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Promuovere il cambiamento sociale attraverso la cultura. L'esperienza della European Cultural Foundation

  • Pubblicato il: 18/05/2018 - 08:06
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Vittoria Azzarita

In occasione del Convegno Nazionale di Assifero, l'Associazione punto di riferimento della filantropia istituzionale in Italia, venerdì 25 maggio presso la Fondazione Exclusiva si terrà un incontro aperto al pubblico dal titolo “La Filantropia è cultura. Cultura e rigenerazione economica e sociale oggi”, volto a riflettere sul valore della Cultura come linea strategica di investimento nella società di oggi e per le stesse organizzazioni filantropiche. Tra i numerosi ospiti che prenderanno parte all'iniziativa ci sarà anche Enrica Flores d'Arcais, Strategic Leadership Team - Head of Business Development & Outreach della European Cultural Foundation, una tra le principali fondazioni europee, impegnata da più di 60 anni nella promozione della cultura come agente di cambiamento sociale. Per conoscere più da vicino questa importante istituzione attiva a livello internazionale, abbiamo posto alcune domande ad Enrica Flores d'Arcais. Attraverso la promozione di idee dall'elevato potere trasformativo, l'esperienza della European Cultural Foundation ci insegna che di fronte alle sfide destabilizzanti di un contesto globale turbolento, la cultura può fare davvero la differenza.


La European Cultural Foundation (ECF) è un'istituzione con una lunga tradizione alle spalle, attiva da più di 60 anni. Quali sono i vostri principali ambiti di intervento e quali i risultati più importanti conseguiti nel corso del tempo?
La European Cultural Foundation (ECF) è stata fondata a Ginevra nel 1954 da persone che credevano fermamente che la cultura fosse un elemento di vitale importanza nel processo di ricostruzione e di risanamento dell'Europa del dopoguerra, tra cui il filosofo svizzero Denis de Rougemont, l'architetto della Comunità Europea Robert Schuman e Sua Altezza Reale il Principe Bernhard dei Paesi Bassi. Fu durante la presidenza del Principe Bernhard – che è stato il primo presidente della ECF – che la fondazione si è trasferita ad Amsterdam nel 1960, stabilendo un accordo con il Prins Bernhard Culture Fund, una delle più grandi fondazioni culturali dei Paesi Bassi che destina alla nostra organizzazione il 25% dei propri fondi derivanti in larga parte dalle lotterie olandesi. La composizione del nostro board è molto variegata in quanto, oltre alla casa reale olandese, ci sono persone provenienti dal mondo delle fondazioni come il nostro Chair, Görgün Taner, che è il Direttore della Istanbul Foundation for Culture and Arts, o come Rien van Gendt, dalle banche come Igno van Waesberghe e Rob Defares, dalla politica come Isabel Alçada che è stata Ministro dell'Istruzione in Portogallo e ovviamente dalla cultura come Mária Hlavajová che dirige un centro culturale a Utrecht e Christophe de Voogd che è professore di Scienze Politiche a Parigi. Si tratta quindi di un gruppo davvero internazionale di pensatori, imprenditori e soggetti della filantropia istituzionale, che rappresentano le discipline e gli ambiti d'intervento in cui siamo maggiormente attivi.
 
Per la ECF la cultura è una risorsa insostituibile per il futuro dell'Europa, è la dimensione che ci permette di accettare la nostra identità e di valorizzarne le differenze. È la chiave per creare nuove connessioni tra i popoli europei: dalle piccole realtà locali alle grandi istituzioni europee, dagli attivisti sul territorio ai legislatori, la cultura ci dà la possibilità di parlare con l'altro, non tramite l'economia, la politica o la finanza, ma tramite un qualcosa che ci tocca tutti al cuore. L'attività di sensibilizzazione è alla base del nostro lavoro e ci consente di mettere al centro la cultura e di coinvolgere i cittadini, a partire da piccole azioni sul territorio fino ad arrivare alla circolazione di linee guida a livello europeo.
 
