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BES 2017, ECCO LA SALUTE DEL SETTORE CULTURALE

  • Pubblicato il: 15/01/2018 - 00:01
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Francesco Mannino

Il BES, Rapporto ISTAT sul Benessere Equo e Sostenibile in Italia, raggiunge la quinta edizione, e dimostra la sua natura dinamica nella analisi dello stato di salute degli italiani. In più parti i suoi indicatori e i suoi domini disegnano un quadro aggiornato dei beni e delle attività culturali, della partecipazione dei cittadini e delle imprese culturali e creative, elementi determinanti per la qualità della vita di un Paese. Vediamo come.


 
Il nuovo BES 2017
In più occasioni il Giornale delle Fondazioni si è occupato del BES, e delle sue implicazioni per gli aspetti più centrali nel dibattito ospitato dalla rivista. Il nuovo lavoro dell’Istituto di Statistica si propone di offrire un quadro informativo integrato e ragionato dei principali fenomeni sociali, economici e ambientali che hanno interessato l’Italia, indagandoli sotto la lente di precisi indicatori, in tutto 129, articolati come di consueto in 12 domini: Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività (prima denominato Ricerca e innovazione); Qualità dei servizi.
 
Revisione degli indicatori
In questa quinta edizione, ISTAT ha ritenuto opportuna la revisione approfondita del set di indicatori utilizzati fino al 2016, rivisitando in particolare i domini relativi a Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Innovazione ricerca e creatività, Qualità dei servizi: alcuni indicatori, non più aggiornabili, sono stati eliminati; altri invece sono stati introdotti per la prima volta perché ritenuti indispensabili per capire meglio il Paese. Ad esempio, per il dominio Paesaggio e patrimonio culturale è stato introdotto l’indicatore “Diffusione e attrattività del patrimonio museale”, e per il  dominio Ricerca e innovazione i nuovi domini “Investimenti in proprietà intellettuale” e “Occupati in imprese creative”. 
 
Il BES nel DEF
Un’importante novità riguarda il ruolo del BES ISTAT in relazione alle scelte future per il Documento di Economia e Finanza: Il 16 ottobre 2017 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) recante “Individuazione degli indicatori di benessere equo e sostenibile (Bes)”. Si è concluso così l’iter previsto dalla Legge163/2016 per l’identificazione del set di indicatori di benessere che entrano a far parte del ciclo di programmazione della politica economica del Governo. Ecco quali sono: Reddito medio disponibile aggiustato pro capite; Indice di diseguaglianza del reddito disponibile; Indice di povertà assoluta; Speranza di vita in buona salute alla nascita; Eccesso di peso; Uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione; Tasso di mancata partecipazione al lavoro, con relativa scomposizione per genere; Rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli; Indice di criminalità predatoria; Indice di efficienza della giustizia civile; Emissioni di CO2 e altri gas clima alteranti; Indice di abusivismo edilizio. A tal proposito il Ministro Padoan ha sottolineato che “l’Italia è il primo Paese nell’Unione europea e nel G7 ad aver introdotto gli obiettivi di benessere nella politica economica. […] In Italia bisogna migliorare la demografia, l'inclusione sociale, le strutture a sostegno della famiglia e il tasso di partecipazione dei giovani al lavoro’’.
 
Il benessere in chiave internazionale
Istat ha anche aggiornato e ampliato il set di indicatori sullo sviluppo sostenibile (SDGs, Sustainable Development Goals) che è parte integrante di una più ampia lista approvata dall'assemblea delle Nazioni Unite all'interno dell'Agenda 2030. Secondo il principio fondamentale “no one left behind” l’Istat ha reso disponibili un numero consistente di indicatori SDGs, come input alla definizione della Strategia italiana di sviluppo sostenibile: tema che pervade sempre più una consistente parte del dibattito internazionale sul superamento del PIL come unico metro di valutazione della solidità di un Paese o di aggregati di essi.
 
Nel frattempo, cosa succede nel mondo culturale?
Nel 2017 sia il documento della Fondazione Symbola “Io sono cultura” che il Rapporto Federculture hanno rappresentato un 2016 di forte crescita per il settore culturale e creativo, in termini di fatturati, occupazione, consumi. Quadro che sembrerebbe confermato dai recenti dati sulla fruizione del musei e monumenti del Paese (sia del 2016, ma soprattutto del 2017), con valori incrementali davvero stupefacenti (+10,5% di ingressi, +11,7% di incassi sul 2016). Va detto prima di procedere che sull’aumento degli incassi e degli ingressi nei musei influiscono anche i comportamenti di cittadini stranieri in viaggio di piacere, che non vengono indagati per ciò che riguarda il dato della partecipazione culturale.
 
