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L'importanza della diversità per la definizione delle politiche culturali dei prossimi anni

  • Pubblicato il: 14/02/2016 - 11:50
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Vittoria Azzarita

A dieci anni dalla sua approvazione, l’UNESCO ha pubblicato il primo report globale sulla «Convenzione sulla Protezione e Promozione della Diversità delle Espressioni Culturali». Ratificata da 141 Paesi in tutto il mondo, la Convenzione rappresenta il principale strumento di indirizzo per la definizione delle politiche culturali, a livello internazionale. Analizzando il lavoro svolto in questi anni, lo studio prova a capire quanto la Convenzione sia stata capace di ispirare cambiamenti positivi nelle politiche e nelle misure culturali implementate dai vari Stati, e quanto invece debba ancora essere fatto
 
 
 
La Convenzione sulla Protezione e Promozione della Diversità delle Espressioni Culturali[1], adottata dalla Conferenza generale dell'UNESCO nel 2005, è stata capace di apportare i cambiamenti positivi che i suoi estensori si auspicavano? È questa la domanda con cui si apre il rapporto «Re|Shaping Cultural Policies. A Decade Promoting the Diversity of Cultural Expressions for Development»[2], con cui l'UNESCO ha voluto celebrare i 10 anni trascorsi dall'adozione della Convenzione sulla diversità culturale.
 
Frutto di un lungo lavoro di negoziazione tra le istituzioni pubbliche e i rappresentanti della società civile di tutto il mondo, avvenuto tra il 2000 e il 2005, la Convenzione assegna alle varie forme mediante cui il patrimonio culturale mondiale dell'umanità viene espresso, arricchito e trasmesso, un elevato valore intrinseco per la loro capacità di essere veicoli di identità e significati distintivi rispetto ad altri tipi di beni e risorse.
La Convenzione, ratificata ad oggi da 141 Paesi in tutto il mondo, fonda i propri scopi e principi sulla rilevanza che la diversità culturale riveste per il pieno sviluppo delle comunità, dei popoli e delle nazioni quale «caratteristica inerente all’umanità», riconoscendo – e anzi sostenendo – il contributo che le industrie culturali e creative offrono alla crescita sociale ed economica in quanto produttrici di ricchezza materiale e immateriale.
Consapevole della necessità di «integrare la cultura quale elemento strategico in seno alle politiche di sviluppo nazionali e internazionali nonché alla cooperazione internazionale allo sviluppo», la Convenzione sottolinea l'urgenza di delineare un nuovo sistema di governance della cultura, che non può derivare in maniera esclusiva da interventi attuati a livello locale attraverso il coinvolgimento degli stakeholder pubblici, privati e della società civile, ma che deve obbligatoriamente prevedere anche misure di solidarietà e cooperazione internazionale.
La qualità e la funzionalità di questo nuovo sistema di governance della cultura sono tanto importanti quanto la sua attuazione, e dipendono da un insieme ampio e variegato di fattori tra i quali è possibile citare: la volontà politica e il grado di priorità dato alla cultura dalle autorità pubbliche e dalla società in generale; il livello di coinvolgimento della società civile e degli operatori culturali nella definizione delle linee di indirizzo delle politiche culturali; la disponibilità di risorse umane e finanziarie; la capacità e le competenze delle istituzioni pubbliche e delle altre categorie di stakeholder nel formulare strategie e politiche, rilevanti e realmente orientate all'azione; la disponibilità di dati e informazioni che possano contribuire all’effettiva realizzazione di una governance informata e trasparente.
Attraverso l’utilizzo di 33 indicatori e grazie alla collaborazione di un cospicuo numero di esperti, che hanno fornito una propria valutazione critica e indipendente, il volume analizza il lavoro svolto in questi anni rispetto ai quattro obiettivi chiave che la Convenzione intende perseguire.
 
