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Qual è la città di cui abbiamo bisogno? Spunti di riflessione per la Nuova Agenda Urbana

  • Pubblicato il: 14/03/2016 - 19:56
Rubrica: 
PAESAGGI
Articolo a cura di: 
Giangavino Pazzola

Organizzata dal dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica una tre giorni sui temi di arte e città, appuntamento che si inserisce nel cammino che porterà l'Organizzazione delle Nazioni Unite verso la terza conferenza mondiale dedicata agli insediamenti urbani, Unhabitat
 

 
 
Alghero. Dal 18 al 20 febbraio, la Facoltà di Architettura di Alghero è stata teatro di uno dei ventotto Urban Thinker Campus, serie di eventi preparatori della Conferenza mondiale di Quito Habitat III. L'appuntamento isolano ha permesso riflessioni sul potenziale dell’arte e dell’architettura come fattori di qualità della vita della città, strumento di riqualificazione e rigenerazione urbana e opportunità di sviluppo degli spazi urbani. Ne abbiamo chiacchierato con Giovanni Campus e Nadja Beretic, dottorandi di ricerca e referenti di progetto per questa grande opportunità di pensiero intorno alle arti e allo sviluppo.
 
 
 
Come nasce la conferenza di Alghero e in che quadro di attività si inserisce?
GC.: L’incontro nasce dall’incontro tra un progetto e un’opportunità. Il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Sassari è un luogo votato all’innovazione e alla sperimentazione dove, più o meno a metà di aprile dello scorso anno, grazie a supporto e lungimiranza dell’allora direttore, Arnaldo Cecchini, e poi grazie al supporto di quella che è diventata la direttrice scientifica del progetto, Silvia Serreli, si sono poste le basi per questa attività.
Esisteva un’idea originaria, parte del progetto del mio dottorato di ricerca, che prevedeva la realizzazione entro il 2016 di un incontro internazionale dedicato al rapporto fra arte e città, e altri precedenti, che ne determinano il contesto. Circa dieci anni fa a Sassari fu realizzato un incontro dal titolo “Habitat Immaginari”. L’idea venne ai fondatori della Cooperativa Theatre en Vol, che è al centro di una rete di relazioni internazionali interessante. Attraverso questa conferenza venni a conoscenza del lavoro di questo gruppo, e dopo non molto tempo iniziai a occuparmi di questi temi e a collaborare con loro. Il progetto (finanziato attraverso il bando Cultura 2000 dell’Unione Europea) fu qualcosa di molto innovativo per il territorio all’epoca, di cui fu difficile capire appieno la portata. Nella realizzazione di quest’incontro vennero coinvolte una parte di quelle energie che hanno contribuito alla creazione del primo nucleo della Facoltà e poi Dipartimento di Architettura dell’Università di Sassari, con sede ad Alghero. Dunque si può dire che esistesse una qualche tradizione di ricerca in questo senso.
Ad ogni modo l’idea originaria era di fare il punto sulla situazione a dieci anni di distanza, anche se sapevamo che realizzare questa conferenza nel 2015 sarebbe stato tecnicamente impossibile. Oltre a questo si era appena concluso un progetto triennale, intitolato Governare ad Arte, che aveva visto coinvolto il Dipartimento di scienze politiche, scienze della comunicazione e ingegneria dell'informazione, con in prima linea la ricercatrice Laura Iannelli, e quello di Architettura con il coordinamento dal prof. Antonello Monsù. Anche questa esperienza è stata importante per la definizione dei temi e delle strutture attivabili.
Poi c’è la seconda parte della storia, ovvero l’opportunità: a febbraio del 2015 infatti UN-Habitat, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di insediamenti urbani, lanciò un primo “Urban Thinkers Campus” proprio in Italia, a Caserta. Si trattava di un nuovo tipo di incontro dalla struttura formalizzata, ma dall’accesso aperto, che voleva generare input per la scrittura della “Nuova Agenda Urbana”, un documento di rilievo mondiale che è previsto venga siglato a Quito, in Ecuador, nel prossimo ottobre, durante la conferenza Habitat III.
Le conferenze Habitat sono eventi epocali - si svolgono ogni venti anni (la prima è stata a Vancouver nel 1976 e la seconda a Istanbul nel 1996) e mirano a definire degli standard, o piuttosto degli obiettivi sovranazionali per lo sviluppo urbano. La quantità di problemi che affrontano è vasta: dal risanamento degli “slums” al costo degli alloggi, dagli approvvigionamenti idrici al ciclo dei rifiuti, alla sicurezza, trasporti, inquinamento, esclusione e accessibilità, disuguaglianze e “segregazione spaziale”, l’economia, l’equilibrio fra crescita e equità. 
 
