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Quale ruolo per le fondazioni di comunità? Voci dalla Conferenza nazionale

  • Pubblicato il: 15/10/2018 - 00:03
Rubrica: 
FONDAZIONI DI COMUNITÀ
Articolo a cura di: 
Maria Elena Santagati
Come partner, abbiamo seguito sul campo la seconda Conferenza nazionale annuale delle fondazioni di comunità, promossa da Assifero  e 12 ottobre, quest’anno ospitata a Brescia dalla Fondazione di comunità bresciana. Un dibattito orientato al futuro di questi veri e propri catalizzatori di processi sociali, culturali ed economici, con tavoli di confronto sui temi della raccolta fondi e della mobilitazione della comunità e del sistema locale, lo scambio di conoscenze ed esperienze tra le fondazioni, site visits a esperienze locali sostenute dalla fondazione ospite. Obiettivo: la nascita di una comunità di pratica a livello nazionale.  Notiamo che la Cultura è materia viva nei processi di innovazione sociale, ma se ne parla ancora poco.
 
Brescia. Ben oltre l’erogazione, le fondazioni di comunità stanno acquisendo un nuovo posizionamento tanto nel sistema filantropico italiano quanto nella governance territoriale delle comunità di riferimento. Attualmente, in Italia si contano 37 fondazioni di comunità, e 4 in fase di costituzione a Fano, Ferrara, Potenza e Agrigento. Una fotografia della situazione italiana era stata proposta da Assifero già lo scorso autunno, con la pubblicazione della prima guida delle fondazioni di comunità (al quale dedicammo peraltro un articolo nel dicembre scorso). Un fenomeno in piena trasformazione e dalle non più trascurabili potenzialità, che vede l’evoluzione dell’impegno erogativo delle fondazioni in una responsabilità civica e sociale che si nutre delle risorse ed esigenze del proprio territorio di intervento, e che, in un numero sempre crescente di casi, vede la sperimentazione di strumenti, modelli e policy di sviluppo i cui impatti meritano di essere indagati. Con il processo di trasformazione in atto, il perimetro dell’ecosistema delle fondazioni di comunità pare allargarsi, includendo anche altri soggetti che, seppur non pienamente ascrivibili al modello originario di fondazione di comunità, ne assumono sempre più le sembianze, per la tipologia di intervento verso la comunità e di processi innescati sul territorio, tanto che il Global Fund for Community Foundations preferisce oggi parlare di Community philanthropy organizations. Una popolazione che varia, quindi, a seconda della lente con cui si osserva il fenomeno. «Vi è ancora uno sbilanciamento verso l’aspetto della fondazione e non della comunità. Le fondazioni di comunità sono molto più che enti erogatori o di raccolta fondi, è da superare l’idea di infrastrutturazione del dono verso una visione delle fondazioni di comunità come piattaforme di innovazione, veri e propri attivatori di capitale sociale e umano, catalizzatori di risorse finanziarie e non», afferma Carola Carazzone, dal 2014 Segretario generale di Assifero.

Comunità di cura e comunità operose

Un ruolo sempre più incisivo per queste fondazioni, che, come affermato da Aldo Bonomi nella plenaria di apertura della conferenza, «sono delle oasi in una situazione di desertificazione della capacità di tenuta della società, sono degli interlocutori fondamentali per capire se si riesce a ricostruire il senso della comunità». Questa tipologia di fondazioni pare incarnare appieno il protagonismo del terzo settore, e ne arricchisce le sue innumerevoli e mutevoli forme, contribuendo in modo inedito alla crescita culturale e all’infrastrutturazione sociale del territorio di riferimento, sia esso un quartiere, una città, una provincia o una regione. «Noi siamo in una dimensione in cui il discorso tra erogazione, beneficenza e intervento è assai complesso. Oggi il discorso del territorio non è più soltanto una dimensione residuale e caritatevole (vedi interventi in favore degli ultimi) (…), ma una dimensione strategica. Oggi siamo dentro un salto di paradigma: se prima, in tutto il Novecento, abbiamo ragionato con le categorie di capitale, lavoro e statualità in mezzo, che redistribuiva, oggi siamo entrati in un’altra polarità, dove diventa strategico il ruolo delle fondazioni di comunità. L’altro paradigma è che i flussi impattano nei luoghi e li cambiano culturalmente, socialmente, economicamente, antropologicamente, e in mezzo riappare la dimensione territoriale. Ad esempio, la finanza è un flusso. (…) Io credo che il compito delle fondazioni di comunità non sia mobilitarsi in rappresentanza del luogo o come emanazione dei flussi. (…) La fondazione di comunità deve percepirsi non solo come flusso ma anche come luogo. Il ruolo di queste fondazioni è quindi quello di stare in mezzo, tra luoghi e flussi, sviluppando una capacità di capire le dinamiche dei flussi ma soprattutto di coscientizzare i luoghi e produrre la coscienza di luoghi in grado di rapportarsi ai flussi. (…) Le fondazioni di comunità sono humus che permette la coscientizzazione dentro i grandi processi di cambiamento della modernità». Grazie a questa particolare posizione, e riprendendo il concetto di comunità inoperosa di Jean-Luc Nancy, Bonomi vede le fondazioni di comunità come degli operatori allo stesso tempo della comunità di cura e della comunità operosa. «Le fondazioni di comunità sono un pezzo mobilitante della comunità di cura, ma è necessario andare oltre, perché alla comunità di cura si contrappone sempre la comunità del rancore, che purtroppo prevale sull’altra. È necessario quindi andare anche al polo opposto, quello della comunità operosa, ed essere allo stesso tempo in entrambe. Pensiamo al modello di Brescia, che ha tenuto, mettendo insieme cura e operosità. Auspico per le fondazioni di comunità una capacità di tenere assieme l’utile (gli interessi) e il senso. Queste fondazioni sono luoghi in cui si produce senso e allo stesso tempo si lavora sull’utile, tenendo insieme la coscienza di classe e la coscienza dei luoghi. Una parte fondamentale della società italiana».

