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Test and Learn. Il digitale nelle organizzazioni culturali: uno sguardo internazionale

  • Pubblicato il: 15/03/2016 - 19:34
Autore/i: 
Rubrica: 
CULTURA DIGITALE
Articolo a cura di: 
Emanuela Gasca

Lo scorso dicembre è uscito il rapporto Digital Culture a cura di Nesta, Arts & Humanities Research Council e l’Arts Council England. L’analisi proposta da questi tre soggetti  - che lavorano in partnership sul tema dal 2011 - propone una lettura critica dell’evoluzione delle politiche digitali nelle attività dei soggetti culturali inglesi. La necessità di avere competenze specifiche e risorse economiche dedicate a questo settore sono i fattori che emergono con più forza dalla rilevazione dell’anno 2015 che ha coinvolto nell’indagine 984 realtà in Inghilterra
 
 
 
«Digital Culture. How arts and cultural organizations in England use technology».
Questo è il titolo del rapporto uscito lo scorso dicembre edito da Nesta, Arts & Humanities Research Council e l’Arts Council England.
Questi tre soggetti, vocati allo sviluppo delle politiche culturali, lavorano insieme dal 2011 nell’ambito del Digital R&D Fund for the Arts con l’obiettivo di creare network sostenibili tra organizzazioni culturali, soggetti che si occupano di ICT e istituti di ricerca[1]. Nello specifico questo programma triennale (2012 – 2015) aveva l’obiettivo di operare su scala nazionale, e di sviluppare  e testare nell’arco di tre anni – questo l’obiettivo temporale dell’iniziativa – «politiche di audience engagement» e «business model» che utilizzassero soluzioni digitali in ambito culturale (Nesta, 2016[2]).
Il rapporto Digital Culture nasce proprio in questo contesto analizzando, sulla base degli obiettivi raggiunti dal progetto, l’uso delle tecnologie dalle organizzazioni artistiche inglesi.
 
 
 
Contenuti del rapporto
Il documento è diviso in due parti principali relative a come le organizzazioni artistiche lavorano con gli strumenti tecnologici, e viceversa come gli strumenti tecnologici impattano sull’evoluzione sociale ed economica dei soggetti che lavorano in ambito culturale.
La risposta a queste due domande arriva proprio dagli stessi operatori. Nel 2015 sono infatti state intervistate 984 realtà che si sono confrontate con un questionario che indagava tre principali topic: l’importanza della digitalizzazione per le organizzazioni culturali; la tipologia delle attività sviluppate con il supporto degli strumenti digitali; e l’impatto delle tecnologie nelle diverse categorie del loro business.
 
 
 
Un punto di vista territoriale
Per quanto riguarda le performance relative alla digitalizzazione il documento invita a riflettere sulla differenza esistente tra le realtà culturali londinesi e quelle appartenenti alle altre aree territoriali: le attività in cui si riscontra una migliore prestazione delle prime rispetto alle altre si rifanno ad azioni molto operative riguardanti per esempio la possibilità di fare promozione attraverso l’email marketing (segnalato dal 92% degli intervistati), lo sviluppo e implementazione del sito web (come espresso dal 79% dei soggetti) e l’opportunità di vendere biglietti su piattaforme on line (indicato dal 54% dei rispondenti).
Se si analizzano invece le necessità delle singole zone geografiche, Nesta evidenzia il fatto che il 79% dei soggetti appartenenti all’area territoriale del Sud esprime una mancanza di tempo nello svolgere attività di sviluppo di politiche digitali rispetto alla necessità di espletare le attività quotidiane. Il 46% invece sottolinea la mancanza di digital skills specifiche all’interno della loro realtà.
 
 
 
I fattori che influiscono sullo sviluppo di politiche digitali
Le risposte qualitative che sono state espresse dagli enti culturali suggeriscono tre principali fattori che hanno influito sullo sviluppo di politiche digitali all’interno delle realtà inglesi.
Il primo è legato alla necessità di allocare voci di spesa specifiche  per sviluppare processi digitali virtuosi e sostenibili nel tempo. Ad oggi infatti il 73% degli operatori segnala la mancanza di risorse economiche dedicate a questa attività.
In secondo luogo dal rapporto emerge che molte organizzazioni sono nella fase «test and learn[3]», in un momento cioè in cui stanno testando alcune soluzioni progettuali legate alla digitalizzazione per poi decidere se svilupparle nel medio lungo periodo. Da questa considerazione emerge per esempio che il crowdfunding[4] e il livestreaming siano due attività che richiedono più impegno tecnico ed economico rispetto alle aspettative.
Inoltre alcune realtà indicano l’esistenza di fattori che possono rallentare il processo di digital transformation. Uno di questi è la mancanza di competenze specifiche legate al tema ed in particolare la necessità di avere un digital manager – segnalato nel 2015 dal 39% dei soggetti intervistati rispetto alla percentuale del 31% del 2014 - che si occupi dello sviluppo e dell’implementazione di politiche e azioni operative. Un altro elemento è riconducibile alla necessità di implementare strumenti ICT specifici utili per raggiungere quelle che il rapporto chiama «aspirazioni digitali[5]» degli enti culturali.
Ne emerge un panorama in cui il 40% delle organizzazioni fa fatica ad allinearsi alle opportunità offerte dal digitale. In questo contesto per esempio – come evidenzia il rapporto - alcune di esse non possiedono neanche un sito web  mobile – optimize per facilitare la fruizione dei loro contenuti anche da supporti mobile.
 
