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CAPITALE ITALIANA DELLA CULTURA: PALERMO ALLA PROVA DEL 2018

  • Pubblicato il: 20/02/2017 - 10:33
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Articolo a cura di: 
Francesco Mannino

Con l’annuncio del Ministro Franceschini, Palermo vince la competizione per il 2018. Ora la città ha 11 mesi per riscaldare i motori e costruire le premesse per realizzare quanto ambiziosamente dichiarato nel documento di candidatura. Un ventaglio di obiettivi forti, che non guardano solo alle bellezze urbane ma alla sua multiculturalità, alla sua complessa composizione sociale e agli impatti che la leva culturale può produrre nei territori urbani

L’Italia ha la sua capitale della Cultura per il 2018: il 31 gennaio il Ministro Dario Franceschini, alla presenza dei sindaci delle 10 città candidate, ha nominato Palermo vincitrice della competizione, subito dopo un breve ma denso intervento del presidente della giuria, il professor Stefano Baia Curioni. la città siciliana ha vinto su una rosa di 5 città, di cui faceva parte insieme a Comacchio, Recanati, Settimo torinese e Trento: una “short list” che aveva scremato la lista delle candidate, a cui si aggiungevano Alghero, Aquileia, Ercolano, Montebelluna e l'Unione comuni elimo-ericini (Buseto Palizzolo, Custonaci, Erice, Paceco, San Vito lo Capo e Valderice).
«Capitale italiana della cultura non è un concorso di bellezza, non riguarda la bellezza o l’importanza del patrimonio culturale; non è rivolta al passato»: con queste parole Baia Curioni ha introdotto la premiazione, sgomberando il campo da qualsiasi interpretazione che declinasse la selezione in una scelta della città “più bella” o con la maggiore concentrazione di patrimonio culturale: un compito che sarebbe stato impossibile o manifesto di una «intollerabile presunzione». E al contrario, ha continuato il presidente della giuria, “non si tratta neanche di «un confronto tra potenze o energie, non […] una gara a chi può spendere di più, seppur in Cultura. Il titolo di Capitale italiana della cultura è un premio alla capacità di visione e di progetto che riconosce la capacità di trasformare la cultura in carne, sangue e futuro, in cittadinanza […] che quindi può andare a grandi o piccoli centri. Che non dipende dalla forza, ma dall'equilibrio che tiene assieme le diverse componenti di un progetto: tradizione e innovazione, cultura e sviluppo, identità e accoglienza, insomma, passato e futuro».
E infatti l’incipit del bando del Mibact per il 2018 era già molto chiaro e interessante, tracciando da subito le linee sulle quali le candidate avrebbero dovuto lavorare, e sottolineando che l’iniziativa fosse «volta a sostenere, incoraggiare e valorizzare la autonoma capacità progettuale e attuativa delle città italiane nel campo della cultura, affinché venga recepito in maniera sempre più diffusa il valore della leva culturale per la coesione sociale, l’integrazione senza conflitti, la creatività, l’innovazione, la crescita e infine lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo». Un “infine” molto significativo, che non nega il potenziale impatto economico di tali riconoscimenti, ma che lo colloca come esito “ulteriore” rispetto ad altri profondamente connessi al bisogno di cittadinanza, coesione e integrazione.

In linea con l’Azione UE “Capitale Europea della Cultura 2007-2019”, il bando individuava quindi i seguenti obiettivi: il miglioramento dell’offerta culturale; il rafforzamento della coesione e dell’inclusione sociale, nonché dello sviluppo della partecipazione pubblica; l’incremento dell’attrattività turistica; l’utilizzo delle nuove tecnologie; la promozione dell’innovazione e dell’imprenditorialità nei settori culturali e creativi; il conseguimento di risultati sostenibili nell’ambito dell’innovazione culturale.
Al contempo veniva richiesto che il dossier di candidatura contenesse e indicasse (pena l’esclusione): il programma delle attività culturali previste, della durata di un anno; il modello di governance e la struttura responsabile per l’elaborazione e promozione del progetto, per la sua attuazione e per il monitoraggio dei risultati, con l’individuazione di un’apposita figura responsabile; una valutazione di sostenibilità economico-finanziaria; gli obiettivi perseguiti, in termini qualitativi e quantitativi, e gli indicatori che sarebbero stati utilizzati per la misurazione del loro conseguimento.
Palermo si è candidata con un documento consultabile dal sito internet del Comune, del quale ci sembra utile evidenziare alcuni degli elementi con cui l’amministrazione ha voluto rispondere a quanto richiesto dal bando, tralasciando in questa sede la lunga lista di eventi e di luoghi che costituiranno per il 2018 l’ossatura della proposta palermitana.
Innanzitutto la partecipazione: secondo l’amministrazione comunale, gli obiettivi strategici individuati che rispondono ai percorsi partecipativi saranno finalizzati a coinvolgere i cittadini nei processi decisionali, a cui si aggiunge l’impegno ad investire il 2% dei trasferimenti regionali esclusivamente in attività di partecipazione, consultazione e interrelazione con i suoi cittadini, come peraltro imposto dall'art. 6, comma 1 della l.R. n° 5/2014 (p. 10).

