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Approvato l’emendamento sulle imprese culturali e creative

  • Pubblicato il: 15/12/2017 - 00:02
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Irene Sanesi

Una proposta nata per normare le start-up culturali che si è modificata nel tempo provando a diventare un modello di governance e un esempio di politica culturale innovativa. Alla fine ne è uscita una norma, anzi due, che consegnano all'anno che sta per cominciare il riconoscimento di un settore fondamentale per il nostro Paese.
 


 
Qualche anno fa, alla Fabbrica del Vapore, a Milano, venne esposta un’opera di Anish Kapoor: Dirty Corner. Un tubo lungo 60 metri in cui il visitatore poteva/doveva entrare. Un tubo dove la luce diventava penombra e la penombra diventava buio. Un buio completo dove procedere senza saperne la fine. Quel buio dove ti volti, ogni tanto, a vedere la luce che c’era e poi prosegui verso un futuro che non conosci. Un tubo che era materia e diventava pensiero, un ventre profondo in cui, immergendosi, ci si sentiva parte dell’opera e se ne usciva con un desiderio accresciuto e preciso, con gli occhi pronti al bello, con la mente curiosa e più attenta. Un passaggio che evocava il viaggio, un’idea di rinascita sinestetica, che ti metteva in allerta.
 
Ecco, tutto questo sembra il viaggio che le Imprese Culturali e Creative hanno percorso in questa legislatura. Una proposta nata per normare le start-up culturali che si è modificata nel tempo provando a diventare un modello di governance e un esempio di politica culturale innovativa; un testo denso e man mano ridotto però alla sua penombra e con il rischio concreto di non vedere la luce. Un lungo tunnel da cui, alla fine, ne è uscita una norma, anzi due, che consegnano all'anno che sta per cominciare il riconoscimento di un settore fondamentale per il nostro Paese. Un riconoscimento che trova spazio e senso in una definizione articolata, ma non solo: a sorpresa, in questo clima prenatalizio, è giunto anche un riconoscimento economico sotto forma di credito d’imposta.
 
Un regalo portato in dote dalla commissione cultura della Camera. Un gruppo, Anna Ascani, Irene Manzi, Giulia Narduolo e Roberto Rampi, che non ha perso nel percorso la determinazione. Forse stanco ma non esausto. Lo stanco ha esaurito solo la messa in atto, mentre l’esausto esaurisce tutto il possibile. Lo stanco non può realizzare ma l’esausto non può neanche possibilizzare’ scrisse Gilles Deleuze. E come alla fine del tubo di Kapoor di cui non si vedeva la fine, quella che era una proposta di legge autonoma, è diventata un emendamento alla legge di stabilità.
 
La definizione, innanzitutto: sono imprese culturali e creative tutte le imprese o i soggetti passivi di imposta in Italia che abbiano, quale oggetto sociale, in via prevalente o esclusiva, l’ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione o la gestione di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e opere dell’ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alle arti applicate, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all’audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei, nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati. Un perimetro ampio e puntuale al contempo, che recupera la tradizione nel solco del contemporaneo, in cui la distinzione tra culturale e creativo viene superata dai fatti. In cui tutela e valorizzazione sono parti dello stesso processo produttivo. Un perimetro per cui, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, verrà definita la procedura per il riconoscimento della qualifica di impresa culturale e creativa e per la definizione di prodotti e servizi culturali e creativi.
Al momento dell’approvazione è spuntato poi un credito d’imposta nella misura del 30% dei costi sostenuti per attività di sviluppo, produzione e promozione, quasi entrando nella logica delle start-up. Con risorse limitate, certamente, ma con nuove prospettive.
 
L'aspetto definitorio del profilo di impresa culturale e creativa diventa, per chi già lo è e per chi vuole diventarlo, qualcosa di più di uno strumento giuridico, provando a sostanziare con la forma una realtà strategica per il Paese.
 
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