 
Agopuntori del territorio consapevoli e competenti

Sempre nella plenaria di apertura, Felice Scalvini, presidente di Assifero, ricollegandosi al concetto di comunità di cura, definisce le fondazioni di comunità come agopuntori del territorio, riprendendo un’espressione utilizzata da Stephen Heints, presidente del Rockefeller Brothers Fund, in occasione del primo incontro delle fondazioni di famiglia organizzato da Assifero a Villa Arconati-Far (Milano) il 12 settembre[1]. «Ci sono tanti tipi di medici, le fondazioni sono un terapeuta specifico perché hanno poche risorse… E qual è il terapeuta che ha poche risorse? L’agopuntore, ovvero quel terapeuta che con un ago finissimo (una risorsa infinitesimale), va a colpire una parte reattiva del corpo e riesce a produrre un effetto positivo. Noi, le fondazioni, dobbiamo essere degli agopuntori, dobbiamo mirare a colpire i gangli vitali della società». È così che le fondazioni vanno a sollecitare le energie attive e soprattutto latenti sul territorio, con l’obiettivo di attivare processi di sviluppo a vari livelli. Per far ciò, il Presidente sottolinea l’esigenza di aumentare la conoscenza del territorio in cui si agisce, è necessario «impegnarsi a conoscere il corpo su cui operiamo, conoscere vuol dire avere relazioni, accumulare relazioni, diventare luogo d’incontro, conoscere e diagnosticare la storia del proprio territorio». E in questo senso si situa, ad esempio, la costituzione di una Consulta per la rilevazione dei bisogni del territorio ad opera della Fondazione della comunità bresciana. Alla conoscenza è opportuno affiancare delle competenze, che «aiutano sia sul fronte della raccolta sia sul fronte della distribuzione delle risorse e sulla capacità di creare alleanze. Quando si riescono a mettere insieme competenze e risorse si diventa uno straordinario attivatore e si riescono a costruire progetti di grande respiro. Qual è l’occasione migliore per accumulare competenze da parte delle fondazioni? È la conoscenza dei progetti che si ricevono, da studiare non soltanto per la loro valutazione, ma soprattutto per capire cosa dicono della comunità, e poi, valutandone i risultati, capire l’efficacia del nostro intervento. Dovremmo impegnarci nella valutazione delle nostre fondazioni per diventare sempre più capaci di allocare risorse e magari con meccanismi diversi da quelli del bando»[2]. Competenze che possono anche essere messe in rete e condivise tra fondazioni di comunità per progetti di ampio respiro, come dimostra il progetto «Batti il cinque» promosso dalle fondazioni di Lecco, Brescia, Torino-Mirafiori, Napoli-San Gennaro e Messina che, a partire da gennaio 2019, svilupperà interventi di contrasto alla povertà educativa per la fascia d'età dai 5 ai 14 anni. Il progetto ha recentemente ottenuto un finanziamento di 2,7 milioni di € (su un valore totale di 3,3 milioni di €) dall’impresa sociale «Con i bambini» (bando «Nuove generazioni»).

A sostegno di progetti di utilità sociale per il territorio è attiva anche UBI Comunità, la divisione di UBI Banca costituita nel 2016 a partire da servizi già esistenti all’interno dell’istituto bancario, che, in occasione della conferenza, ha illustrato le varie modalità di supporto, dai social bond ad accordi e collaborazioni con enti del terzo settore, ma anche sostegno a progetti specifici e startup sul territorio, a dimostrazione che «la finanza può diventare uno strumento a servizio del bene comune», come affermato da Pietro Tosana. Dal 2012, UBI conta 90 social bond con oltre un miliardo di € raccolti, 4,7 milioni di € erogati, 35.000 clienti sottoscrittori e 80.153 beneficiari diretti. Il tutto con una particolare attenzione alla misurazione del valore sociale e allo SROI-Social Return On Investment.
 