 
 
In un consesso tale, quale senso per proporre un tema come quello dell’arte?
In primis, su tutti i documenti preparatori la parola “arte” non ricorreva mai. Poi il funzionamento aperto degli Urban Thinkers Campus permetteva in qualche modo di inserire temi nuovi. Così, quando UN-Habitat, ha lanciato un bando per ospitarne altri in giro per il mondo, abbiamo deciso di partecipare, presentando un progetto costruito sulla base della mia idea originaria. Un terzo aspetto “simbolico” sta nella base di partenza, la conferenza “Habitat Immaginari” (2005), e per assonanza si è lavorato nella prospettiva di un incontro che portava un nome simile, “Habitat III”, che così come UN-Habitat evoca qualcosa di più e di diverso del suo ambiente urbano - tutti i luoghi dell’abitare, tutti i luoghi che per così dire possiamo chiamare “casa”.
E poi il mio cognome è Campus… abbiamo pensato che questo fosse di buon auspicio!
C’è un’altra esperienza che si incrocia con tutto questo è che l’ha reso possibile. Il principale partner dell’evento è stato la facoltà di Architettura dell’Università di Belgrado, presso la quale opera, anche questo da oltre dieci anni, un centro didattico e di ricerca dal nome auto-esplicativo: Public Art & Public Space, diretto da Zoran Djukanovic e presso cui lavora Nadja Beretic, ora mia collega di dottorato. Il loro ruolo è stato importante a tal punto che - fino a pochi giorni prima della scadenza del bando - pensavamo che l’incontro si sarebbe dovuto svolgere proprio a Belgrado, e non ad Alghero. Alla fine la scelta è caduta su Alghero anche per ragioni tecniche e perché, trovandosi dopotutto in Italia, sembrava che un appello nel nome dell’arte potesse trovare più ascolto. La scelta si è rivelata felice, e la nostra proposta è stata accettata. Il fatto che un incontro con un titolo come “Open for Art” forse nel calendario dei 26 eventi realizzati a livello mondiale è stato già di per sé un successo.
 
 
 