Aumentano i consumi, poco o niente la partecipazione: cresce l’esclusione
Eppure, ad incrociare i summenzionati dati con quelli forniti sia dal Rapporto ISTAT 2017 che dal BES 2017, sembrerebbero emergere delle incongruenze che tenteremo di rappresentare.
Per cominciare, partendo dal Rapporto, a proposito della dieta culturale degli italiani tra il 2008 e il 2016, si evidenzia un aumento delle persone che non svolgono alcuna attività culturale (dal 34 al 37,4 per cento), e la diminuzione di coloro i quali ne svolgono 1 o 2 oppure 3 o più (dal 29,6 al 28,8 per cento). Tra le attività svolte (cinema; teatro, musei e/o mostre, siti archeologici, monumenti, concerti di musica classica, opera, concerti di altra musica; lettura di quotidiani; lettura di libri) aumentano in media tra tutti i gruppi sociali indagati solo i musei (+2,6%), i monumenti (+3,5%) il cinema almeno una volta (+2,0%), concerti di musica moderna (+0,9%). Tutti lievi incrementi che mostrano un forte divario quando si va ad entrare nel dettaglio dei gruppi sociali: le famiglie a basso reddito che non svolgono alcuna attività culturale aumentano del 5-6% nel periodo esaminato, del 6% le famiglie degli operai in pensione, e di quasi il 10% le famiglie tradizionali della provincia. Il 55,5 per cento degli appartenenti alle famiglie a basso reddito con stranieri non ha svolto, nel corso degli ultimi 12 mesi del 2016, nessuna forma di attività culturale. Tra le famiglie con stranieri residenti al Sud e nelle Isole, la percentuale degli esclusi dalla pratica culturale sfiora il 70 per cento. In sostanza la partecipazione è in lieve aumento solo nelle attività culturali svolte più raramente (una o due l’anno) e dai gruppi Famiglie di impiegati, Pensioni d’argento e Classe dirigente (media di incremento, 1,1%). A guardarla bene, la partecipazione culturale nel Paese sta diminuendo o scomparendo in ampie parti della popolazione, tranne che per un lieve aumento tra i gruppi sociali (complessivamente circa un terzo della popolazione) con più risorse (Impiegati) o proprio benestanti.
 
Il BES e la cultura: tre indicatori per capire
Qual è quindi la relazione tra patrimonio, produzione, fruizione e partecipazione culturale e il benessere degli individui e delle comunità? BES indaga trasversalmente la domanda, e restituisce un quadro che sembrerebbe più articolato di quello rappresentato da una lettura entusiastica delle tendenze recenti.  ISTAT indaga in tal senso 3 domini e con essi 3 indicatori. Vediamo quali.
Il dominio “Paesaggio e patrimonio culturale”, fornisce un insieme di elementi utili a comprendere come l’eredità paesaggistica e culturale del Paese venga percepita, sostenuta e fruita. In particolare, il nuovo indicatore “Diffusione e attrattività del patrimonio museale” indaga i musei e le strutture similari con l’obiettivo di misurare la “ricchezza culturale” dei territori. E ciò non avviene solo contando le strutture, ma incrociando la loro densità territoriale con il numero (variabile) dei visitatori annui, individuando così la parte “attiva” del patrimonio. Il risultato, espresso in unità (ponderate) per 100 km2, evidenzia una presenza più significativa del patrimonio museale attivo nelle regioni del Centro (3,9) rispetto a quelle del Nord (1,4) e del Mezzogiorno (0,8). I valori più elevati si individuano nelle regioni che ospitano i grandi poli di attrazione del turismo culturale (Lazio, Toscana, Campania e Veneto), e al contrario buona parte delle regioni del Mezzogiorno sono penalizzate dalla bassa fruizione del proprio patrimonio. Tra i due estremi si colloca il gruppo più numeroso (tutte le altre regioni del Centro-Nord più la Sicilia), con valori compresi in un intervallo piuttosto ristretto: tra 0,9 e 1,7 unità ogni 100 km2. Una considerazione: il metodo adottato da ISTAT per tale misurazione incrocia parametri strettamente quantitativi, classificando la vitalità dei musei sostanzialmente in funzione del numero di visitatori. Tale approccio rischia di penalizzare di fatto tutti quei territori che contano su poche istituzioni museali e magari non molto visitate dai grandi flussi, ma assai significative per le comunità di riferimento ed efficaci nelle attività educative e coesive.
 
Nel dominio “Istruzione e formazione” si trova il già esistente indicatore “Partecipazione culturale” che vede un incremento medio in tal senso dal 27,9% del 2015 al 28,8% del 2016. Per partecipazione ISTAT intende la “Percentuale di persone di 6 anni e più che, nei 12 mesi precedenti l’intervista, hanno svolto tre o più attività sul totale delle persone di 6 anni e più. Le attività considerate sono: si sono recate almeno quattro volte al cinema; almeno una volta rispettivamente a teatro, musei e/o mostre, siti archeologici, monumenti, concerti di musica classica, opera, concerti di altra musica; hanno letto il quotidiano almeno tre volte a settimana; hanno letto almeno quattro libri”. Insomma, una piena e attiva partecipazione culturale. Anche per  questo indicatore – già esaminato più sopra – si riscontra un gradiente territoriale: le persone che nel 2016 hanno svolto almeno 3 attività culturali (cinema, teatro, musei, ecc.) è superiore alla media nazionale nel Nord (33,6%) e nel Centro (31,9%) rispetto al Mezzogiorno (20,6%) area in cui si rilevano forti differenze tra le regioni: la Sardegna super la media nazionale (il 28,9%) mentre la Calabria è ultima in classifica (15,4%).
 
