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Per abitare il cambiamento. Secondo “Faccia a Faccia” sulla Riforma del Terzo Settore

  • Pubblicato il: 15/01/2018 - 00:01
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Il mese scorso, in collaborazione con Assifero, l’associazione che riunisce Fondazioni ed Enti filantropici, abbiamo avviato un  dialogo  sulla Riforma del Terzo Settore (D. lgs. 117 del 3 luglio 2017)  con una conversazione con Gabriele Sepio e Pietro Ferrari Bravo sugli effetti della Riforma in particolare su Enti filantropici e ONLUS. A seguito dell’ampio interesse suscitato dal confronto, proseguiamo il dibattito con una intervista sul tema del “ costo del lavoro”, tema di forte interesse per gli Enti filantropici. Ascoltiamo Niccolò Contucci-Direttore Generale di AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e ancora la posizione di Assifero, con  Pietro Ferrari Bravo, responsabile per l’Associazione della Riforma del Terzo Settore .  “Non riteniamo  ragionevole la previsione di un limite fisso alla retribuzionenegli Enti del Terzo Settore (…) Limiti inesistenti per qualunque soggetto privato (aziende)“ che potrebbero pregiudicare la presenza di alte professionalità necessari agli ambizioni obiettivi  sociali.
 


Contucci, come vivete in AIRC la Riforma del Terzo Settore recentemente approvata?
E’ una grande opportunità perché il Governo italiano ha dato omogeneità e razionalità al Quadro Normativo civilistico e Fiscale del Terzo Settore, precedentemente afflitto da un grave disordine normativo. Il Codice Unico del Terzo Settore introduce anche nuove possibilità e prospettive di sviluppo della missione degli Enti del Terzo Settore prima impedite dalle norme in vigore. Un ulteriore elemento che giudico molto positivamente è rappresentato dal continuo dialogo che il Sottosegretario Bobba e gli Organi del Ministero del Welfare hanno intrattenuto con le organizzazione del Terzo Settore nel biennio di redazione della Legge Delega in Parlamento e dei successivi della Decreti legislativi attuativi della Delega. 
 
Ci sono aspetti che necessiterebbero di revisione?
Si, è immediata in sede di redazione del Decreto correttivo in corso di elaborazione presso il Ministero del Welfare, entro la fine della Legislatura. 
E’ necessario partire da lontano, dai concetti che ci riportano all’essenza stessa delle organizzazioni di terzo settore. Gli Enti del Terzo Settore, per raggiungere le finalità di interesse generale per cui sono stati costituiti utilizzano fattori della produzione differenti: il lavoro (volontario o retribuito), le materie prime e altri fattori “fisici”, il capitale. Quest’ultimo nel settore profit ha la finalità del profitto, mentre nel settore non profit ha finalità di utilità sociale. La maggior parte degli enti non profit in Italia riesce ad ottenere la propria utilità sociale attraverso un utilizzo contenuto del fattore capitale e un uso importante del fattore lavoro volontario. Tuttavia ci sono obiettivi che necessitano di risorse importanti e per riuscire a mobilitare tali risorse necessitano di una struttura tecnica di professionisti. Ad esempio, in occasione della campagna di raccolta fondi “Azalea della Ricerca 2017” abbiamo distribuito in 3.600 piazze italiane 560.000 piante. Certamente senza i volontari non sarebbe stato possibile avere una presenza così pervasiva, ma senza una tecnostruttura di alto livello organizzativo, non sarebbe stato possibile mobilitare nella stessa giornata 140 autoarticolati per il trasporto delle piante, tutte consegnate nell’arco di 2 ore nel mattino della giornata della festa della mamma, insieme al materiale informativo, nelle mani di 20mila volontari che attendevano nella propria piazza. Senza i volontari l’iniziativa non sarebbe stata economicamente produttiva; senza la struttura professionale di coordinamento, l’iniziativa non avrebbe mai potuto avere luogo.
 
Quindi è importante riconoscere che ci sono finalità di utilità sociale non perseguibili senza una solida organizzazione e professionalità che richiedono retribuzioni di mercato.
Proprio così. Non parlo ovviamente dei Consiglieri dell’ETS, che normalmente non sono retribuiti, parlo ad esempio di project manager, responsabili amministrativi, fundraiser, funzioni tecniche necessarie all’esperimento di ogni missione del non profit. Ad esempio un sistemista/informatico che  gestisce un database di alcuni milioni di contatti, ha competenze che potrebbero essere impiegate in una Banca o in una Compagnia Assicurativa di grande dimensione. Come potremmo ottenere i suoi servizi se non possiamo pagare il valore del suo stipendio di mercato? La Riforma all’art. 8, comma 3, punto b), considera “distribuzione indiretta di utili … la corresponsione a lavoratori … di retribuzioni … superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi…”. Come è risaputo, i contratti collettivi fissano dei minimi in genere piuttosto bassi e questa norma può provocare problemi significativi a quelle organizzazioni che, per raggiungere ambizioni obiettivi, come nel nostro caso la ricerca sul cancro, hanno bisogno di capitali e risorse umane qualificate.
 
