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La fondazione con “modello 100%”

  • Pubblicato il: 15/01/2017 - 22:46
Autore/i: 
Rubrica: 
CULTURA E WELFARE
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Una fondazione di famiglia, Giubergia e Argentero del gruppo Ersel, da grant making diventa operating. Patrimonializzata, con il risultato degli investimenti copre i costi gestionali. Il 100% della raccolta, tutta da privati (50% dei fondatori) viene orientato alla progettualità verso il mondo dell’infanzia, in particolare disabile e al supporto parentale. Ne parliamo con Fabrizio Serra, Direttore della Fondazione Paideia Onlus impegnato nella creazione di un centro di nuova generazione con una visione integrata per risposte ai nuclei familiari con figli disabili, la cui apertura è prevista per fine 2017. Un approccio socio-sanitario-riabilitativo-educativo in cui la componente culturale è strumento essenziale


Poco si parla della popolazione con disabilita’ (3 milioni e 200mila in Italia, le persone con limitazioni funzionali-fonte Istat 2013, di cui 700mila under 65 anni) e delle loro famiglie. Situazioni molto diverse tra loro che necessitano di una forte diversificazione nella cura, di risposte multifunzionali, di un reddito superiore alla media per poter soddisfare i bisogni speciali. Nell’Italia delle diseguaglianze, la famiglia è la principale risorsa su cui i disabili possono contare (nell’11,4% delle famiglie vive un disabile e meno del 20% ha usufruito di servizi a domicilio, né privata, né pubblica)*. Secondo l’indagine condotta dalla Onlus Spes contra spem con l’Osservatorionazionale sulla salute delle Regioni, due strutture sanitarie su tre sono impreparate ad accogliere i disabili. Nonostante i passi avanti dell’ultimo governo, molto resta da fare e gli investimenti sono molto differenziati territorialmente.

A Torino, la Fondazione Paideia ha scelto questo posizionamento, identificando il mondo dell'infanzia e le famiglie con soggetti in fragilità l’ambito in cui investire risorse private per un beneficio pubblico. Paideia nasce nel 1993 come fondazione delle famiglie Giubergia e Argentero (azioniste del Gruppo finanziario Ersel) che decisero di trasformare in una struttura organizzata la loro spinta filantropica.

Fatti. Concretezza propria di impreditori di successo. 3000 famiglie, 1660 sostenitori, 450 volontari, 13 milioni di euro investiti in 20 anni sono alcuni numeri che rappresentano la bellissima storia dell’ente, narrata in un bilancio sociale molto efficace, che chiarisce il modello peculiare di intervento, circoscritto su due aree, “disabilità e famiglia” e “tutela e prevenzione”. Un bilancio che presenta chiaramente la sostenibilità, descrivendola come “modello 100%”: i proventi generati dal fondo di dotazione vanno a coprire tutti i costi di personale e di comunicazione, finanziando in parte anche i progetti. Le altre raccolte fondi, tutte da privati, sono dedicate esclusivamente allo sviluppo di servizi e nuove progettualità, senza ricorso a fondi pubblici.

Un iniziale approccio grant making, di fondazione di erogazione, si è evoluto in una vocazione più operativa a partire dai primi anni 2000,a svolta per la quale le famiglie fondatrici hanno patrimonializzato l’ente, continuando a finanziarlo ogni anno per il 50% del budget.
Nei primi anni Paideia contribuiva alla realizzazione di progetti di terzi, soprattutto sanitari, come alcuni reparti in ambito ospedaliero. Ha all’attivo il contributo al Centro di Terapia Intensiva al Sant'Anna, il Lactarium, la banca del latte, il Centro Trapianti Midollo Osseo progetti in collaborazione con Fondazione CRT e Compagnia di S. Paolo. Con quest’ultima, intorno al 2006 venne realizzata Casa U.G.I. per l’ospitalità alle famiglie di bimbi ospedalizzati al Regina Margherita.