 
Sostenere sistemi sostenibili di governance della cultura
Il primo obiettivo focalizza la propria attenzione sulla capacità dei vari Stati di favorire lo sviluppo di sistemi di governance della cultura orientati a sostenere la creazione, la produzione, la distribuzione e l'accesso alla varietà di beni e servizi culturali, presenti in un determinato contesto. Esaminando le politiche culturali adottate a livello locale, nazionale e internazionale, e approfondendo le modalità di funzionamento e finanziamento dei servizi pubblici d’informazione e del settore delle nuove tecnologie, lo studio evidenzia che sebbene molti risultati siano stati raggiunti, continuano a esserci numerosi margini di miglioramento.
Le valutazioni effettuate dagli esperti dicono che la maggior parte degli Stati ha dimostrato di recepire le linee di indirizzo contenute nella Convenzione, riformando nel corso del tempo le proprie politiche culturali oppure adottando nuovi strumenti e misure a favore della promozione della diversità culturale. Al contempo però, in un momento storico in cui molti Paesi stanno affrontando una grave crisi finanziaria accompagnata da ingenti tagli alla spesa pubblica, risulta essere sempre più difficile stimolare le Parti a introdurre cambiamenti e miglioramenti nelle politiche a sostegno del settore culturale. In un contesto globale fortemente disomogeneo, molti Stati devono spesso fare i conti con una distribuzione iniqua delle risorse all'interno dei loro territori, con notevoli differenze tra aree urbane e aree rurali. Questi aspetti rendono indispensabile stabilire una effettiva cooperazione tra diversi ministeri e agenzie governative, e una più intensa collaborazione tra il settore pubblico e quello privato, due misure che risultano essere scarsamente sviluppate e promosse anche a causa di un insieme di conoscenze e competenze mediamente inadeguato rispetto alle reali esigenze del comparto culturale.
Garantire la pluralità delle espressioni culturali e dei loro contenuti diviene un risultato non facile da raggiungere nei Paesi in cui, la libera circolazione delle informazioni e l’indipendenza dei mezzi di comunicazione di massa risultano essere fortemente compromesse e penalizzate sia dalla mancanza di una adeguata cornice legale e regolamentare, che dall’assenza di una opportuna distanza e indipendenza dai sistemi di governo. Anche per far fronte a problematiche di questo tipo, la Convenzione desidera non solo stimolare la nascita di contesti mediatici pluralisti, ma incentivare anche una maggiore partecipazione della società civile quale interlocutore capace e autorevole, in grado di far valere le istanze degli individui che rappresenta.
Nelle intenzioni dei promulgatori, la società civile dovrebbe svolgere il ruolo di «cultural watchdog» monitorando e valutando l'operato degli attori pubblici nei campi della cultura e della creatività, soprattutto in quelle parti del mondo dove è più difficile garantire una piena affermazione della diversità delle espressioni culturali.
 
 
 
Aumentare la mobilità dei beni e servizi culturali, degli artisti e degli operatori culturali
Attraverso il secondo obiettivo, la Convenzione intende favorire l'adozione di politiche a sostegno della mobilità dei beni e servizi culturali, degli artisti e degli operatori culturali. Puntando sulla stipulazione di trattati e accordi internazionali, l’UNESCO auspica una maggiore circolazione della cultura specialmente dai Paesi in via di sviluppo verso le aree economicamente mature.
Il rapporto afferma che sebbene il valore complessivo delle esportazioni mondiali di beni culturali è stato pari a 212,8 miliardi di dollari nel 2013, la quota di mercato detenuta dai Paesi in via di sviluppo rappresenta il 46,7% del totale, che risulta essere un incremento marginale rispetto al 2004. Il valore complessivo delle esportazioni mondiali di servizi culturali è stato pari a 128,5 miliardi di dollari nel 2012, di cui solo l'1,6% è stato generato dalle economie emergenti. In tale contesto, la Cina e l'India sono le uniche due realtà che riescono a competere in maniera significativa con i Paesi sviluppati che detengono il primato in questo settore.
La mobilità culturale risulta essere infatti strettamente correlata al benessere economico. Non è un caso che in presenza di condizioni economiche avverse, le risorse finanziare destinate a incentivare la mobilità culturale – sia nazionale che internazionale – siano influenzate negativamente dai tagli alla spesa pubblica e privata. Questa dinamica si verifica con maggior frequenza nel Sud del mondo, dove la combinazione di scarsità di fondi e mancanza di visione intorno a questo tema, si traduce generalmente in una maggiore dipendenza dai finanziamenti provenienti dalle regioni del Nord per consentire l’attuazione di programmi di mobilità artistica e culturale altrimenti non sostenibili. La creazione di un forte vincolo tra il Sud e il Nord del mondo, rischia di compromettere la libertà d’espressione degli artisti, che dovrebbe essere al contrario tutelata e garantita.
Anche se alcuni Paesi hanno adottato misure contro tali restrizioni, gli artisti non possono a tutt'oggi muoversi e viaggiare liberamente in determinate parti del mondo. Questa situazione limita di fatto un flusso equilibrato di beni e servizi culturali, rendendo cruciale la definizione di politiche che incoraggino la mobilità degli artisti, specialmente quelli provenienti dalle zone in via di sviluppo, con l'intento di espandere il loro accesso ai nuovi mercati e di aumentare le opportunità di collaborazione tra culture e popoli diversi.
Nell’attuale clima di insicurezza e di crescente instabilità economica, nel quale divengono sempre più frequenti le pressioni politiche orientate a limitare i flussi migratori, la promozione della mobilità degli artisti torna a essere un argomento di grande attualità con notevoli implicazioni in campo culturale, sociale ed economico. Al contempo la libera circolazione dei beni e servizi culturali può essere intaccata dalla stipula di trattati commerciali internazionali, che in qualche modo possono porre limiti e ostacoli alla circolazione di alcuni beni e servizi. Per questo le Parti che hanno ratificato la Convenzione dovrebbero porre particolare attenzione alle trattative a cui decidono di partecipare, rifiutandosi di sottoscrivere accordi che potrebbero ostacolare la promozione e la diffusione della diversità culturale.
 