Come ECF promuoviamo l'operato dei cittadini e degli artisti tramite i nostri grants, i programmi di scambio culturale, gli incubatori e le nostre piattaforme digitali. Ad esempio “Tandem” è un ottimo programma, che realizziamo ormai da anni, e che offre la possibilità a manager culturali provenienti da tutta Europa di collaborare e lavorare insieme. “Idea Camp” è un programma di incubazione che abbiamo avviato quattro anni fa, attraverso cui lanciamo una “open call” volta a raccogliere le migliori idee per cambiare la società tramite la cultura. Di solito riceviamo circa 800 proposte e ne selezioniamo 50, le quali hanno la possibilità di partecipare al nostro “Idea Camp” che si tiene ogni anno in una diversa città europea (per esempio l'anno scorso l'abbiamo realizzato a Madrid, l'anno prima a Stoccolma e prima ancora a Marsiglia). In tale occasione gli “Idea Makers” provenienti da tutta Europa lavorano insieme: in questo modo si stimolano tra di loro e le loro idee si rafforzano, alimentandosi a vicenda. In una fase successiva le migliori 25 idee ricevono un “Research and Development Grants”. Un altro programma molto importante che abbiamo sostenuto in passato è stato l'Erasmus Exchange Programme, che dal 1987 in poi ha permesso a circa tre milioni di studenti di viaggiare in Europa. Siamo molto orgogliosi del fatto di essere stati tra i primi sostenitori di un programma che è cresciuto tantissimo nel corso del tempo, fino a diventare una iniziativa promossa e finanziata direttamente dell'Unione Europea.
 
 
Come sono cambiati i vostri programmi per adattarsi a uno scenario in continua evoluzione?
Negli ultimi anni siamo passati dal “project support” all'“idea support. Oggi i nostri programmi sono molto più legati alle idee, alle iniziative, all'imprenditoria sociale e sono meno “project-oriented: più che sostenere l'artista per sé preferiamo appoggiare e finanziare chi cambia qualcosa, ossia coloro che noi chiamiamo “cultural change makers”. Crediamo nell'importanza di utilizzare il potere costruttivo e collaborativo delle persone e crediamo anche che questo potere possa essere stimolato al meglio attraverso l'esposizione di diverse idee e di differenti punti di vista, in particolare scoprendo voci finora inascoltate. Negli ultimi quattro anni abbiamo esplorato nuove narrative: siamo orientati verso una maggiore collaborazione, promuovendo un approccio bottom-up, e stimoliamo e sosteniamo gli agenti del cambiamento culturale in Europa. Tradizionalmente eravamo abituati ad elargire un contributo e a controllare l'operato del destinatario, il quale dopo un anno doveva aver finito il proprio progetto e doveva comunicare in che modo era stato usato il supporto che aveva ricevuto. Anche se questo può essere giusto da un certo punto di vista, perché ti permette di fare una valutazione d'impatto immediata, al contempo è molto frustrante perché in questo modo non riesci a far partire delle idee che hanno bisogno di tempo per dare i loro frutti. Per questo abbiamo deciso di cambiare il nostro approccio.
 
 
Avete promosso dei progetti o delle iniziative speciali in occasione dell'Anno Europeo del Patrimonio Culturale?
A questo proposito, collaboriamo con organizzazioni come Europa Nostra al fine di sostenere il patrimonio nella sua accezione più ampia. Inoltre i laureati di quest'anno del Princess Margriet Award for Culture, che sono Borderland e Forensic Architecture, lavorano molto sul concetto di memoria e sul passato. In particolare, Borderland è un centro culturale che si trova in Polonia, al confine con la Lituania, dove ci sono stati molti cambiamenti nel corso del tempo. Borderland si è stabilito in quella zona 28 anni fa con lo scopo di far conoscere la storia attraverso un lavoro intergenerazionale, che coinvolge attori di teatro, musicisti e persone che hanno ancora una memoria storica. Ogni anno organizzano un grande festival a cui partecipano 20/30mila persone che si recano appositamente in questo luogo bellissimo, Krasnagruda, vicino a un lago tra la Polonia e la Lituania, per lavorare insieme e creare un ponte tra il passato e il presente utilizzando tutte le forme espressive della cultura: letteratura, teatro, musica, disegno, arte e architettura. Forensic Architecture è, invece, un centro di ricerca indipendente legato alla Goldsmiths University di Londra che lavora con la memoria nelle zone di conflitto tramite l'architettura e il design.
 