Ferrari Bravo, qual è la sua posizione sul tema?
Credo che questo tema ci riporti a un grande dilemma, su cui peraltro con Niccolò abbiamo discusso lungamente: efficienza versus efficacia. I due termini nella pratica giornaliera sono spesso considerati sinonimi, ma in realtà mentre il primo è relativo alle minori risorse impiegate, il secondo attiene alla capacità di raggiungere gli obiettivi di missione. Non è sempre facile individuare i veri obiettivi dell’organizzazione, e tanto meno raggiungerli; così il management può finire col propendere verso un mero contenimento di spesa.  Secondo me l’attenzione andrebbe spostata verso l’efficacia delle organizzazioni di Terzo Settore.  In termini assolutamente teorici, se domani un’organizzazione che si prefigge di sconfiggere una terribile malattia avesse l’opportunità di finanziare un vaccino con buone possibilità di eradicare quella malattia dalla terra, non vedremmo con favore che quell’organizzazione si dotasse di una struttura di super-professionisti, con comprovate esperienze, che possano massimizzare le suddette possibilità, raggiungendo gli obiettivi di raccolta fondi e finanziando la ricerca che consenta la realizzazione del vaccino? O dovremmo invece preoccuparci dei costi di tale struttura e di quanto incidono rispetto al bilancio complessivo dell’organizzazione?
 
Come Assifero come vi state muovendo?
Questo tema, insieme a quello della tassazione di patrimonio e rendite degli Enti Filantropici, è tra i punti delle nostre interlocuzioni con il Legislatore e abbiamo immaginato tre strade potenziali. La prima prevede l’eliminazione di questo punto dal testo normativo. La seconda prevede una precisazione nei decreti attuativi che chiarisca come le circostanze esimenti previste all’art. 8 comma 3 punto b), ovvero la necessità di acquisire specifiche competenze per le attività di cui all’art. 5, comma 1, lettere b, g, h (prestazioni sanitarie, formazione universitaria, ricerca scientifica), si intendono applicabili anche per gli Enti filantropici che tali attività, direttamente o indirettamente, in tutto o in parte, sostengono. La terza richiede la promozione da parte del mondo della filantropia di un contratto collettivo che possa da un lato accogliere le esigenze variegate di enti spesso piccoli e non particolarmente strutturati e dall’altro sostenere la crescita di organizzazioni complesse che necessitano di professionalità particolarmente qualificate.
 
Contucci, le tre soluzioni potrebbero funzionare?
Certamente la prima, ovvero l’eliminazione del testo normativo in discussione. Le altre sono soluzioni che affrontano il problema lateralmente, nel caso in cui la nostra posizione non faccia breccia nel Legislatore. La seconda permetterebbe effettivamente di operare come Ente Filantropico, la terza affronta il tema da un’altra angolazione e rappresenterebbe certamente una grande sfida. A mio avviso in questo caso Assifero, come associazione di categoria degli Enti filantropici, sarebbe il soggetto più indicato per promuovere la definizione di un contratto collettivo filantropia.
 
Una quarta strada?
Contucci: Si, il ricorso alla Corte Costituzionale. La Costituzione all’art. 36 prevede che i lavoratori abbiano “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del … lavoro” e secondo me, sentito anche il parere di illustri costituzionalisti, ci sono fondati motivi per ritenere non ragionevole la previsione di un limite fisso alla retribuzione, non facendo pertanto riferimento ad aspetti quantitativi o qualitativi del lavoro svolto. Limiti inesistenti per qualunque soggetto privato (aziende) introdotti esclusivamente per gli ETS che sono enti privati dedicati a missioni sociali. Limiti che manterrebbero i salari dei dipendenti del non profit al di sotto dei salari dei dipendenti pubblici, circostanza questa altrettanto poco facilmente spiegabile.
 
Ferrari Bravo, vogliamo fare cenno anche all’art. 16?
Certo. Anche sull’art. 16 come Assifero esprimiamo dei dubbi, in particolare quando si statuisce che “la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda”. Una lettura letterale della norma sembra penalizzare le organizzazioni che impiegano anche  lavoro part time, dato che, facendo riferimento alla retribuzione annua lorda e non a quella oraria, in presenza di lavoratori impiegati per poche ore, il rapporto 1/8 facilmente determinerà il superamento del limite massimo per lavoratori impiegati full time ai più alti livelli della gerarchia. Oltre a questo, il rapporto alla retribuzione annua lorda non tiene conto dell’imposizione fiscale progressiva che penalizza le retribuzioni più alte. Sarebbe più ragionevole che il rapporto previsto dall’art.16 fosse riferito alla retribuzione netta. Anche qui suggeriamo pertanto la revisione dell’art. 16 in fase di emanazione del decreto correttivo o almeno dei chiarimenti interpretativi in fase di emanazione dei decreti attuativi.
Al di là comunque delle singole modifiche che possiamo proporre, quello che ci sta a cuore è la condivisione del principio secondo cui tutti gli ETS saranno sotto il controllo del Ministero del Welfare, in quanto utilizzano risorse di interesse pubblico (con i benefici fiscali connessi);  ma tale controllo deve essere orientato all’efficacia nell’attuazione della missione statutaria e quindi all’effettivo impegno dell’organizzazione nel raggiungimento degli obiettivi di missione, più che agli aspetti economico/ finanziari.
 
Contucci, in conclusione, con la Riforma siamo più vicini o più lontani all’idea di una moderna filantropia che sicuramente ha ispirato il Legislatore?
Molto più vicini. Lo ripeto, la mia valutazione della Riforma è assolutamente positiva. Siamo attori protagonisti insieme a questo Governo e a questo Parlamento di una svolta epocale nella identificazione del rilievo costituzionale del TS in Italia. La materia giuridica è normalmente algida agli occhi dell’opinione pubblica, ma in questo caso ritengo che si tradurrà in una più calda applicazione in benefici per le persone più svantaggiate e per l’intera comunità civile.
 
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