Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Come aumentare la partecipazione culturale?

  • Pubblicato il: 15/11/2017 - 10:02
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Valentina Montalto

Una nuova pubblicazione prova a rispondere, facendo luce su metodi di misura e politiche da avviare.
ll volume “Enhancing Participation in the Arts in the EU – Challenges and Methods” pubblicato qualche mese fa da Springer con il supporto del Programma Cultura dell’Unione europea, raccoglie una grande varietà di contributi sul tema della partecipazione culturale. La pubblicazione offre molti spunti di riflessione – sia a livello concettuale che di politiche pubbliche - su un tema di centrale importanza in un mondo sempre più globalizzato e multiculturale.
 

La pubblicazione si suddivide in quattro parti: la prima è dedicata alla misura della partecipazione culturale, con una particolare attenzione ai fattori che incoraggiano o meno la partecipazione, e a come la partecipazione culturale contribuisce all’inclusione sociale. Nella seconda parte, l’attenzione è rivolta alla partecipazione culturale in vari settori, a partire dalla musica al cinema al teatro e ai video giochi. Nella terza, il focus è sul turismo culturale e la competitività delle destinazioni culturali. L’ultima parte, infine, si concentra sulle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie sia per raggiungere nuovi pubblici che per misurarli, per esempio utilizzando dati di ricerca su Google Trends.
È facile immaginare che gli spunti offerti sono davvero tanti, vista la varietà delle problematiche affrontate. Vorrei soffermarmi su tre di queste, note a tutti ma che necessitano ancora di soluzioni adeguate: una è quella della misurazione, su cui la pubblicazione offre una panoramica molto utile per capire quali sono i dati a disposizione, i limiti e i passi avanti da fare; la seconda è quello dell’istruzione, che resta tutt’ora fattore determinante per la partecipazione culturale, cosa che non può essere ignorata in sede di sviluppo di politiche culturali e sociali ; la terza riguarda il turismo culturale e il tema della gestione « efficiente » del patrimonio culturale che permetta di passare da una logica di costo a una di risorsa.

Misurare la partecipazione culturale: dati disponibili, limiti e nuove prospettive
A proposito di misurazione, vale la pena soffermarsi sul capitolo “European Statistics on Participation in the Arts and their International Comparability” in cui John O’Hagan fa il punto sulle fonti di dati disponibili a livello europeo sul tema. Emerge chiaramente che numerosi dati sulla partecipazione culturali sono stati raccolti nell’ultimo decennio grazie a indagini quali l’Adult Education Survey (AES), la EU Social and Living Conditions Survey (EU-SILC) e l’Eurobarometro. È preoccupante però constatare, come conferma lo stesso autore, che ad oggi non è veramente possibile costruire delle serie temporali perché i dati provenienti da queste indagini – seppur condotte tutte a livello europeo – utilizzano dei questionari e delle tecniche di campionamento differenti. In altre parole, si tratta per lo più di dati incomparabili nel tempo con i quali non si può veramente capire se e come la partecipazione culturale è cambiata e migliorata. Resta quindi prioritario per l’UE uniformare i metodi di raccolta e possibilmente utilizzare un unico strumento d’indagine se vogliamo capire come i cittadini europei accedono all’arte e alla cultura e che benefici ne traggono.
I dati sono invece più regolari e comparabili nel tempo in alcuni paesi come l’Italia e la Spagna. Le fonti più pertinenti a questo proposito sono illustrate da Annalisa Cicerchia (“Measuring Participation in the Arts in Italy”) e da Victoria Ateca-Amestoy e Anna Villarroya (“Measuring Participation in the Arts in Spain”). Come nota Annalisa Cicerchia, però, i dati a disposizione non sono ancora sufficienti per rispondere a domande più elaborate (e cruciali), del tipo: come la partecipazione viene incoraggiata, nutrita, supportata ? Come questo supporto ha a che vedere con l’uguaglianza e l’inclusione sociale? Quali sono le ragioni della partecipazione e (soprattutto) della non-partecipazione? Come possiamo misurare il confine tra pratiche formali e informali? Qual è la relazione tra la partecipazione culturale e il benessere? 
Molto interessante, infine, è anche l’approccio alla misurazione degli impatti della partecipazione culturale proposta da Olivier Gergaud e Victor Ginsburgh (v. « Measuring the Economic Effects of Events Using Google Trends »). Gli autori ripercorrono brevemente i metodi più utilizzati per misurare l’impatto economico degli eventi culturali, presentandone punti di forza e di debolezza, per poi proporre un approccio innovativo al problema, che utilizza i dati di ricerca sul web. La loro idea è quella di estrarre i dati di ricerca sui festival sul web da Google Trends e, a partire da questi, stimare il numero di visitatori dei festival e il loro possibile impatto economico sul territorio. La proposta è interessante e probabilmente percorribile, in base ad altri metodi di stima che utilizzano dati di ricerca sul web per esempio per derivarne il tasso di disoccupazione o la diffusione dell’influenza. Ma meriterebbe forse un ulteriore approfondimento per capire se e come questi dati di ricerca (che di certo sono indice di interesse) possano essere usati in maniera attendibile per stimare la partecipazione effettiva ai festival.   
 
