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LA NUOVA SMART CITY CHE METTE AL CENTRO I BISOGNI DEI CITTADINI CONTRO L’EGEMONIA DELLE BIG TECH

  • Pubblicato il: 15/09/2018 - 08:01
Rubrica: 
CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Francesca Panzarin
“Passare dal capitalismo della sorveglianza, basato sull’estrazione continua e la monetizzazione dei dati personali dei cittadini, a un sistema capace di socializzare i dati concependoli come infrastruttura pubblica e sperimentare nuove forme di innovazione sociale e democratica, in modo da ripensare il welfare del futuro e i modelli economici sostenibili per le nostre città”. Questa la sfida descritta dai due autori per una nuova idea di smart city, più sostenibile e partecipata, città di diritti digitali e non solo di servizi, come sta dimostrando il progetto pilota di Barcellona.

“Nell’espressione smart city l’aggettivo ha finora attirato l’attenzione molto più del sostantivo, eppure anche quest’ultimo richiede un approccio analitico altrettanto critico” sottolinea la coppia Evgeny Morozov e Francesca Bria – lui sociologo bielurusso esperto di geopolitica, lei economista italiana con un passato in Nesta UK e oggi a capo dipartimento di Tecnologia e Innovazione Digitale del Comune di Barcellona, tra i protagonisti dei recenti Festivaletteratura di Mantova e Festival della Comunicazione di Camogli.
 
Secondo le principali società di consulenza, il mercato delle smart cities raggiungerà i 3000 miliardi di dollari entro il 2025, superando ogni altro settore imprenditoriale tradizionale.
Indagare sui legami tra le infrastrutture digitali (sensori, schermi, algoritmi, router, telefoni cellulari, telecamere di sorveglianza, big data) che hanno modificato il paesaggio tecnologico delle città e i programmi politici ed economici che stanno implementando è l’obbiettivo del saggio dei due autori, che considerano l’odierna declinazione smart city come “una delle più rilevanti tra quelle che hanno conquistato l’immaginario pubblico nell’ultimo decennio (…), una delle più significative e pesanti dal punto di vista della rilevanza politica”.
 
Morozov e Bria partono da una lettura molto critica del contesto attuale, governato dal “keynesianesimo privatizzato”, dall’ “ideologia neoliberista su scala planetaria”: oggi “le storie contemporanee delle smart cities (…) sono esempi perfetti di quello che viene chiamato corporate storytel­ling, ovvero la narrazione aziendale: spogliati di ogni accezione politica e apparato critico, questi racconti celebrano invariabilmente la marcia irrefrenabile del progresso e dell’innovazione, energicamente accelerata dall’ingegno e dall’inventiva del settore privato”. Secondo gli autori finora l’idea di smart cities è stata plasmata dalle multinazionali come Microsoft, Cisco, IBM, Siemens, Philips, che devono vendere le loro soluzioni smart - per l’illuminazione, la pubblica sicurezza, sistemi antincendio, climatizzazione, ect - alla pubblica amministrazione. Anche Uber, Airbnb, Google e Amazon “sono attivamente impegnate a penetrare nelle amministrazioni cittadine, proponendo una vasta gamma di prodotti che vanno dalle connessioni internet wireless gratuite – ovviamente, in cambio dei dati degli utenti – al cloud computing e alle app basate sui sensori che promettono di risolvere il problema dei parcheggi e liberarci sia dallo stress sia dagli sprechi ambientali”.
 
Le città si trovano quindi intrappolate in un circolo vizioso: “più alto è il numero dei servizi esternalizzati e delle infrastrutture privatizzate e maggiore sarà il bisogno di servirsi dell’assistenza tecnica di aziende come Google per far funzionare quel che rimane dei beni e delle risorse ancora sotto controllo pubblico”.
 
Cosa possono fare dunque le città? Secondo gli autori la soluzione è la “sovranità tecnologica”, ossia la capacità dei cittadini di partecipare e avere voce in capitolo su come operano e quali finalità perseguono le infrastrutture tecnologiche che li circondano attraverso l’uso di software liberi, open standard, controllo dei dati e le architetture digitali aperte: “in una città propriamente democratica, i cittadini devono poter accedere alla conoscenza come bene comune, agli open data e alle infrastrutture digitali pubbliche della città in modo da godere di servizi più equi e innovativi, e dunque di una migliore qualità della vita”.
 
Alcune realtà hanno già avviato progetti pilota prendendo misure specifiche per stimolare la crescita di un’economia digitale alternativa, offrendo un nuovo regime per trattare i dati generati dalla cittadinanza, promuovendo un modello di erogazione dei servizi alternativo e più cooperativo, “cercando di tenere sotto controllo le attività di piattaforme come Airbnb o Uber chiedendo l’accesso ai loro dati; creando infrastrutture alternative che possano competere con la Silicon Valley in determinati campi”.
 
Da New York a Seul, passando per Amsterdam e Madrid, molte sono le città che stanno sperimentando progetti di democrazia partecipativa.
L’agenda digitale dell’amministrazione di Barcellona, guidata dalla carismatica Ada Colau, è infatti una case history di successo: “dal 2013 Barcellona sta vivendo una rivoluzione cittadina dal basso con l’intento di favorire la creazione di una rete di città “ribelli” che ha come obiettivo l’innovazione delle politiche pubbliche per mettere al centro i bisogni dei cittadini, a partire dalla messa in discussione dello status quo”.
Attraverso Decidim Barcelona, la principale piattaforma partecipativa online del Comune – che conta 27mila utenti registrati - sviluppata grazie al software libero e a una comunità attiva di utenti e sviluppatori, consente alle organizzazioni presenti sul territorio di gestire i propri processi partecipativi autonomi, le iniziative di bilancio e progetti di coideazione delle iniziative politiche.
In Italia Francesca Bria sta collaborando con le assessore di Milano, Torino, Roma (Roberta Cocco, Paola Pisano e Flavia Marzano) per mettere in rete le buone pratiche delle rispettive città.
 
“Le città possono utilizzare il potere della tecnologia e dell’innovazione digitale per beneficiare tutti i cittadini e favorire un’economia più sostenibile, plurale e collaborativa. Introdurre tecnologie digitali nell’ambiente urbano non vuol dire semplicemente dotare la città di sensori, connettività e dispositivi tecnologici. Bisogna partire da obiettivi e temi più ambiziosi che richiedono nuovi modelli politici ed economici di funzionamento delle città, con sfide di lungo periodo riguardanti questioni come la disparità salariale, l’edilizia popolare e il diritto alla casa, la mobilità sostenibile e la lotta alla corruzione del settore pubblico. Integrando l’intelligenza collettiva dei cittadini ai processi decisionali politici attraverso metodi di democrazia partecipativa, queste sfide strutturali si possono affrontare meglio e risulta più facile dare delle risposte in linea con i bisogni della popolazione”. 
 
Evgeny Morozov e Francesca Bria, RIPENSARE LA SMART CITY, Codice Edizioni, 185 pagine, 16,00 €, ISBN 9788875787653
 
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