 
Ha citato prima il Princess Margriet Award for Culture, che è una iniziativa che premia il potere trasformativo della cultura e della creatività. Ci può raccontare quali sono le sue peculiarità?
Si tratta di un riconoscimento annuale che promuove la cultura come agente di cambiamento sociale, fondato nel 2008 in onore del nostro precedente Presidente, la Principessa Margherita dei Paesi Bassi che poi ha passato la Presidenza alla Principessa Laurentien dei Paesi Bassi. Da dieci anni il premio viene assegnato a persone e organizzazioni che sono in grado di immaginare il cambiamento e di segnare il futuro dell'Europa con coraggio e creatività. Il tema di quest'anno è “Courageous Citizens” e come dicevamo prima il premio per il 2018 è stato assegnato a Borderland e a Forensic Architecture. Per celebrare i dieci anni del premio, quest'anno il Princess Margriet Award sarà accompagnato dall'European Cultural Challenge, una due giorni di confronto, dibattito e dialogo tra ricercatori e attivisti sul ruolo della cultura nella società attuale, a cui parteciperanno circa 100 persone e che si terrà ad Amsterdam il 15 e 16 maggio. Inoltre durante la cerimonia del Princess Margriet Award sarà presentato anche un libro dal titolo “Courageous Citizens: How Culture Contributes to Social Change”, che raccoglie le testimonianze e i ricordi dei laureati degli ultimi dieci anni, a partire dal grande pensatore inglese Stuart Hall.
 
 
In che modo la vostra organizzazione riesce a sostenere le proprie attività? È stato necessario cercare nuove fonti di finanziamento e sviluppare nuove modalità di lavoro per affrontare i cambiamenti in atto anche nel campo della ricerca fondi?
Come dicevo prima la ECF è la cosiddetta sorella internazionale del Prins Bernhard Culture Fund, da cui riceviamo il 65% delle risorse a nostra disposizione che derivano dalle lotterie olandesi. Per molti progetti riceviamo fondi dall'Unione Europea attraverso vari programmi di finanziamento, come Europa Creativa ed Erasmus+, ma anche dalle banche o da altre fondazioni come per esempio la Fondazione Cariplo, la Robert Bosch Stiftung o la Fondazione Calouste Gulbenkian. In questi casi lavoriamo spesso in partnership per sfruttare al massimo il potenziale della nostra organizzazione. Siccome lavoriamo a livello internazionale con diversi programmi multinazionali siamo sempre alla ricerca di nuove fonti di finanziamento. A questo proposito ultimamente abbiamo anche lanciato un programma di raccolta fondi destinato ai lasciti testamentari, rivolto alle persone che sono preoccupate per il futuro dell'Europa e che decidono di lasciare una parte del proprio patrimonio personale per sostenere questa causa.
Di fronte alle sfide destabilizzanti di un contesto globale turbolento, la filantropia è costretta a riflettere sulle risorse a propria disposizione. Ma la crisi può rappresentare anche un'opportunità per le fondazioni. Siamo in un momento in cui la società civile, il governo, il mondo delle aziende e le organizzazioni filantropiche hanno realmente la possibilità di fare la differenza e di contribuire a un cambiamento se capiscono come collaborare gli uni con gli altri per il bene della società.
 
 
Dal punto di vista della vostra organizzazione, che ruolo gioca – o dovrebbe giocare - la cultura nell'attuale contesto storico-politico?
Per noi la cultura può fare la differenza, perché ci sono artisti che possono cambiare la nostra società. Per farle capire cosa intendiamo le faccio un paio di esempi. Uno dei laureati del Princess Margriet Award del 2017, Luc Mishalle è un musicista e compositore belga che lavora con la musica da 35 anni soprattutto a Bruxelles nel quartiere di Molenbeek, una zona “difficile” dove ci sono persone con background molto diversi tra loro e che non gode di una buona fama perchè - come sappiamo - gli attacchi che sono avvenuti a Parigi nel 2015 sono stati organizzati da terroristi che vivevano lì. Mishalle è un sassofonista e ha deciso di insegnare a Molenbeek e di mettere insieme delle orchestre composte da persone provenienti da tutto il mondo. Non è una persona che parla, lui fa con la musica, fa vedere che cosa può cambiare. Fanfakids è un suo progetto che coinvolge ragazzi arabi, fiamminghi, francesi e di tante altre nazionalità tra gli 8 e i 15 anni che fanno musica insieme e così imparano a conoscersi e a dialogare tra loro fin da piccoli. Un altro esempio che mi fa piacere citare è quello di Árpád Schilling, un direttore di teatro molto noto in Ungheria, che aveva sempre le sale piene e che non aveva bisogno di farsi pubblicità. Tuttavia a un certo punto, quando il governo di Orban ha iniziato a diventare sempre più estremo, ha deciso di cambiare completamente la propria attività perché si è reso conto che la xenofobia, la paura dell'altro, il nazionalismo stavano aumentando in maniera preoccupante. Così ha deciso di chiudere il proprio gruppo di teatro, composto da 40 persone, e ha dato vita a Krétakör, un progetto che tramite il teatro mette insieme persone di background completamente opposti, ad esempio i rom con i nazionalisti, aiutandoli a farli dialogare tra loro. Per noi iniziative come queste sono fantastiche perché mostrano che anche senza il linguaggio della politica e dell'economia si riesce a dialogare, a stabilire un vero scambio che ci permette di conoscerci gli uni con gli altri.
 