Oggi è scesa direttamente in campo. Parliamo del modello peculiare disegnato e agito da Paideia con Fabrizio Serra, che la dirige. Classe 1971, un impegno dall’adolescenza nel volontariato, nel mondo della disabilità, dell'infanzia, nel sistema carcerario. Un’esperienza feconda con Caritas italiana nella gestione dell’emergenza dell'alluvione del '94, nell’organizzazione e nella gestione delle risorse. Laurea in chimica, master in management delle organizzazioni non-profit, si è “sempre occupato di legami tra atomi e composti, ora di legami tra le persone. Approcci diversi, ma si parla sempre di attrazioni e repulsioni, di difficoltà nel creare delle interazioni.” Paideia è stata per Serra una scelta di vita. Lasciata una professione imprenditoriale appagante dal punto di vista economico, spronato dalla moglie, venti anni fa ha colto l’opportunità unica di partecipare alla costruzione, da zero, di una grande Fondazione privata, rispondendo a una intima vocazione verso il sociale.

Come lavora la Fondazione Paideia? “Sempre di concerto con i soggetti locali”. Con l'Amministrazione in primis o le altre fondazioni, per individuare percorsi di sperimentazione, per intercettare le famiglie fragili “il terzo settore è un’ottima antenna nell’individuare le situazioni critiche, prima che si cronicizzino e spesso ha già in pancia le soluzioni.”, afferma Serra. Soluzioni che nascono spesso con i beneficiari, ma partono da studi e ricerche. “Uno dei nostri progetti benchmark nell'area tutela nasce dallo studio “La fatica di crescere”, pubblicato nel 2003, che ha indagato le fasce scoperte nell'ambito infanzia”. Studi utili anche e soprattutto all’ente pubblico per la progettazione delle politiche. Dallo studio alla progettualità. “Per rispondere alle evidenze della ricerca è nato un concorso di idee -metodologia efficace che metteremo in cantiere nuovamente, sempre partendo dall’analisi dei bisogni, in uno studio partecipato-. Dalle 243 idee pervenute ne scegliemmo sei, finanziandone lo start-up per trasformarle in progetto esecutivo. Tra queste “Una famiglia per una famiglia”. Una innovativa modalità che parte dai principi dell’intervento sociale dell'affido minorile, ma non allontana il minore dalla famiglia d'origine che viene affiancata da una o piùfamiglie risorsa, “in un'ottica di prossimità, di rinforzo di competenze educative, genitoriali, nella gestione del quotidiano, nella costruzione della rete sociale. Un meccanismo che produce un beneficio immediato in quanto non lavora sulla separazione, ma su nuove competenze”. Un esito positivo anche per le politiche sociali territoriali e le relative economie perché produce risparmi nel sistema dei servizi. Intervenendo preventivamente si evita l'allontanamento del minore.Dal numero rappresentativo di famiglie che abbiamo coinvolto, diverse centinaia, possiamo affermare che il ritorno, l'impact investing socio economico è significativo. Con il dipartimento Politiche Sociali del Politecnico di Milano stiamo costruendo indicatori di impatto”. Il progetto sta camminando in Italia su richiesta di numerose amministrazioni con le quali la Fondazione Paideia stipula un accordo di collaborazione” il nostro ente porta esperienza, trasmette know-how, segue la fase di avvio, monitoraggio e valutazione, ma l'amministrazione pubblica si impegna, al termine di due anni, valutate le risposte alle attese di progetto, a inserire la modalità di intervento nelle proprie politiche sociali. Abbiamo operazioni in Sardegna, Sicilia e Campania.” Progetti che diventano policies e politicsAbbiamo appena redatto la bozza di un testo di legge per far diventare politica nazionale “l’affido familiare.