Poi, la costituzione della Consulta delle Culture, organo rappresentativo di tutti coloro i quali hanno una nazionalità diversa da quella italiana o che hanno acquisito la cittadinanza italiana pur mantenendo la cittadinanza di un altro paese, nata con l’obiettivo di promuovere ed incentivare le opportunità per la realizzazione di percorsi interculturali (p. 11).

Ancora, il ruolo conferito dal documento al comparto culturale, nel contesto di una neo città metropolitana del Sud Italia. In questa dimensione Palermo coinvolge più di un milione di abitanti, e dichiara attraverso il dossier di considerare la nomina una «ulteriore opportunità per trasformare le proprie complessità e contraddizioni in elementi rigenerativi per il compimento di un processo di trasformazione urbana, sociale e culturale fondato sul rispetto dei diritti e della legalità. […] La cultura genera consapevolezza di sé e del proprio ruolo sociale imponendo il riconoscimento dei diritti individuali e collettivi. Il diritto dell’altro è anche assunzione consapevole e pacifica dei propri doveri. Palermo è città-mosaico, di cui ogni tessera è espressione di mondi diversi». Come simbolo di questa molteplice essenza è stata scelta la lapide Quadrilingue, custodita nel Palazzo della Zisa: una stele funeraria del 1149, in giudaico, latino, greco e arabo che integra i diversi sistemi di datazione del mondo e che conferma la multietnicità della corte di Ruggero II e il rispetto per tutte le religioni e tutti i popoli che abitavano la Sicilia. Anche la convivenza del culto di Santa Rosalia, patrona della città, con quello del Santo Nero Benedetto il Moro, viene considerata un altro emblema della città multiculturale (pp. 16-17).

La programmazione delle attività si fonderà – sempre secondo il documento – su diversi assi ritenuti strategici: la riorganizzazione del sistema di gestione degli spazi culturali in quattro Poli; il rafforzamento del rapporto pubblico – privato ed in particolare la valorizzazione dell'associazionismo attivo in città; la collaborazione con le Istituzioni Culturali della Città; il sostegno alle imprese culturali; le collaborazioni internazionali e l'attrazione di investimenti esteri; l'innovazione tecnologica per la fruizione dei beni e delle attività culturali e l’innovazione di processo: sociale, culturale ed economica; l'attivazione di processi virtuosi nel rapporto tra Patrimonio Culturale (materiale e immateriale) e Produzione Artistica Contemporanea (p. 17).

Un altro pilastro della strategia proposta nel documento è Manifesta 12, il festival internazionale di arte contemporanea: «una grande sfida – sostiene nel documento la presidente Hedwig Fijenper ripensare a come gli interventi culturali possono avere un forte ruolo nell’aiutare a ridefinire uno dei più iconici crocevia del Mediterraneo della nostra storia, all’interno di un lungo processo di trasformazione. Manifesta 12 vuole affrontare diverse questioni tra cui: “la partecipazione dei cittadini alla governance della Città” e “Come riconoscersi cittadini e riappropriarsi della propria Città? Le questioni migratorie di Palermo sono emblematiche di una più amplia situazione di crisi che l’intera Europa si trova ora a fronteggiare”» (p. 31). Da sottolineare la scelta della fondazione Museo Valsecchi di aprire la propria sede a palazzo Butera alla Kalsa, il quartiere arabo che sintetizza lo spirito multiculturale della città: qui si terrà Manifesta e qui resterà la collezione della famiglia Valsecchi, che ha scelto Palermo a discapito del MUDEC di Milano.

Infine il modello di governance: secondo l’amministrazione, il proprio investimento sui processi partecipativi per la gestione della città mira a rafforzare il legame tra cittadini e soggetti istituzionali in tutte le fasi del processo decisionale e gestionale. L’intenzione è quella di estendere al dopo 2018 il medesimo schema logico-operativo sperimentato durante l’anno di Capitale, «coinvolgendo la cittadinanza nelle scelte strategiche e le istituzioni culturali pubbliche e private nella realizzazione delle attività» (p. 54).

Partecipazione e cittadinanza attiva, inclusione e multiculturalismo, visione territoriale ampia e integrata, governance aperta e programmazione articolata: la candidatura di Palermo esprime l’assunzione di una serie di obiettivi impegnativi, che aspettano la città siciliana alla prova del 2018.