Infine, nel dominio “Innovazione, ricerca e creatività”, dal 2017 è presente il nuovo indicatore “Occupati in imprese creative”, utile ad identificare “una dimensione del capitale umano strettamente connessa con lo sviluppo economico”: nel 2016 i lavoratori occupati nelle professioni culturali e creative (che – a detta di ISTAT – contribuiscono sia all’aumento del benessere collettivo, migliorando l’inclusione e la coesione sociale, sia allo sviluppo economico per il loro impatto sull’innovazione) sono stati 612 mila, in diminuzione di 23 mila unità rispetto all’anno precedente. Di questi, gli occupati che svolgono un lavoro in imprese classificate come attive in settori culturali e creativi[1] sono 310 mila. Gli architetti, progettisti, geometri e designer costituiscono la categoria più rappresentativa (35,1%), seguiti dai lavoratori dell’artigianato (15,6%), gli artisti creativi e performanti (10,9%) e gli autori, giornalisti e linguisti (10,8%). Da un punto di vista territoriale l’occupazione in professioni culturali e creative non segue il tradizionale rapporto Nord-Mezzogiorno, con livelli più elevati al Centro (3,3% di occupati) che rimandano alla tradizione di alcuni territori (Lazio e Toscana) nelle attività culturali. Anche il Nord (2,8%) mostra un livello più elevato rispetto alla media nazionale (2,7%), in particolare per il contributo di Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. In netto svantaggio il Mezzogiorno, con un valore (1,9%) ampiamente al di sotto della media nazionale.
 
Cosa ci dicono i dati
Un dinamismo di fruizione dei luoghi della cultura molto diversificato nelle diverse aree geografiche del Paese, una presenza di occupati nel settore delle professioni culturali e creative importante ma in flessione, una partecipazione in lieve crescita ma assai polarizzata socialmente, che sembra in contrasto con i dati di una imponente crescita dei visitatori dei musei. È certo che ISTAT con il BES e con il Rapporto annuale ci aiuta a fare ulteriore chiarezza non solo sulle tendenze del settore culturale, ma anche sulla sua rilevanza per i cittadini. Che sembrano sempre meno interessati alla significatività dei prodotti e delle attività culturali o in grado di accedervi, tranne che alcuni di loro, con maggiori risorse economiche e quindi con una maggiore disponibilità a spendere (Cicerchia, 2017). Su questa ultima considerazione incide la lettura della “Spesa media mensile delle famiglie per capitolo di spesa e gruppo sociale di appartenenza” (Rapporto Annuale ISTAT 2017, p. 131), che vede per il 2015 la Classe dirigente impiegare il 6,6% del proprio budget familiare per “Ricreazione, spettacoli e cultura”, nettamente sopra la media (5,1%): sarà interessante capire, nelle prossime letture dei dati, quanto questo dato sia variato per ogni gruppo sociale, ed in particolare per quelli che restano più stabili nelle forme di partecipazione culturale. È in altri termini lecito chiedersi se l’aumento dei consumi culturali non sia il risultato di una congiuntura tra l’aumento dei consumatori turismo estero e la maggiore disponibilità economica di una minoranza benestante del Paese, e indagare la forbice che evidentemente esiste tra quei consumi e la partecipazione culturale, che ISTAT definisce “una delle dimensioni fondamentali nello studio delle diseguaglianze e dell’appartenenza ai gruppi sociali”. Una forma di partecipazione intesa non come mera fruizione, bensì come sintomo di una società capace di produrre equamente benessere, conoscenza, consapevolezza, coesione, capitale sociale, integrazione: che però una società sana deve saper garantire a tutti come opportunità accessibile.
 
Bibliografia:
CICERCHIA A., «La partecipazione, la pratica e consumo culturale dei gruppi sociali in Italia», in Statistica & Società, SIS 2017
CICERCHIA A., BOLOGNA E., «Salute, benessere e partecipazione culturale: tra narrazioni e indicatori», in Economia della Cultura, 2, 2017
CICERCHIA A. (a cura di), La partecipazione culturale dei giovani in Italia: la musica e l'arte contemporanea, Franco Angeli 2013
UNESCO, FON. FITZCARRALDO, Measuring Cultural Participation, UNESCO Institute for Statistics 2012
 
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[1]    Secondo quanto individuato in Eurostat (2016), Culture statistics, si tratta dei settori NACE: 5811 Edizione di libri; 5813 Edizione di giornali; 5814 Pubblicazione di riviste e periodici; 5821 Pubblicazione di giochi per computer; 59 Attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi, di registrazione sonora e di editoria musicale; 60 Attività di programmazione e trasmissione; 6391 Attività delle agenzie di stampa; 7111 Attività architettoniche; 741 Attività di design specializzate; 8552 Educazione culturale; 90 Attività creative, artistiche e di intrattenimento; 91 Biblioteche, archivi, musei e altre attività culturali.