La partecipazione culturale resta « presidio » dei più istruiti
Il livello di istruzione resta il principale fattore da cui dipende il livello di partecipazione culturale, come conferma empiricamente John O’Hagan nel capitolo «Attendance at/Participation in the Arts by Educational Level: Evidence and Issues« utilizzando dati sugli Stati Uniti e, anche se meno dettagliati, per un campione di paesi europei provenienti dall’Eurobarometro 233. Il dato di certo non sorprende ma dovrebbe quantomeno convincerci della necessità di cercare una soluzione in tempi rapidi, soprattutto in un paese come l’Italia in cui i tassi di scolarizzazione e, di conseguenza, di partecipazione culturale restano davvero molto bassi. Un recente rapporto di Save the Children presenta dei dati preoccupanti: il 59% e il 46% dei minori tra i 6 e i 17 anni, maschi e femmine rispettivamente, non svolge attività sportiva e non legge libri. Ciò significa che grosse fasce della popolazione sono escluse dalla possibilità di sviluppare senso critico e competenze creative, a cui la partecipazione culturale potrebbe contribuire.
C’è da credere, l’articolo conclude, che le nostre politiche culturali siano state finora piuttosto fallimentari dato che l’istruzione resta ancora un fattore determinante per accedere all’offerta culturale. Spetta quindi alle politiche educative il compito di rendere l’istruzione ancora più accessibile sin dalla più giovane età e alle politiche culturali quello di colmare quel divario educativo che si è sviluppato nel corso del tempo così da rendere l’accesso alla cultura più equo e inclusivo, indipendentemente dall’età e nell’interesse della collettività e non degli « happy few ».
Di inclusione sociale parlano anche Marco Ferdinando Martorana, Isidoro Mazza e Luisa Monaco nel capitolo « Participation in the Arts and Social Inclusioni in Disadvantaged Neighbourhoods«. Gli autori analizzano in particular modo il caso di Catania, dimostrando come lo sviluppo di un’offerta culturale in una zona perfierica della città sia condizione necessaria ma non sufficiente a generare coesione sociale. A livello di politiche pubbliche, da un lato, gli autori riconoscono ancora una volta la necessità di lavorare sull’istruzione come fattore determinante per creare i pubblici della cultura e, dall’altro, suggeriscono di puntare sui giovani non solo perché si tratta dei pubblici futuri ma anche perché possono trasmettere la loro conoscenza ed interesse ai familiari, contribuendo così ad abattere quelle barriere sociali e psicologiche che escludono grosse fette della popolazione dall’offerta di arte e di cultura.
 
La cultura come condizione necessaria (ma non sufficiente) di attrattività turistica
Infine, Luis César Herrero-Prieto (v. “Evaluating the Efficiency of Cultural Travel Destinations: A DEA Approach”) valuta 17 regioni spagnole per capire come queste si posizionano rispetto alla loro capacità di attrarre turisti. Il lavoro è interessante non solo perché studia la domanda di turismo culturale (e non di turismo in generale) in queste regioni grazie alla disponibilità di dati nazionali sul turismo molto dettagliati che includono anche il motivo della visita, ma anche perché identifica tra le possibili cause dell’ « inefficienza » regionale in termini di (pochi) turisti attratti l’eccessivo numero di musei. Il dato dovrebbe metterci all’erta e invitarci a riflettere seriamente sulla necessità di mettere in piedi dei piani di gestione adeguati, non solo nelle regioni spagnole ma anche in un paese come l’Italia che fatica a sfruttare al meglio il suo ricco patrimonio culturale e museale a fini di sviluppo.
 
© Riproduzione riservata