In Sardegna e ad Alghero, oltre le esperienze già citate, ci sono delle istanze locali che vi hanno portato alla organizzazione dell’UTC? Quali relazioni con il territorio?
NB.: Dove si fa un lavoro ci sono sempre dei problemi. Siamo stati fortunati e forse anche bravi a tenere sotto controllo alcune difficoltà, non solo quelle ovvie di carattere economico, che si sono manifestate durante la fase di preparazione. Possiamo dire che l’incontro ha avuto un buon successo, ottima stampa a livello locale e anche a livello nazionale, con un bell’articolo sulle pagine culturali del Manifesto e un breve passaggio su Radio 3. Potremo lamentarci della partecipazione della comunità locale, e questo ci dice senz’altro che c’è bisogno di concentrarsi ancora di più a lavorare meglio facendo delle campagne di sensibilizzazione. Ma Alghero è comunque una piccola città, questa è un’università e i temi hanno potuto anche intimorire. Certamente anche la lingua non ha aiutato, dato che la grande maggioranza delle attività doveva per forza di cose essere in inglese.
Le relazioni col territorio sono state tante e diverse. Primo all’attivazione di una grande rete di partner (oltre 30) di tutti i settori: una rete di dipartimenti universitari, centri di ricerca, istituzioni culturali, imprese locali e territoriali, associazioni e gruppi informali. Inoltre anche un certo numero di attività delle sessioni è stato dedicato a parlare delle potenzialità e della storia particolare della Sardegna e della relazione locale fra arte e territorio.
G.C: Habitat Immaginari, oltre a essere l’ispirazione, si è trasformata in un progetto pluriennale sviluppato anche in collaborazione con il Dipartimento di Architettura, e in particolare con una sua Spinoff, un gruppo di azione ricerca TaMaLaCà, acronimo di “Tutta Mia La Città”. Nonostante il nome scanzonato e un gruppo di ricercatrici e progettiste che ha ottenuto riconoscimenti a livello internazionale che, anche se non direttamente utilizza o collabora con artisti, promuove metodi creativi di soluzione di piccoli e grandi problemi urbani. Nel caso di “Habitat Immaginari”, un caso abbastanza raro, sono stati gli artisti a chiedere la consulenza degli urbanisti per “sistematizzare” una serie di interventi.
Tra i partner locali che hanno contribuito con idee e lavoro alla realizzazione dell’evento c’è poi da ricordare l’importantissima presenza del museo MAN di Nuoro e della Fondazione Nivola, ma anche l’Associazione Sa Domo che ha contribuito molto alla fase organizzativa e al fundraising. È difficile citare qualcuno in particolare però, perché non è giusto dimenticare gli altri, abbiamo trovato molto ascolto e supporto nelle realtà strutturate che già esistono e operano in campo culturale sul territorio. Certamente avremmo potuto fare ancora di più e meglio, a nostra parziale discolpa ci sono i tempi un po’ stretti con i quali abbiamo dovuto lavorare (l’incontro era originariamente previsto per giugno, ma dietro richiesta di UN-Habitat è stato poi anticipato a febbraio), e la scarsità di risorse. Sappiamo che incontri dello stesso tipo hanno goduto altrove di budget oltre dieci volte superiori. Questo però alla fine è un ulteriore motivo di soddisfazione.
 
 
 
Quali sono stati gli esiti delle sessioni di lavoro? Come verrà messo a valore questo capitale intellettuale?
NB.: I risultati del lavoro sono stati abbondanti e ricchi. Siamo ancora in fase di raccolta e sistemazione di tutti i materiali, che provengono da vari tipi di attività: plenarie, dibattiti, sessioni accademiche e sessioni speciali, laboratori. In parte questo lavoro è vincolato dalle richieste di UN-Habitat, in parte stiamo cercando di tenerlo più “libero” dalle esigenze del momento - che sono quelle che riguardano la “Nuova Agenda Urbana”, per destinarlo a una pubblicazione da noi curata che possa interessare anche chi sta fuori da questo processo.
Una buona parte delle attività e stato filmato, i dibattiti sono stati verbalizzati e stiamo ricevendo le relazioni dei coordinatori di tutte le attività parallele. Cosi, questo grande capitale intellettuale che verrà pubblicato come in volume servirà alla disseminazione degli insegnamenti appresi.
Ma un primo obiettivo finale è già stato raggiunto. La voce degli incontri di Alghero ha cominciato il suo volo. Subito dopo il Campus, abbiamo avuto tre intensi giorni di lavoro online con una squadra internazionale guidata dalla sede centrale della World Urban Campaign, con base presso il quartier generale dei UN-Habitat a Nairobi, attraverso questo lavoro alcune delle dichiarazioni, e molti dei concetti prodotti ad Alghero sono stati inseriti nel nuovo documento “The City We Need”, che verrà firmato di tutti partner Regionali durante la conferenza “European Habitat” a Praga, dal 16 al 18 Marzo. Questo documento contiene una “summa” di tutte le raccomandazioni condivise per la nuova agenda urbana scaturite dai 26 Urban Thinkers Campus in giro per il mondo. Si tratta quindi di un rafforzamento e di una diffusione importante già ora del nostro lavoro a livello globale.
Ulteriormente, c’è un altro aspetto di livello locale e nazionale, dovuto alla partecipazione all’evento dell’Istituto Nazionale Urbanistica - INU. Per prima cosa, i contributi raccolti dopo i lavori di postproduzione vanno presentati al loro XXIX Congresso Nazionale, che per un caso fortuito si terrà quest’anno proprio in Sardegna, dal 28 al 30 Aprile a Cagliari. Ci è stato richiesto di tenere una presentazione simile anche all’Accademia di Belle Arti di Sassari - e già il fatto che il nostro lavoro possa andare tanto all’Accademia quanto a un congresso di urbanistica è un fatto notevole.
Si può collocare questo dato inedito in uno scenario internazionale in cui, ad esempio, è proprio un gruppo di architetti e urbanisti, il collettivo Assemble, a vincere il Turner Prize, segno che ci sono delle sensibilità che stanno cambiando, e che c’è finalmente un tentativo di comunicazione fra due mondi che rifiutavano di parlarsi.
Ma c’è ancora di più: il gruppo di lavoro che ha riunito gli amministratori locali, grazie al grande lavoro della prof.ssa Alessandra Casu, deciderà di continuare questi incontri in previsione della definizione di una “Agenda Urbana” locale e nazionale - un contributo a politiche concertate e anche allo scambio orizzontale di esperienze che è stato reso possibile grazie a Open for Art. Anche di questa prosecuzione del processo si discuterà al prossimo Congresso Nazionale dell’INU, ed è probabile che sia questo istituto a farsene poi portavoce presso altre sedi istituzionali.
 