In risposta alle linee programmatiche espresse dalla candidatura e alla fitta mappatura di luoghi coinvolti e di iniziative proposte, la giuria ha risposto con la seguente motivazione resa nota con l’annuncio da parte del ministro di beni culturali e turismo, Dario Franceschini: «la candidatura è sostenuta da un progetto originale, di elevato valore culturale, di grande respiro umanitario, fortemente e generosamente orientato all’inclusione, alla formazione permanente, alla creazione di capacità e di cittadinanza, senza trascurare la valorizzazione del patrimonio e delle produzioni artistiche contemporanee. Il progetto è supportato dai principali attori istituzionali e culturali del territorio e prefigura anche interventi infrastrutturali in grado di lasciare un segno duraturo e positivo. Gli elementi di governance, di sinergia pubblico-privato e di contesto economico, poi, contribuiscono a rafforzare la sostenibilità e la credibilità».

Insieme al titolo, Palermo riceverà un milione di euro e l'esclusione dal patto di stabilità degli investimenti che saranno utilizzati al fine di realizzare i progetti. Nel complesso gli investimenti previsti, sono 6,5 milioni di euro, di cui la città potrà disporre grazie alla congiuntura di PON Metro e Patto per il Sud.

«Abbiamo vinto tutti, perché siamo stati capaci di narrare le bellezze dei nostri territori» così ha esordito il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, non appena appreso della scelta della giuria dal ministro Franceschini. Sottolineando subito dopo che «la cifra culturale più significativa che rivendichiamo è la cultura dell'accoglienza. Rivendichiamo il diritto di ogni essere umano di essere e restare diverso ed essere e restare uguale».

Secondo il ministro Franceschini, le città che si candidano entrano in una «competizione virtuosa [che] genera un meccanismo di partecipazione condivisa. Essere nella short list è un po' come ricevere una nomination all'Oscar: consente di lavorare molto anche in termini di progettazione e promozione». E poi, la notizia che molte altre città aspettavano: «nel 2018 verrà designata la capitale italiana del 2020 che avrà quindi due anni a disposizione per realizzare al meglio il progetto».
La scelta di Palermo fornisce alle città che vorranno candidarsi per il 2020 indicazioni chiare sulla strada da seguire, in termini di progettazione strutturata (pianificazione degli interventi e degli eventi), integrata (risorse differenti da fare convergere sul progetto), territoriale (capacità del progetto di includere aree urbane e metropolitane meno interessate da attività e produzioni culturali), a base coesiva (includendo i cittadini nella governance decisionale, e allargando i partecipanti a categorie sociali tendenzialmente escluse) e dotata di prospettiva a lungo termine (guardando agli impatti da generare e ai modelli da rilanciare dopo l’anno di capitale).
Palermo costituirà un osservatorio laboratoriale imprescindibile per quelle città che vorranno competere negli anni successivi per il conseguimento del titolo: un banco di prova che esporrà al test dell’applicazione quegli obiettivi così ambiziosi assunti in fase di candidatura. Sarà importante e interessante seguirne il monitoraggio e valutarne, già dal 2019, la capacità di generare impatti di diverso tipo e durevoli, se non addirittura permanenti e sostenibili.
Emerge con chiarezza che il titolo di Capitale Italiana della Cultura non si vince solo grazie alla bellezza, alla ricchezza o al programma, ma che l'aspirazione di espandere gli impatti della leva culturale al benessere futuro di tutte comunità urbane diviene un obiettivo imprescindibile e premiante. Questi impatti non potranno essere misurabili solo in termini di ritorno economico immediato generabile (Sacco, 2017), ma dovranno essere valutabili anche su nuove scale e con nuovi indicatori, che parlano di coesione sociale, di integrazione, di inclusione e di benessere collettivo. Di nuove forme di cittadinanza e quindi di welfare culturale.

Da leggere:
Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, tutti i documenti
Sito web del Mibact per le Capitali della Cultura
Pagina del Mibact contenente la proclamazione di Palermo 2018
S. Baia Curioni, M. Equi, Il capitale città. Città, laghi e Culture. Politiche culturali e politiche urbane a confronto in Europa. Centro ASK Università luigi Bocconi
P. L. Sacco, La cultura veicolo di sviluppo, Il Sole 24 ORE, 19/02/2017
G. Venturini, P. Graziano, Misurare la coesione sociale: una comparazione tra le regioni italiane, Rivista impresa Sociale, Iris Network, 8-2016

Didascalie: la Lapide Quadrilingue, custodita nel Palazzo della Zisa, simbolo del multiculturalismo palermitano (dal sito del Comune di Palermo)

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