Piattaforme di innovazione

Tendenza confermata da molte delle fondazioni di comunità italiane[3] e dai progetti presentati in occasione della Conferenza nazionale, è quella di essere soggetti incubatori e promotori di processi generativi, grazie ad una rara e quantomai preziosa visione strategica, legata anche alla peculiare autonomia che li caratterizza. Degli attori nodali nel sistema di governance del territorio, per cui l’erogazione si configura come uno dei vari strumenti a supporto del perseguimento di obiettivi di sviluppo umano e sostenibile. Ne è un esempio il progetto «Ecologia integrale per i diritti dell’infanzia», promosso dalle fondazioni di Messina (soggetto capofila) e di Brescia con il coinvolgimento di una pluralità di attori pubblici e privati (comuni, università, cooperative sociali e associazioni nazionali). Finanziato anch’esso dall’impresa sociale «Con i bambini» (bando «Prima infanzia 0-6 anni») per un importo di 2.356.000 €, il progetto è rivolto a bambini neonati e alle relative famiglie residenti in territori selezionati, con l’obiettivo di contrastare la povertà neonatale attraverso la sperimentazione di policy d’integrazione, azioni di supporto educativo e culturale di peer to peer (Tempo per le famiglie e Mamma per mamma), e modelli di lotta alla povertà tramite attività integrate tra comunità locale e servizi sociali specialistici.
Non manca la collaborazione e lo scambio con realtà analoghe a livello internazionale − anche grazie alla partecipazione di Assifero ad ECFI-European Community Foundation Initiative − come dimostrano le iniziative a cui hanno partecipato: la Fondazione di Monza e Brianza, con un progetto Erasmus+ Youth Exchange di condivisione dell’esperienza della Youth Bank con altre fondazioni di comunità europee, che ha portato all’organizzazione di una summer school per giovani sul tema dell’imprenditorialità sociale; la Fondazione San Gennaro, con una study visit in Lettonia insieme a rappresentanti di fondazioni di comunità di altri paesi europei; la Fondazione della comunità bergamasca, che ha accolto e ospitato per una settimana la delegazione di una fondazione analoga con sede in Romania.
«Queste fondazioni di comunità stanno trasformando il modo tradizionale di finanziare, di investire, di erogare sperimentando policies e approcci innovativi e nuove modalità di finanziamento, diverse dai bandi, attraverso policy di scouting, dialogo costante, accreditamento e costruzione di relazioni di fiducia basate sulla condivisione della missione e meccanismi di comparazione degli obiettivi strategici. Queste fondazioni di comunità stanno costruendo alleanze e partnership strategiche su missioni, che scardinino la relazione erogatore-beneficiario di progetto, verso un modello in cui il partner finanziatore e il partner implementatore stanno in una relazione di partnership strategica e reciprocità vitale e non di dipendenza top-down», sostiene Carola Carazzone[4].
Nonostante ad alcuni possa apparire un ossimoro l’accostamento di due termini dal significato così antitetico, tanto la fondazione necessita ed evoca l’esistenza di un patrimonio per il suo esistere, tanto la comunità «ci è data con l’essere e come l’essere, ben al di qua di tutti i nostri progetti, volontà e tentativi. In fondo, perderla ci è impossibile»[5] (per dirla con Jean-Luc Nancy), l’esperienza delle fondazioni di comunità, così straordinariamente orientate al bene comune e intrise di senso e concretezza, conferma che «se mai può esistere ancora una comunità nel mondo degli individui, può essere (ed è necessario che sia) soltanto una comunità intessuta di comune e reciproco interesse; una comunità responsabile, volta a garantire il pari diritto di essere considerati esseri umani e la pari capacità di agire in base a tale diritto»[6].
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[1] Un’intervista a Valerie B. Rockefeller, Chair del Board of Trustees del Rockefeller Brothers Fund e Stephen B. Heintz, Presidente, è stata realizzata da Vittoria Azzarita per il nostro giornale in occasione del Primo Incontro delle Fondazioni di Famiglia Italiane.
[2] A questo proposito si veda anche l’articolo di Carola Carazzone “Due miti da sfatare per evitare l’agonia per progetti del terzo settore” pubblicato dal nostro giornale lo scorso marzo
[3] Per alcuni esempi si veda la nostra rubrica “Fondazioni di comunità”
[4] Dall’articolo di Carola Carazzone “Le Fondazioni di comunità in Italia: da erogatori a attivatori di capitale sociale e catalizzatori di innovazione”, pubblicato anche dal nostro giornale in data 11 ottobre.
[5] Jean-Luc Nancy, La communauté désoeuvrée, Paris, Christian Bourgois Éditeur, 1986 (La comunità inoperosa, Napoli, Cronopio, 2003, p.78).
[6] Zygmunt Bauman, Voglia di comunità, Bari-Roma, Laterza, 2001, p. X.