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Qualcosa in cui sperare, forse: social lending e titoli di solidarietà

  • Pubblicato il: 15/09/2017 - 09:57
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Franco Broccardi

Tra e pieghe della riforma del terzo settore si possono trovare interessanti norme su cui la letteratura non si è ancora soffermata a dovere dovendo, per forza di cose, digerire altre pantagrueliche novità
 


 
Social Lending
 
Tali norme sono, tra le altre, quelle che relative all’introduzione di un regime fiscale agevolato a favore del social lending al fine di favorire la raccolta di capitale di rischio da parte degli ETS.
 
Con l’entrata in vigore del nuovo codice, infatti per la raccolta del risparmio da parte di soggetti diversi dagli istituti bancari e finanziari, la remunerazione del capitale stesso viene assoggettata allo stesso regime fiscale previsto per i titoli di stato, ovvero applicando una ritenuta alla fonte a titolo di imposta con aliquota pari al 12,50%.  Perché si possa usufruire dell’agevolazione fiscale l’attività di social lending dei gestori di portali online deve essere finalizzata al finanziamento e al sostegno delle attività di cui all’art. 5 dello stesso codice. Per i soggetti prestatori che non svolgono attività di impresa, è previsto, infine, che gli importi percepiti a titolo di remunerazione tramite i portali online costituiscano redditi di capitale ai sensi del TUIR. In ogni caso si attende un decreto del Mef, il quale dovrebbe stabilire le modalità attuative delle disposizioni.
 
Tutto molto bello, sembrerebbe, ma cos’è il social lending?
Il Social Lending, o Peer to Peer Lending, è una forma di prestito finanziario tra privati alternative, quindi, a quelle generalmente poste in essere dagli istituti di credito. Si tratta di prestiti personali erogati da privato a privato mediante apposite piattaforme online e senza necessità di prestare garanzie. Questi strumenti permettono a una comunità di soggetti, prestatori e richiedenti, di incrociare le rispettive esigenze per il finanziamento di progetti o attività. Nel Social Lending le parti percepiscono o pagano, rispettivamente a seconda della propria posizione, una quota di interessi più favorevole rispetto a quella offerta dagli istituti finanziari tradizionali: tassi più bassi per chi ottiene il prestito e interessi più alti per chi presta denaro. Ciò si spiega per i costi di intermediazioni competitivi data la mediazione diretta tra prestatore e richiedente e per un break even point più basso dei portali online che offrendo servizi automatizzati hanno costi ridotti rispetto ai soggetti bancari e finanziari.
 
Ad ogni richiedente viene attribuito un livello di affidabilità, c.d. rating, mediante una verifica su banche dati delle centrali di rischi private e pertanto in corrispondenza di un livello basso i tassi di interesse saranno più alti per i prestatori al fine di compensare il rischio. Il prestito viene erogato dopo un’attenta analisi della documentazione e restituito con rate mensili. I gestori di social lending ridistribuiscono le rate ai prestatori secondo la quota capitale e la quota interessi spettante. In caso di morosità i gestori attivano i programmi di recupero credito per conto dei soggetti coinvolti.
 
Al fine di diversificare l’investimento e mitigare i rischi i prestatori hanno facoltà di scegliere diverse tipologie di rischio del richiedente. Alcune piattaforme di social lending consentono anche al prestatore di rientrare rapidamente, in caso di necessità, dall’investimento cedendo i propri crediti ad altri prestatori in un mercato secondario.
 
I gestori dei portali online che svolgono attività di social lending anche nel caso di finanziamenti erogati agli ETS sono imprese che generano profitto mediante una commissione percepita dai richiedenti all’erogazione del prestito e una commissione percepita dai prestatori per il servizio.
 
In generale dal punto di vista fiscale gli interessi ottenuti sul capitale prestato e la relativa ritenuta d’acconto pari al 26% operata dalla piattaforma online dovranno essere indicati nella dichiarazione dei redditi del percipiente. La piattaforma online avrà l’obbligo di certificare gli interessi e le ritenute operate. Risulta quindi evidente l’agevolazione prevista a favore degli ETS.
 
Le origini di questa nuova modalità di ottenimento del credito risalgono al 2005 quando fu introdotta per la prima volta in Inghilterra dalla società Zopa e si è sviluppato successivamente in USA e in Europa anche a seguito della crisi del 2008,  della diffusa diffidenza verso gli istituti di credito oltre che alla stretta creditizia operata da questi. A partire dal 2014 il mercato del peer-to-peer lending, vista la diffusione del business in Gran Bretagna, è stato regolamentato dalla FCA, l’ente regolatore del mercato finanziario del Regno Unito.
 
