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Patrimonio culturale: parabole aziendali e nuove simbologie collettive

  • Pubblicato il: 15/10/2018 - 00:00
Rubrica: 
FONDAZIONI D'IMPRESA
Articolo a cura di: 
Massimiliano Zane
Oggi il patrimonio culturale include ciò che prima era indicato distintamente come “cultura”. Così accade che come ad uno specchio, la percezione comune e l’essenza stessa delle idee di “cultura” e “patrimonio” siano fluide ed in evoluzione e che questa evoluzione tocchi di rimando anche i luoghi di cultura in generale, e particolarmente i musei, sempre più “costretti” a rivedere la propria definizione, i propri confini e le proprie narrazioni.

Oggi il patrimonio culturale include ciò che prima era indicato distintamente come “cultura”, definizione eventualmente poi declinata nelle infinite specificità: linguistica, gastronomica, locale, musicale... ovvero riguarda non solo la produzione “elevata” dell’intelletto umano (arte, scienza, letteratura...), bensì l’insieme delle pratiche, dei saperi e delle consuetudini, di ogni gruppo umano sociale o comunità; particolarmente in rapporto con un territorio.

Uscito di scena il riferimento ad un insieme di «beni» di valore principalmente economico legittimamente tramandato, il patrimonio viene investito di inedite funzioni, passando da entità nazionale, statale, asettica a patrimonio sociale, comunitario di carattere simbolico, legato alla memoria collettiva condivisa e alla nozione di identità (Bellato 2011) : il patrimonio culturale non consta più solo di oggetti ma è ricordo, testimonianza, e doppio specchio di un’epoca passata e della contemporanea che vi si riflette, traendone quotidianamente nuova linfa vitale. In ogni sua forma, dunque, il patrimonio coinvolge sempre più settori e soggetti differenti; può potenziare lo sviluppo endogeno di risorse economiche e sociali di un’area urbana; l'integrazione della comunità e del territorio; generare occupazione e sfruttare le opportunità imprenditoriali. Prospettive ormai riconosciute, queste, e così accade che la percezione comune delle idee stesse di “cultura” e “patrimonio” siano fluide, in evoluzione.

Ciò quindi spinge a nuove vie d’interpretazioni della stessa definizione di “museo”. A superare quella fatta propria dal “codice dei beni culturali e del paesaggio” all’art. 101 che indica tali realtà nei termini di “struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”, e di avvicinarci maggiormente a quella dell’International Council of Museums (ICOM) che invece definisce il museo come “un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto.” Due prospettive, queste, solo superficialmente simili: l’una rispetto all’altra, difatti, rimanda a concetti di patrimonialità propriamente tangibile, richiamando a se le espressioni tutte italiane “beni culturali” o “patrimonio storico artistico”. Termini che, al confronto con un contesto internazionale di “patrimonio”, appaiono mantenere implicita una componente restrittiva. Forse dunque, anche nel Bel Paese è giunto il momento di iniziare ad accettare lo sviluppo concreto del concetto ampio di Cultural Heritage e di provare a riconoscervi in esso le specificità peculiari dell’identità culturale territoriale italiana. Ecco che allora in un concetto di museo così “rivisto” si possono introdurre anche altri focus con contorni molto più sfumati, e fin qui intesi solo marginalmente nel panorama culturale: quello dei musei e degli archivi di impresa.
 
Per Quintiliani (2015), “il museo aziendale rispetto al museo classico non si presta ad una definizione univoca in quanto in continua evoluzione e ibrido, collocabile al confine tra due mondi: il mondo della cultura/arte e il mondo del profit”. Per altro verso, tuttavia, Montella (2010) prova a catalogare i musei d’impresa come musei che attestano di: “appartenere direttamente o per il tramite di un soggetto strumentale ad un’impresa tuttora attiva; essere dedicati alla storia dell’impresa e/o a temi connessi con l’attività d’impresa; essere destinati a contribuire alla creazione di valore per l’impresa attraverso la diffusione del brand e dell’immagine aziendale”.

Perché, se è vero che fino a non molto tempo fa i musei ed archivi d’impresa risultavano essere puramente elementi di promozione nati come apice di strategie di heritage marketing (atti quindi a valorizzare il produttore in se e la sua storia: aziende, brand, marchio), oggi appaiono anche in altra veste: come attori culturali nuovi, ancora non ben definiti ed in mutamento continuo, ma che sempre di più guardano al proprio “vissuto storico” come elemento di continuità e trasmissione del vissuto di comunità e territori. Uns inedita chiave interpretativa di rappresentazione e diffusione della dimensione culturale “locale”. Una dimensione culturale profonda, radicata, da scoprire e che risiede nell’attenzione ai “significati” del territorio ed alla loro narrazione. Una narrazione che oggi si è fatta non solo importante, ma per molti aspetti dirimente in molteplici settori: economici, sociali, educativi, turistici e, non da meno, produttivi.

E perché allora non anche culturali? A questo proposito, e a fronte di questa nuova prospettiva (e nel tentativo di mettere ordine), nel 2017 è stato sottoscritto un accordo in seno al MiBAC che “riconosce e promuove il ruolo culturale e sociale dei musei delle imprese e li inserisce nella rete dei luoghi d’arte nazionali”, dando il via a che 64 musei ed archivi storici d’impresa venissero riconosciuti sul territorio italiano nell’Associazione Italiana Archivi e Musei d’Impresa. Ma molti altri musei di tale fattispecie restano ad oggi fuori da questo circuito, ed altri ancora, strutturati in maniera differente, votata più all’interpretazione artistica del narrato aziendale, si stanno affacciando a questa nuova dimensione cercando il proprio spazio all’interno di un fenomeno magmatico. Il panorama è e resta complesso ed il perché è chiaro: accomunare realtà aziendali, narrazioni territoriali, cultura e tradizione artistica e di comunità, coinvolge realtà molto differenziate e rappresentazioni molteplici di un dinamismo economico e sociale tutt’altro che omogeneo. A questo proposito, con il suo studio L’esperienza dei musei di impresa in Veneto: un connubio virtuoso tra impresa, territorio e turismo la Fondazione Nord Est ha provato a mettere in fila le esperienze dei musei d’impresa del Veneto. Una indagine non puramente di natura accademica, ma con un rilievo importante sull’operatività concreta degli attori economico-sociali che offre un quadro interessante sulle molte potenzialità, non solo culturali, che risiedono in questo nuovo segmento di produzione culturale.

Un fenomeno inquieto, dunque, tutto da scoprire, quello dei musei di impresa ma particolarmente “vivace” nel tessuto italiano, e che potrebbe realmente contribuire ad implementare il panorama della “produzione culturale nazionale” attraverso una nuova narrazione peculiare; che si espande dalla produzione attiva aziendale e che diviene elemento vivo di valorizzazione culturale e di contatto con i territori da cui nasce e con cui opera. Un contatto unico, produttore di “valore” ed attrattività uniche. Matrice indispensabile per interpretare la cultura, la conoscenza di un territorio, tra memoria recente e memoria di tradizione, tra luoghi e genti, tra senso di appartenenza e di appaesamento, contribuendo alla distintività del territorio stesso. Un museo che, superando l’esclusivo legame tra il museo aziendale e l’impresa – o le imprese – cui esso originariamente afferiva (o afferisce tuttora), amplifica la capacità di costruire e diffondere un rinnovato senso dei propri ed altrui significati, di imprinting condiviso, autenticamente collettivo.

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