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Diffondere la cultura dell’accountability nel settore culturale

  • Pubblicato il: 14/06/2016 - 18:45
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CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Neve Mazzoleni

Un nuovo volume “Cultural accountability. Una questione di cultura” a cura di Stefano Monti rimette al centro il tema della necessità per il settore culturale di essere misurabile nei suoi impatti, non solo per incontrare nuovi potenziali partner economici di progetto, ma per sapersi meglio condurre, sostenere con responsabilità

Il sottotitolo del volume “Cultural accountability. Una questione di cultura” per i tipi di Franco Angeli, che Stefano Monti, CEO di Monti&Taft, ha voluto inserire in copertina introduce subito il concetto principale. L’accountability della cultura riunisce due questioni urgenti: la prima è la necessità di dotarsi di strumenti di rendicontazione per rendere la nostra produzione culturale più valutabile; la seconda invece sottolinea il tema della necessità di diffondere la cultura dell’accountability, ovvero un atteggiamento più strutturato, imprenditoriale che dia forza alle organizzazioni culturali.
Senza conoscenza della propria organizzazione, non c’è possibilità di monitoraggio e quindi non c’è possibilità di miglioramento. Per superare questo gap, il volume propone un percorso in tre capitoli, che permettono ai lettori -e in particolare alle organizzazioni culturali - di ricostruire l’ampio scenario entro il quale si muove il concetto di accountability. Si parte con la definizione nel primo capitolo, per passare all’analisi di stumenti internazionali di misurazione nel secondo; per chiudersi nel terzo capitolo con un approfondimento proprio sul settore culturale, con le esperienze al momento attive sul tema.
E proprio da una disamina approfondita delle parole chiave, comincia il primo capitolo, con lo scopo di adottare un vocabolario comune per ridurre al minimo margini di incomprensione, partendo proprio dalla parola accountability che, pur non avendo un corrispettivo puntuale in italiano, esprime l’atteggiamento preciso del “rendere conto”. L’accountability si esprime su tre filoni prioritari: quello strategico (la direzione verso la quale tende l’organizzazione), quello gestionale (come l’organizzazione raggiunge i suoi obiettivi), quello finanziario (le risorse necessarie per raggiungerli). Per favorire il confronto occorre però adottare standard comuni espressi attraverso indicatori. A livello internazionale ci sono diversi modelli di riferimento, poiché l’univocità non esiste. Il Global Reporting Initiative GRI, di origine americana; oppure il GbS Italiano; le certificazioni EMAS.

Quando però si parla di cultura intervengono diverse difficoltà: l’abitudine al finanziamento pubblico, acritica e senza obblighi di riscontri; la quasi inesistente propensione all’investimento, la scarsa trasparenza e la politicizzazione diffusa hanno consolidato un modus operandi destrutturato e molto spesso improvvisato. Inoltre la difficoltà di intercettare indicatori confacenti a questo settore che produce manifestazioni intangibili non aiuta. Questo però non ha scoraggiato i co-autori del volume che propongono classificazioni di massima per intercettare gli opportuni indicatori.
Ci sono infatti elementi direttamente misurabili con indicatori precisi o range di misurazione; altri non misurabili in modo diretto ma in base a criteri indiretti o fenomeni connessi, ripercussioni visibili, come in una misurazione di secondo grado; infine oggetti di studio non misurabili né direttamente, né indirettamente sui quali soffermarsi in un esame più approfondito nell’individuazione verso cosa producono.
Lo strumento più versatile per la trattazione di simili oggetti è rappresentato dal Bilancio sociale, che riesce a descrivere i tre filoni dell’accountability. L’effetto della misurazione, oltre che permettere una maggiore auto-consapevolezza, favorisce la comunicazione con l’esterno, con la rete delle relazioni di interesse intorno all’organizzazione culturale.

Il secondo capitolo parte dalla considerazione cheessere accountable” permette di essere riconosciuti come organizzazioni affidabili. Quindi di stabilire relazioni produttive con altri portatori di interesse, in primis i consumatori. In questa sezione, gli autori prendono in approfondito esame il Global Reporting Initiative (GRI), considerandolo il più completo per la descrizione di una organizzazione e molto più flessibile verso le organizzazioni culturali. È costituito da un set articolato di indicatori suddiviso per aree: la serie economica; la serie ambientale; la serie lavoro; la serie diritti umani; la serie società; la serie responsabilità di prodotto.

