alcune disposizioni tributarie che disciplinano i benefici fiscali per gli enti associativi senza che il legislatore si sia mai preoccupato di fornire una cornice legislativa al fenomeno dell’associazionismo culturale e delle fondazioni operanti in ambito culturale. Ma, lo sappiamo, la fiscalità non è che una conseguenza di paradigmi di natura giuridica, progettuale, culturale e programmatica che necessitano di essere assunti e inquadrati.
 
L’occasione è ora offerta dalla Riforma del Terzo Settore. L’art. 41 del D. Lgs 177/2017 prevede che le reti associative svolgano, anche attraverso l'utilizzo di strumenti informativi idonei a garantire conoscibilità e trasparenza in favore del pubblico e dei propri associati, attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti del Terzo Settore loro associati e delle loro attività di interesse generale, anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti istituzionali.
Le reti associative nazionali potranno inoltre esercitare, oltre alle proprie attività statutarie, anche le seguenti attività:
a) monitoraggio dell'attività degli enti ad esse associati, eventualmente anche con riguardo al suo impatto sociale, e predisposizione di una relazione annuale al Consiglio nazionale del Terzo Settore;
b) promozione e sviluppo delle attività di controllo, anche sotto forma di autocontrollo e di assistenza tecnica nei confronti degli enti associati.
 
Inutile dire che le organizzazioni culturali risultino forse le più impreparate al difficile passaggio della Riforma del Terzo Settore, anche in virtù di una mancata presenza -la si percepisce bene- nella fase di costruzione del Codice quale soggetto portatore di interesse. Dal punto di vista tributario risulta evidente che le organizzazioni culturali in virtù delle specifiche modalità con cui esercitano le proprie attività dovranno subire il trattamento più oneroso, che le condurrà, molto probabilmente verso la categoria degli enti del Terzo Settore commerciali.
 
La previsione infatti, prevista per le Associazioni di Promozione Sociale, di limiti molto stringenti in termini di ricorso all’utilizzo di risorse umane, rende questa tipologia tendenzialmente inadatta ad essere la forma tipica delle organizzazioni culturali. Basti pensare che una associazione teatrale, solo per fare un esempio, ha tendenzialmente la necessità di remunerare gli artisti, i tecnici e i collaboratori anche in numero cospicuo e questo complicherebbe l’assunzione della qualifica di ente di promozione sociale. Anche le Fondazioni, alcune delle quali godono della qualifica di Onlus, qualifica soppressa dalla Riforma, dovranno fare i conti con il nuovo inquadramento giuridico e fiscale degli Enti del Terzo Settore che il D. Lgs 117/2017 ha previsto.
 
La Riforma del Terzo Settore apre però delle opportunità interessanti per queste organizzazioni: la promozione culturale è considerata una attività di interesse generale, le agevolazioni fiscali per le erogazioni liberali sono state armonizzate eliminando tutte le differenziazioni passate, è prevista la possibilità che “i beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l'uso dei quali attualmente non e' corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, che svolgono le attività in ambito culturale”. Ci limitiamo a commentare solo alcune misure ma lo spettro delle opportunità è decisamente più ampio.
Inoltre ci preme ricordare che la Legge di Bilancio 2018 ha introdotto del nostro ordinamento la qualifica di Imprese Culturali e Creative.
L’Art. 57 della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 prevede: “sono imprese culturali e creative le imprese o i soggetti che svolgono attività stabile e continuativa, con sede in Italia o in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in uno degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo, purché siano soggetti passivi di imposta in Italia, che hanno quale oggetto sociale, in via esclusiva o prevalente, l'ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione o la gestione di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e opere dell'ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alle arti applicate, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all'audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati”.
Il Ministero dei beni e delle attività culturali dovrà disciplinare la procedura per il riconoscimento della qualifica di Impresa Culturale tenendo conto delle necessità di coordinamento con le disposizioni del codice del Terzo settore.
 
Avremo dunque nei prossimi mesi un arcipelago destinato ad assumere una nuova fisionomia. Non possiamo pertanto correre il rischio che l’attuale dispersione diventi penalizzante per le molte organizzazioni che dovranno nei prossimi mesi assumere scelte strategiche per il proprio futuro con il rischio che il settore culturale ne esca impoverito da questa onda lunga di innovazione legislativa.
Discutere sull’opportunità di iniziare un esperimento di aggregazione che sappia irrobustire il settore culturale, per troppo tempo in Italia rimasto isolato e privo di una adeguata cornice normativa, significa provare a liberare energie e risorse per innovare e creare valore.
 

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