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ARTE & BUSINESS ALL’EPOCA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE 4.0

  • Pubblicato il: 15/04/2017 - 00:17
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Patrizia Asproni

Quali scenari determina l’impennata tecnologica dell’ultimo decennio nella fruizione delle opere dell’ingegno da parte del pubblico, nella produzione  artistica contemporanea che  nasce e cresce in un ecosistema radicalmente mutato, tra finzione e reale, materiale e immateriale, presente e futuro?” una riflessione di Patrizia Asproni, che si sofferma sull’impatto  della “ rinnovata alleanza tra creatività e industria che con le istituzioni culturali ha di fronte  la  sfida di una nuova relazione con il pubblico, “di fruitori, consumatori e cittadini, il cui engagement è condizione imprescindibile per il successo della proposta esperienziale insita nell’offerta, sia essa artistica o commerciale, del futuro prossimo”.  E’ in atto una rivoluzione culturale sui consumi, a partire dal  cibo, al fashion.   


Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancor di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d'oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola. Parole di colui che forse è stato, in letteratura, il più grande visionario del Novecento, e cui dobbiamo molto del nostro immaginario sul futuro: Isaac Asimov.
E sebbene siano parole di un altro secolo, toccano con potente lucidità, una questione tutta aperta: gli effetti - collaterali e non -  di quella rivoluzione continua e pervasiva che risiede nell’innovazione tecnologica, con la sua capacità di mutare radicalmente percezione, comportamenti, processi, fino a condizionare il nostro stesso modo di vivere lo spazio e il tempo.
Nel mondo che si dematerializza, domande e paure sono ancora molte, nei più disparati ambiti. Incluso quello della cultura e della creatività artistica, collocate dal pensiero tradizionale agli antipodi concettuali (e ideologici) dell’innovazione scientifica e tuttavia oggi attraversate in profondità dal mutamento incessante da questa indotto.
E infatti, mentre stiamo ancora occupandoci - e non ancora abbastanza! - di quali scenari determini l’impennata tecnologica dell’ultimo decennio nella fruizione delle opere dell’ingegno da parte del pubblico, le attitudini artistiche contemporanee nascono e crescono in un ecosistema radicalmente mutato, tra finzione e reale, materiale e immateriale, presente e futuro.  Tanto da trasformare quest’ultimo in un’ispirazione permanente e, contemporaneamente (è il mercato, bellezza!), in un business. Ma andiamo per gradi.
In prima istanza, infatti, potremmo chiederci: è pensabile che un giorno guarderemo alla produzione artistica di questo inizio millennio come ad una stagione stilistica? Una sorta di nuovo futurismo a vocazione post-industriale e virtuale? O si tratta piuttosto un passaggio evolutivo dell’umano, che proprio come il fuoco e il linguaggio, contribuisce a realizzarne l’essenza?
Forse. Ma quello che è interessante osservare è che l’avveniristica congiuntura che stiamo vivendo ha in comune con il passato molto più di quanto possiamo immaginare.
Un esempio? I creative “studios” sparsi per il mondo che occupano oggi lo spazio che nell’ultimo scorcio del secolo di Asimov era delle tv e delle agenzie di pubblicità, più che con queste ultime molto condividono con le botteghe rinascimentali, realtà dalla natura composta e multidisciplinare nelle quali facoltose committenze scovavano i talenti più fini cui affidare il compito di magnificare con l’opera del loro ingegno – e con l’aiuto del loro “team” – passato e presente di nobili casate e gloriose dinastie.
Allo stesso modo, le sempre più fluide realtà creative contemporanee sono oggi chiamate a disegnare il futuro. E se anche volessimo considerare il future shaping un fenomeno a tempo, quel che è certo è che la sua forma espressiva prediletta è, per l'appunto, la tecnologia.
Ecco una sintesi efficace di quanto descritto finora: "We decided to create a studio that would natively combine the physical and the digital”. A parlare è Matt Cottam, co-founder di Tellart, studio internazionale di design digitale e interattivo responsabile, tra l’altro, della progettazione di uno speciale Museo del Futuro presentato durante il  Government Summit di Dubai nel 2014, davanti a un pubblico di 4.000 tra leader politici, decision makers ed esponenti del mondo dell’impresa.  Nella spettacolare illustrazione delle possibilità del Museo, la sintesi per aree tematiche di vari servizi offerti da un governo del futuro technology-based: dalla sanità alla scuola, alla mobilità. A corredo, i relativi, stupefacenti, prototipi.
Il progetto, che si è aggiudicato il Core77 Design Awards, è una dimostrazione tipica di come ai giorni nostri la creatività orienta se stessa:  “What sets our company apart from bigger, more traditional creative agencies is that it functions more like a Renaissance artist studio or starchitecture firm — a collective of individual artists and engineers cooperating to create a body of work under a single label (…).Each project comes with a holistic narrative”.
Sospesi tra materia e digitale, il progetto e la natura stessa del lavoro di realtà come Tellart sono però anche testimonianza di qualcos’altro. E cioè dell’esistenza di soggetti economici (governativi e non) che studiano la realizzazione di prodotti e servizi del futuro e chiedono agli attori creativi, sostanzialmente, di immaginarli e rappresentarli nel presente, in una dimensione in cui la finzione scientifica e tecnologica diviene profezia: esce dal campo dell’irreale per entrare in quello dell’imminente. Trasforma l’indeterminatezza del Futuro nel presagio del Domani.
Ciò introduce un tema politico, sintetizzabile in una provocazione: i padroni del mondo sono i padroni dell’arte? Vale a dire, in un’epoca in cui la committenza non è più rappresentata da un singolo o da un’azienda ma da tipologie imprenditoriali più potenti degli Stati stessi, la libertà creativa è al sicuro?
Il dibattito è equamente diviso tra apocalittici e integrati. Di certo l’interesse dei giganti dell’economia globale per la creatività technology-driven non appare periferico né tantomeno velleitario: residenze d’artista nascono sotto l’egida di Microsoft e Google; quest’ultima realizza spazi dedicati per Tilt Brush, promettendo di cambiare il mondo del fashion e del design a colpi di pennello virtuale 3D (e non solo).
Cosa accadrà domani? Se esiste un disegno, quel che è certo è che, lungi dall’essere trascurata o ignorata nel nome della tecnica, all’epoca della rivoluzione industriale 4.0 l’arte sembra poter giocare un ruolo di primo piano, nel business e nella società.
Il maggiore (più risorse) o minore (più potere) grado di libertà che in questo contesto sarà in grado di esercitare, è tutto da verificare.  Certo è che se, come ha recentemente affermato il fondatore di Tesla, Elon Musk “per sopravvivere l’umanità deve fondersi con la tecnologia”, allora occorrerà vigilare che questo sia possibile per tutti e nel rispetto della libertà di tutti, pena il reale sviluppo delle comunità.
In ogni caso, la rinnovata alleanza tra creatività e industria ha di fronte a sé una sfida notevole: quella della ri-costruzione di un pubblico di fruitori, consumatori e cittadini, il cui engagement è condizione imprescindibile per il successo della proposta esperienziale insita nell’offerta, sia essa artistica o commerciale, del futuro prossimo.

Patrizia Asproni, Presidente Fondazione Industria e Cultura

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