GC.: Certo, non c’è da aspettarsi risultati all’avanguardia da questo genere di incontri, e questo capisco che non sia facile da accettare per gli operatori del settore e per i cosiddetti esperti. Gli obiettivi di un incontro di questo tipo sono anche diversi, in due sensi.
Il primo, è che in uno “Urban Thinkers Campus” tutti devono avere il diritto di parlare - di dire la loro sul tema e di rappresentare le posizioni del gruppo cui sentono di appartenere. Questa apparente “debolezza scientifica” è la condizione per la massima apertura e partecipazione, specie se guardiamo a una platea globale di paesi con gradi di sviluppo, sistemi educativi e culture molto differenti. Quello che è considerato “avanguardia” in Europa può diventare ininfluente in Africa o in parte dell’Asia. Qui si pone un altro problema, naturalmente, che è quello della reale efficacia di processi tanto “globali” che non vogliano diventare processi di omologazione a una cultura dominante. Comunque per ciò che riguarda il ruolo degli esperti, visto anche che l’incontro si è svolto in una Università e anzi grazie al contributo di un gran numero di strutture di livello universitario italiane ed estere, l’approfondimento dei temi è stato rilevante. Inoltre si sono realizzate delle sessioni appositamente dedicate all’Accademia, con la presentazione di papers e tutto il rituale di un normale Convegno - anzi due - dato che abbiamo ospitato una sezione speciale dai temi più generali della rigenerazione urbana attraverso processi partecipativi - coordinata dal prof. Antonello Monsù.
Per semplificare molto, possiamo dire che i materiali raccolti in questa parte del lavoro si possono suddividere in quattro grandi temi: “Participation”, “Ownership”, “Community Building” e “Innovation”. Questi sono stati gli aspetti riconosciuti in cui il rapporto fra arte e studi urbani può essere particolarmente fecondo. Già questi concetti ci possono dare un quadro dello “stato dell’arte”.
C’è poi il secondo aspetto, ed è quello dei destinatari di questo che è un piccolo pezzo di un grande processo, quello di scrittura della Nuova Agenda Urbana. È fondamentale tener conto di questo e ricordare che questo rimane il primo obiettivo. Il nostro “pubblico” sono dunque esperti del massimo livello, ma delle materie e dalle provenienze più disparate, e sono tantissimi, realmente migliaia di persone in tutto il mondo impegnate nel processo. In questo contesto, i nostri obiettivi erano e sono (perché il lavoro è tutt’altro che concluso) allo stesso tempo modesti e altissimi. Già far rilevare che esiste una specificità del tema dell’arte in ambito urbano, che esiste una complessità di cui tenere conto, qualcosa di non assimilabile ad esempio alle attività sportive o ricreative - e che non può essere trattato allo stesso modo - né per i suoi aspetti sociali né per i suoi aspetti economici - ma che esiste invece un concetto specifico non evitabile in cui queste direttrici collidono e che in esse non si esaurisce - già far rilevare questo sarebbe un grande successo. Ricordiamo che partiamo da una situazione nella quale - prima della nostra proposta - nelle carte preparatorie del processo lo stesso termine “arte” non ricorreva mai, nemmeno una volta e in nessun luogo. Lungo il percorso le cose sono cambiate - e non siamo stati nemmeno i soli, ma altre unità di studio impegnate in altre parti del processo - senza entrare nei tecnicismi della cosa - hanno rilevato in vari modi l’esistenza di questo tema. Dunque ora abbiamo, mentre si va verso la conferenza Habitat III, un quadro favorevole in cui esiste una convergenza sul fatto -almeno- che parlare di arte sia prima di tutto possibile e poi importante, e che è importante che la Nuova Agenda Urbana ne parli. Faccio solo un esempio delle immediate implicazioni di questo - la libertà di espressione. L’arte dovrebbe essere considerata come un diritto - come una parte importante del più generale “Diritto alla Città”, nozione sofisticata che si sta comunque cercando di introdurre nell’Agenda - e per ciò gli artisti stessi godrebbero di un potente strumento sovranazionale attraverso cui appellarsi nei confronti delle giurisdizioni locali e nazionali, dove lo sentissero violato. Si tratta di riconoscere attraverso questo “diritto all’arte”, una sorta di diritto alla diversità e alla creatività. Ciò riguarda tanto gli artisti in qualche modo riconosciuti, che le comunità - e dato il nuovo ruolo degli artisti nello spazio pubblico - ruolo sottolineato da molti o da quasi tutti gli ospiti del nostro incontro - questo finisce per avere delle conseguenze anche immediatamente politiche, che sono però allo stesso tempo anche una parte delle ragioni di ostacolo al nostro successo.
Se un certo ruolo dell’arte come “creatrice di comunità” e di “creatrice di luoghi” (cioè di significazione e di significanza) è sulla strada di essere riconosciuto, è invece quasi impossibile che essa venga considerata - ad esempio - alla stessa stregua delle nuove tecnologie quale fattore di innovazione sociale.
 