300 sono i nuclei familiari seguiti con l’area “famiglie e disabilità”. Arrivano alla Fondazione su invito dei servizi pubblici o per passaparola. Personale qualificato -assistenti sociali, educatori, psicologi- fa counseling alle famiglie, affiancandole e accompagnandole.
La componente culturale, come l’attivazione di nuove risorse territoriali, è centrale in questo approccio. Numerose sono le best practice, tra le quali la formazione degli operatori Museali dedicati alle disabilità, che ha raggiunto numeri interessanti di soggetti coinvolti, diffondendo la cultura dell’accessibilità universale nei musei del territorio, attraverso la crescita delle competenze di accoglienzaIl progetto, realizzato con Fondazione CRT, si sta allargando su scala nazionale. Siamo al lavoro per un format intensivo destinato ai musei fuori regione. Abbiamo persone che arrivano da Trento, da Milano, da Firenze, da Siena, dalla Puglia”. L’esperienza è stata recentemente presentata da Serra in un panel organizzato dall’EU, a Bruxelles, con i musei eccellenti nell’inclusione tra cui il Van Gogh di Amsterdam e la Città delle Scienze di Parigi. “E’ in fase di pubblicazione un volume che potrà essere strumento per diffondere il modello formativo anche in altri contesti nazionali”, affinchè i musei possano essere “casa” per tutti. Non solo democrazia della Cultura, ma vero strumento di inclusione.
Cerchiamo di sviluppare una cultura dell’inclusione, documentando e narrando progetti in particolare sul tema della disabilità.” Seguono formazione e percorsi di responsabilizzazione, soprattutto sulle componenti maschili della società e delle famiglie. “Rinforzi educativi per gli uomini in quanto, generalmente, i servizi che riguardano la disabilità sono appannaggio della parte femminile della famiglia”.
La nascita di un bambino genera sempre una riorganizzazione della famiglia. Se disabile, lo iato tra il bambino desiderato e il bambino reale è destabilizzante. “Il tentativo di aggiustare il pezzo rotto e quindi fare in modo che in qualche modo la disabilità “venga riparata” è la riposta legittima che nasce da un bisogno umano, ma a oggi manca una risposta dalle strutture pubbliche rispetto agli aspetti riabilitativi, uniti ad aspetti educativi e sociali”.

Da questa esperienza e consapevolezza nasce il progetto sul quale la Fondazione sta investendo da anni numerose risorse economiche e di pensiero: un centro di nuova generazione con una visione integrata verso la disabilità, la cui apertura è prevista per fine 2017.
Abbiamo fatto esplorazioni internazionali per comprendere modelli, approcci filosofici, abbiamo aderito al movimento canadese Family Centered Care, ma ci siamo accorti che ogni realtà non era completa, che la prestazione sanitaria è indispensabile, ma non sufficiente, che manca un coordinamento tra i domini: tra l’area sociale, quella educativa e quella riabilitativa. Concentrarsi su uno solo di questi aspetti, come quello sanitario, rischia di ridurre tutto a un processo prestazionale.”*

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Il nuovo complesso avrà un modello innovativo attraverso il quale poter rispondere alle diverse esigenze espresse dalle famiglie con figli disabili, in pieno caos psicosociale: bisogni educativi, di accompagnamento, di cura, di supporto nello stress da accudimento con un forte lavoro sui siblings, ovvero sui fratelli e sorelle dei disabili, tema al quale è stato dedicato un convegno internazionale il 6 dicembre.
Il centro integrerà servizi specialistici con proposte di tempo libero e relax, di socializzazione delle famiglie, all’interno di una struttura non medicalizzata, ecosostenibile e completamente accessibile, anche in termini di costi, grazie a tariffe calmierate. La Compagnia di San Paolo con il Progetto ZeroSei, parteciperà e sosterrà la progettualità “ricreativa”, aperta al territorio.
La Fondazione ha acquisito, grazie ad una donazione , una struttura di circa 3000 mq in via Moncalvo 1 a Torino costituita da due edifici -una villa di inizio Novecento e un edificio degli anni Sessanta, fino al 2013 sede dell’Istituto Nostra Signora- che ora sta ristrutturando con un investimento di 8 milioni di euro.
Nel centro, ogni giorno, 60 bambini usufruiranno delle terapie riabilitative e delle attività proposte, con un coordinatore di progetto, punto di riferimento per la famiglia. 23 saranno i locali destinati alle attività di riabilitazione, socio-educative e ricreative. Sono previsti 1.000 accessi settimanali alle attività offerte dal Centro da 34 operatori e 150 volontari della Fondazione Paideia. Le terapie costeranno il 25% in meno rispetto agli standard. “Il modello di intervento sarà integrato con un sostegno su misura per ogni famiglia grazie alla presenza di un’equipe multi-professionale, con attività sportive e culturali, laboratori, corsi, feste ed eventi”.

Sono in corso le attività di recruitment e la relativa formazione degli operatori e la raccolta fondi per questo ambizioso progetto che dovrebbe raggiungere la piena auto-sostenibilità per il 2020.