 
 
Prospettive future
Per quanto riguarda le prospettive per l’immediato futuro le realtà intervistate segnalano la volontà di sviluppare iniziative legate al crowdfunding (21%), alle donazioni on line (19%) e alla vendita di prodotti in rete (16%). L’attività che risulta essere invece meno urgente nella programmazione futura delle organizzazioni è relativa alla creazione di strumenti per il download di contenuti digitali dai siti web.
 
 
 
Il rapporto Digital Culture nell’Digital Economy and Society Index dell’Unione Europea
Per concludere si è ritenuto che potesse essere interessante contestualizzare i dati del Rapporto in un panorama territoriale e scientifico più ampio. Nello specifico sono stati presi in considerazione le informazioni fornite dal Digital Economy and Society Index – DESI - che propone una lettura annuale della performance digitale degli stati europei attraverso 30 indicatori interpretati sulla base di cinque dimensioni: connectivity, human capital, use of Internet, integration and digital technology, digital public services[6].
Seppur non rappresentativi esclusivamente del sistema culturale, si ritiene che queste informazioni possano essere utili per inquadrare i dati del documento Digital Culture in un processo di digitalizzazione più ampio.
In DESI l’Inghilterra risulta essere un’area abbastanza virtuosa trovandosi al sesto posto rispetto agli altri paesi UE. Quasi l’90% dei cittadini viene infatti definito «regular Internet User» riscontrando un aumento di più di 10 punti percentuale rispetto ai dati di cinque anni fa (2009). Al termine dell’analisi viene sottolineato che esistono competenze di base tra i cittadini - che svolgono attività di shopping on line oppure utilizzano il web per raggiungere alcuni servizi delle PA – ma allo stesso tempo  che alcune digital skills specifiche andrebbero implementate così come sottolinea anche lo studio a cura di Nesta. Queste ultime – che identificano gli esperti di ICT,  «ICT specialists» - sono però in crescita dello 4,9% rispetto all’anno precedente.
Parliamo invece di ottavo posto se si prende in considerazione il dato relativo alla capacità delle imprese di vendere attraverso canali on line. DESI chiama questa opportunità «missed opportunity» sottolineando il carattere scarsamente virtuoso degli Stati rispetto a questo aspetto. Questa informazione è coerente con quanto dichiarato nel rapporto ed in particolare alla volontà di alcune organizzazioni culturali di aprire dei canali di vendita on line.
 
Dal punto di vista dei processi digitali, quindi, l’Inghilterra ha una buona performance. In un’analisi che posiziona le prestazioni degli stati membri da 0 a 1, il dato riferito a UK è dello 0.61, ben sopra quindi alla media complessiva che si aggira intorno allo 0.52.
Restano sicuramente da potenziare le attitudini degli utenti (cittadini e PA) verso l’uso dei servizi pubblici digitali il cui dato è in diminuzione rispetto agli anni precedenti.
 
Concludendo si può riflettere sul fatto che il rapporto tra il documento Digital Culture e DESI non rimandi a una casuale omogeneità di alcuni dati quantitativi, ma si configuri come un buon esempio di come dati relativi al singolo settore culturale siano contestualizzabili in un ambito territoriale e scientifico più ampio.
 
Fonte dell’immagine: Digital R&D Fund for the Arts
 
Bibliografia essenziale
European Commission (2015), Digital Economy and Society Index 2016.
European Commission (2015), A Digital Single Market Strategy for Europe, COM(2015) 192 final, European Commission, Brussels.
European Commission (2015), Digital Agenda Scoreboard 2015.
European Commission (2015), Digital Agenda Targets – Progess Report.
Nesta, Arts & Humanities Research Council, Arts Council England (2015), Digital Culture. How arts and Cultural organizations in England use technology.

La rubrica Cultura Digitale nasce in collaborazione con DiCultHer
 

[1] Il progetto, dal 2011 ha lavorato a supporto di 52 progetti (dato aggiornato al 28 febbraio 2016) che spaziavano in ambiti della cultura molto diversi, dalla musica al gaming.

[2] Sito web Nesta.

[3] Nesta et al. (2015), pag. 6.

[4] Nel 2015 il 21% delle organizzazioni ha pianificato di implementare politiche di crowdfunding nell’anno 2016. La variazione di questo strumento rispetto all’anno 2014 è invece irrilevante (1%).

[5] Nesta et al. (2015), pag. 8.

[6] Alla pagina di presentazione del DESI (https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi) è possibile visionare la definizione completa di ciascuna dimensione.