 
 
Come dare seguito a un impegno così ambizioso quale quello della scrittura dell’agenda urbana sui temi di arte e spazio pubblico?
NB.: Oltre a quanto già detto - che ci terrà impegnati ancora per parecchi mesi anche con varie unità di ricerca all’interno del Dipartimento. Nelle riunioni di debriefing sono però emerse varie altre possibilità e opportunità di proseguire il lavoro, anche al di la della “Nuova Agenda Urbana”.
Si deve partire dalla rete che è stata creata intorno all’incontro - questa è la prima risorsa perché mette in comunicazione il livello locale - con una buona presenza di operatori istituzionali, economici e culturali, con il livello internazionale, attraverso uno “hub” affidabile e autorevole come il Dipartimento di Architettura. In questo senso, valutate le risorse, è possibile che la rete - il sito - le risorse di Open for Art rimangano operanti. Questa sarà una decisione dei prossimi mesi, ma sarebbe un peccato sprecare questo patrimonio. Questa rete ha infatti mostrato di poter lavorare e produrre insieme, diventando quasi un “movimento”. Una cosa importante ad esempio è stata la partecipazione del collettivo del Res Publica di Alghero, che è un gruppo assolutamente informale - protagonsita di una bella esperienza di autogestione che coinvolge a sua volta circa 30 associazioni. Riuscire a far lavorare questo gruppo a contatto con istituzioni internazionali, e a far sentire in linea diretta la sua voce, superando le reciproche diffidenze e barriere comunicative, è un’esperienza esaltante.
Si tratta di coltivale il “pensiero creativo” e non pensare solo alla “conservazione”. L’arte va pensata come motore delle politiche future. Anche gli urbanisti possono diventare più coscienti del luogo da cui provengono le loro “visioni”! Oltre quanto detto per gli amministratori locali, anche altri dei gruppi di lavoro pensano che si possa proseguire lavoro in “autogestione”. Per esempio operatori che lavorano con i più giovani o gruppi di donne. Sono insomma nate altre reti all’interno della nostra rete, e noi dobbiamo fare il possibile per aiutarle a consolidarsi e a sviluppare la loro vita di relazione, autonomamente. Questo dimostra anche che i risultati sono sempre di più e diversi dagli obiettivi iniziali, non solo a livello teorico, ma anche come di creazione di nuove pratiche.
 

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