 
Integrare la cultura nelle strategie di sviluppo sostenibile
Il terzo obiettivo verte all’integrazione della cultura nella cornice più ampia dello sviluppo sostenibile, attraverso l’introduzione di politiche e misure che sappiano favorire la crescita delle industrie culturali, generando ricadute non solo economiche ma anche sociali, culturali e ambientali.
Come asserisce David Throsby nel suo commento alla Convenzione, la cultura non è una pre-condizione per lo sviluppo ma è parte integrante del processo di sviluppo. In tal senso il concetto di «sviluppo culturalmente sostenibile» deriva dallo stretto parallelismo tra capitale naturale e capitale culturale, dove quest’ultimo – nella sua interpretazione economica – può essere definito come l’insieme degli asset che costituiscono oppure aumentano il valore culturale rispetto al valore economico che tali risorse già possiedono.
Evidenziando la doppia natura del settore culturale, in quanto portatore di un valore culturale e di un valore economico, Throsby richiama i tre principi chiave della nozione di sviluppo culturalmente sostenibile. Nella sua visione, il raggiungimento di un maggior benessere e di una migliore qualità della vita passano attraverso un'equità intergenerazionale, in grado di salvaguardare la capacità delle generazioni future di accedere alle risorse culturali e di soddisfare i propri bisogni culturali; un'equità intra-generazionale capace di garantire le stesse opportunità di accesso e di partecipazione alla vita culturale della comunità senza alcun tipo di discriminazione; e la centralità della diversità la cui tutela acquista la stessa valenza della salvaguardia della biodiversità in campo scientifico e ambientale.
 
 
Promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali
Recependo appieno i valori fondanti dell'UNESCO e i diritti fondamentali dell'uomo, la Convenzione asserisce che sostenere e difendere le libertà di espressione, informazione e comunicazione degli artisti e degli operatori culturali è un prerequisito per la creazione, la diffusione e l'accesso alla diversità delle espressioni culturali.
Purtroppo a livello globale non sempre tali libertà sono garantite e tutelate: secondo le stime di Freemuse, nel 2014 sono stati registrati 237 attacchi contro manifestazioni artistiche in tutto il mondo. Tali limitazioni, oltre a rappresentare un grave e pericoloso abuso di potere, generano importanti perdite culturali, sociali ed economiche, instaurando un clima di tensione e creando un ambiente insicuro per gli artisti e i loro pubblici.
La promozione dei diritti umani passa anche attraverso l'adozione di politiche e misure in grado di riconoscere l'uguaglianza di genere e di promuovere l'empowerment delle donne, un ambito in cui molti Stati risultano essere carenti e poco propositivi.
Come riportato nella quarta di copertina del rapporto, gli anniversari sono un'occasione per riflettere e pianificare. La Convenzione sulla diversità delle espressioni culturali dell'UNESCO continua a essere uno strumento di grande utilità e modernità, non solo per il miglioramento delle politiche culturali, ma anche per la ridefinizione delle politiche economiche e sociali. Ricordare che la diversità è ciò che ci rende umani, speriamo possa contribuire alla costruzione di un ambiente maggiormente accogliente e tollerante in cui la cultura sia parte integrante, e non marginale, dei meccanismi che regolano il funzionamento della società.
 

 
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[1]    Il testo completo della Convenzione sulla Promozione e Protezione della Diversità delle Espressioni Culturali può essere consultato al seguente link http://www.unesco.it/_filesDIVERSITAculturale/convenzione_diversita.pdf
[2]    La versione integrale del rapporto è liberamente consultabile e scaricabile al seguente link http://unesdoc.unesco.org/images/0024/002428/242866E.pdf