Il terzo capitolo entra in pieno nel tema della necessità del settore culturale di rendersi accountable e di diffondere l’attitudine stessa a rendere conto del proprio operato.
Riferendosi ai dati del rapporto Symbola 2014 con la fotografia del Paese del 2013, dove con un milione e 400 mila occupati, per circa 76 miliardi di Euro all’anno di valore prodotto, il comparto culturale viene descritto come capace di generare quasi il 15% totale del PIL italiano. La filiera culturale ha un ampio spettro: non solo è espressamente legata alla cultura ma include altre macro-aree come servizi di supporto alla formazione, al commercio al dettaglio (es. artigianao), all’agricoltura tipica (comparto food)…
Il tipico approccio culturale italiano è basato sulle erogazioni pubbliche e finanziamenti forniti a un settore ritenuto improduttivo e incapace di sostenersi o di muovere la propria economia.
L’Immateriale e l’intangibile sono considerati comunemente beni di lusso e prodotti non necessari, per questo patiscono tagli e riduzioni di investimento, per il senso di effimero e superficiale. Seppure le tendenze economiche sono in graduale crescita, sempre da quanto osservato nei rapporti Symbola dal 2007 al 2011, così come si è verificato l’ aumento delle sponsorizzazioni private.
I veri malfunzionamenti sono su piano legislativo, sugli anacronismi normativi, nell’amministrazione e nella gestione spesso politica. Persiste un errato livello di competizione e introiezione di logiche assistenzialistiche e improduttive. Nonostante ciò, il sistema culturale italiano riesce a produrre valore.
Necessita di essere accountable prima di tutti gli altri, proprio per massimizzare il suo valore. Le premesse ci sono tutte: ad es. export vale oltre 38 miliardi e rappresenta 10% del complessivo nazionale. Da Rapporto Symbola 2014, genera un effetto moltiplicatore 1,67% su altri settori. Sebbene in termini di investimento in cultura siamo dietro alla Grecia secondo Eurostat.
La Politica non ne tiene conto, mentre invece dovrebbe stimolare questa cultura della rendicontazione anche per il settore culturale. Potersi monitorare, permette di migliorare le performance e sapersi programmare. Il fatto che siano stati riconsegnati ingenti fondi europei che non sono stati stanziati per incapacità programmatica è deleterio per il comparto.
Alcune azioni di sistema sono state proposte da Confindustria che ha chiesto incentivi sulla deducibilità fiscale per sollecitare sponsorizzazioni a favore cultura. Anche la valorizzazione dei brand culturali italiani è una leva strategica, dato che da recenti studi sulla visibilità del Made in Italy, emerge che l’Italia cresce solo con i marchi legati al settore Food.

Il cambio di passo è semantico e sostanziale: da finanziamento alla cultura ad investimento in cultura. Diffondere infatti l’idea della produttività e capacità di generare valore anche per il comparto culturale può fare la differenza. Solo ragionando sui numeri, dimensioni, flussi gi autori sostengono sia possibile arrivare a cambio di paradigma. La costruzione di indicatori adeguati, che siano alfabeto per la narrazione del sistema, deve superare le resistenze della componente artistica del settore, che spesso si arrocca su concettualismi poco propensi ad assorbire i linguaggi economici e la sostenibilità di impresa.
È sufficiente partire da una traccia delle linee essenziali. Non si tratta di riduzionismo o solo di elencare quantità puntuali, ma di tracciare delle traiettorie, degli ordini di grandezza e registrare presenze o assenze di fenomeni.
Essere accountable significa essere trasparenti, senza temere di lasciare trapelare delle lacune. Significa monitorarsi, per allocare risorse e tempo nei modi migliori possibili. Verificare processi interni, responsabili nei confronti delle risorse umane e rispettosi ambiente naturale e sociale.

Alcuni validi esempi di rendicontazione provengono ad esempio dall’Olanda con Social Return Performance Ladder, strumento che prevede che una grande impresa fissi degli obiettivi di Ritorno Sociale (SROI) anche sugli appaltatori. Oppure l’esperienza nata come spin-off dell’Università di Bologna, Last Minute Market, che si impegna nella riduzione dello spreco alimentare attraverso l’utilizzo ampio della Responsabilità Sociale di Impresa. La Responsabilità Sociale di Impresa (CSR) può entrare in contatto con le imprese culturali attraverso due percorsi: se l’azienda è attiva e già realizza progetti socialmente responsabili redige un Bilanco sociale; oppure con un atteggiamento passivo avvalendosi di consulenza esterna. Rispetto al panoramana internazionale dove negli USA già dal 2004 il MoMA di New York pubblica il bilancio sociale, in Italia si parla di CSR solo in quei musei dove è attiva una politica di ricerca di sponsorizzazioni da parte dei privati.

In conclusione del volume, gli Autori ribadiscono che per poter diffondere una cultura della responsabilità bisogna passare dalla cultura di misurazione e propongono una rilettura dei degli indicatori GRI analizzati nel secondo capitolo in base alla loro maggiore rispondenza a necessità descrittive del settore culturale. Ovviamente non tutti gli indicatori sono utili o calzanti per la descrizione del comparto culturale, ma il match con questo strumento apre fronti di riflessione e mette nelle mani delle organizzazioni culturali un immediato strumento di rendicontazione.

Cultural accountability. Una questione di cultura,
a cura di Stefano Monti, Prefazione di Adriana Polveroni,
Testi di Marco Bernabè, Alfonso Casalini, Francesca Quadrelli,
Franco Angeli, Torino, 2015

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