Per dare un’idea della portata del fenomeno e delle sue potenzialità anche in Italia basta prendere i dati da poco diffusi nel 2° report italiano sul crowdinvesting del Politecnico di Milano. Da questo emerge che il capitale erogato nel periodo 1.7.16-30.6.17 ha superato € 56,5 milioni (€28,3 nei 12 mesi precedenti) su un totale complessivo da quando è nata la prima piattaforma di social lending, di meno di € 90 milioni. Nel periodo tra il 2014 e il 2015, erano attive in Italia quattro piattaforme attive che già ad oggi sono più che raddoppiate  E siamo solo all’inizio.
 
In Italia il primo intervento di Bankitalia risale solo al 2016 con l’emanazione delle Disposizioni in materia di raccolta del risparmio da parte dei soggetti diversi dalle banche, entrato in vigore nel 2017. Tali disposizioni prevedono una sezione dedicata al social lending e alle piattaforme che intermediano denaro tra investitori privati e istituzionali e richiedenti privati o imprese. Banca d’Italia definisce il social lending (altrimenti detto lending based crowdfunding) come uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto e chiarisce che l’operatività dei gestori dei portali online che svolgono attività di social lending (di seguito, ‘gestori’) e di coloro che prestano o raccolgono fondi tramite i suddetti portali (di seguito, rispettivamente, ‘finanziatori’ e ‘prenditori’) è consentita nel rispetto delle norme che regolano le attività riservate dalla legge a particolari categorie di soggetti (ad esempio, attività bancaria, raccolta del risparmio presso il pubblico, concessione di credito nei confronti del pubblico, mediazione creditizia, prestazione dei servizi di pagamento).
 
È facile immaginare che in un tale mercato già di per sé in crescita per i motivi sopra accennati e per una maggiore confidenza verso la disintermediarizzazione delle operazioni finanziarie le novità introdotte dalla riforma del Terzo Settore daranno un ulteriore impulso a una forma di finanziamento che potrà sopperire almeno in parte alla diffidenza del settore creditizio tradizionale nel finanziamento di attività il cui maggiori asset sono di natura immateriale.
 
Titoli di solidarietà per gli ETS
 
Una spinta proprio agli istituti di credito al fine di favorire il finanziamento e il sostegno delle attività istituzionali del ETS iscritti nel registro unico nazionale è però prevista nel nuovo codice: la possibilità per questi di emettere titoli di solidarietà, quali obbligazioni e altri titoli di debito o certificati di deposito, senza applicazione di commissioni di collocamento.
 
Non esattamente una novità se già con il dlgs 460 del 1997 tale strumento, seppur con forme e regole diverse, è entrato a far parte del nostro ordinamento prevedendo un regime fiscale agevolato al fine di favorire il finanziamento delle ONLUS. Un intervento normativo che per una serie di cause non si è tradotto in un gran successo di critica e di pubblico ma è stata comunque la strada sulla quale la riforma si è andata a riferire semplificandone le procedure e le agevolazioni e ampliando la platea degli emittenti. Nella formulazione prevista dalla nuova legge sugli ETS gli emittenti avranno l’obbligo di destinare l’intera raccolta derivante dall’emissione dei titoli agli enti del terzo settore tenendo conto degli obiettivi di solidarietà sociale perseguiti. Inoltre, gli stessi potranno erogare a titolo di liberalità una somma commisurata all’ammontare nominale collocato dei titoli agli ETS più meritevoli sulla base di un progetto per il sostegno delle proprie attività istituzionali: per la quota pari allo 0,6% del predetto ammontare, agli emittenti spetta un credito d’imposta pari al 50% della stessa erogazione liberale.
 
Per i sottoscrittori, invece, sarà importante sapere che gli interessi, i premi ed ogni altro provento derivanti dai titoli di solidarietà sono soggetti al regime fiscale di esenzione previsto per i titoli di Stato ai sensi dell’art. 31 del DPR 601/73 e che gli stessi titoli non entreranno a far parte dell’attivo ereditario.
 
Social lending e titoli di solidarietà sono due strumenti la cui efficacia è tutta da testare ma che certamente richiederanno agli ETS, come del resto tutta la nuova normativa, uno sforzo di crescita. Le opportunità esistono o meglio esisteranno se, assieme ai partner finanziari, si sapranno coniugare innovazione tecnologica, un nuovo approccio finanziario e grande attenzione alle nuove norme. Torneremo a parlarne, statene certi.
 
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Ph: Gottfried Helnwein, American Prayer, 2000