L’impresa che è alle spalle della Fondazione, il gruppo finanziario Ersel, da un grande contributo e non solo economico. Il progetto è parte dei valori dell'organizzazione e il personale viene coinvolto in un impegno volontario.
Paideia cerca di far evolvere anche la cultura del dono e dei testamenti solidali anche se “ci sono resistenze culturali nell'approcciare il tema del futuro, il “tabù del dopo”, pur con patrimoni rilevanti che non hanno una continuità generazionale”. In Italia la percentuale delle persone che redigono testamento (solo il 10% degli over 55) è molto più bassa rispetto ad altri paesi europei. Si apre quindi una grande opportunità nell’individuare progetti che “portino avanti la memoria”. Recentemente la Fondazione Paideia ha redatto un documento sul tema “dei lasciti testamentari per valorizzare il patrimonio in opere visibili, riconoscibili e misurabili e conservare la memoria, trasmettere alle generazioni future una scelta, un impegno. Un po’ come avveniva in passato. Si sta un recuperando un sentimento storico”.
Molti patrimoni non hanno la massa critica per far nascere una fondazione, oppure per darle forza con governance che resista nel tempo e una visione di futuro. “Il rischio è che fondazioni nate da privati, nel tempo, si svuotino di motivazioni, sia con eredi o senza perchè si possono lasciare per disposizione testamentaria beni patrimoniali, ma non valori, una vocazione sociale e non basta una banale amministrazione.”
Avere una strategia sui lasciti sarà un fattore decisivo per in futuro. Nei prossimi 15 anni ci sarà una successione in 6 milioni di famiglie, molte delle quali in cerca di una buona causa e buone prospettive di risposta. L’infanzia negata, fragile e la centralità delle famiglie vulnerabili, possono essere il punto per ripensare la società e continuare a produrre senso. Dopo di noi.

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Ph | Courtesy Fondazione Paideia onlus

*Una storia vera per comprendere “ un bambino con disabilità fisica e ritardo cognitivo, due genitori splendidi con buone capacità culturali e un fratellino. La mamma è molto affaticata dal carico di cura e da quello del lavoro. Pensa che le difficoltà cognitive e relazionali del bambino siano dovute anche alla sua incapacità motoria. Un bravissimo riabilitatore che la convince che con un lavoro intensivo, quotidiano e un follow-up continuo, nel giro di 6 mesi il bambino possa recupare in movimento. La mamma acconsente, lascia il lavoro e si butta a capofitto sulla terapia. Raggiunge il risultato dopo 18 mesi. Nel frattempo il marito, che evidentemente non riceveva sufficienti attenzioni, trova un'altra soluzione affettiva e se ne va di casa. Con lui viene anche a mancare una componente economica importante. Il fratellino più piccolo inizia a dare forti segni di squilibrio a scuola e viene segnalato ai servizi per l'impossibilità di essere gestito. La mamma cade in una forte depressione ed entra in cura. Senza più reddito, ammalata, il bimbo piccolo supportato dalla neuropsichiatria infantile, non può seguire il bambino disabile che inizia una regressione. Ora è nuovamente in carrozzina. Quindi la prestazione che aveva dato il 100% di esito positivo, ha devastato il profilo olistico dell'equilibrio del nucleo.. Nessuno aveva aiutato la mamma a misurare qual era la ricaduta sul sistema famigliare di un intervento di quel tipo. Cioè mancava qualcuno che monitorasse il processo, non la prestazione.

* Disabili sempre più svantaggiati: l’assistenza è ormai un optional- Linda Lura Sabbadini- La Stampa 4 gennaio 2017. “Quasi 2 milioni sono le persone con limitazioni delle attività quotidiane, difficoltà nello svestirsi o spogliarsi, lavarsi le mani, tagliare il cibo e mangiare. 1milione e 500mila ha difficoltà di tipo motorio, 900mila nella sfera della comunicazione, nel vedere, nel sentire o parlare. (…) 1milion e 400mila è costretta a stare a letto o su una sedia o a rimanere confinato nella propria abitazione (..). Le differenze territoriali penalizzano molto, ancora una volta il Mezzogiorno. (…) Oltre un terzo dei laureati disabili è confinato nella propria abitazione (…)