 
Secondo lei, qual è il contributo che la filantropia istituzionale può dare al settore culturale e creativo?
Il nostro credo è “democracy needs imagination” - ossia, la democrazia ha bisogno dell'immaginazione - e per questo siamo convinti che dove ci sia la creatività sia possibile trovare nuove soluzioni e agire in modo innovativo. Secondo me, per il nostro lavoro è fondamentale lasciare più spazio alle voci creative e imparare a collaborare in maniera trans-settoriale, andando a vedere che cosa può fare la cultura per favorire l'inclusione delle persone anziane, per aiutare coloro che sono affetti da malattie degenerative come l'Alzheimer o per facilitare l'integrazione dei migranti. Per esempio, l'anno scorso durante il nostro “Idea Camp” è stata lanciata una bellissima idea: una direttrice di teatro libanese aveva creato un “theatre caravan”, un teatro mobile su camper, che raccoglieva le storie delle persone in Siria, Libano e in altre zone di conflitto e poi con l'ausilio degli attori le faceva vedere in altri luoghi e in questo modo aiutava le persone che avevano vissuto esperienze traumatiche ad elaborare la propria condizione e a condividerla con gli altri.
 
 
Qualche settimana fa l'Unione Europea ha presentato le proposte per la nuova programmazione finanziaria pluri-annuale. Per il settore culturale e creativo è previsto un incremento del 27% dei fondi a propria disposizione per il periodo 2021-2027, passando da 1,4 miliardi di euro a 1,8 miliardi di euro. Come giudica questo risultato, anche a seguito della campagna di advocacy portata avanti in questi mesi da Culture Action Europe – di cui la vostra organizzazione fa parte – per ottenere uno stanziamento complessivo a favore del settore culturale pari ad almeno l'1% del budget dell'UE?
Questo è un tema che ci interessa da vicino anche perché noi abbiamo aiutato Culture Action Europe a crescere. Sicuramente ci dovrà essere uno stanziamento finanziario a favore della cultura molto più alto. Questo primo risultato è un passo nella giusta direzione, però c'è ancora molta strada da fare.
 
 
È preoccupata per lo stato di salute della democrazia in Europa? A tal proposito, avete promosso delle campagne di sensibilizzazione per cercare di contrastare la diffusione delle ideologie estremiste e dei sentimenti anti-europeisti?
In realtà questo è quello che abbiamo sempre fatto da quando siamo nati. Attualmente lavoriamo concretamente con Culture Action Europe e con More Europe, un consorzio di diverse fondazioni attraverso cui comunichiamo la necessità di rinforzare il ruolo della cultura in Europa. Ma collaboriamo anche con nuove fondazioni e nuovi gruppi come Edge Funders Alliance, che unisce fondazioni progressiste nell'ambito di una collaborazione strategica e che ha recentemente costituito una sezione europea che promuove un'alleanza transatlantica sul tema delle transazioni eque per il cambiamento sistemico.
Di fronte alle sfide che dobbiamo affrontare nella società attuale, l'ECF cerca di creare connessioni in tutto il territorio europeo, in quanto lavoriamo non solo all'interno dell'Unione Europea ma anche nello spazio allargato a cui fa riferimento il Consiglio d'Europa, che conta oggi 47 Stati Membri. Pensiamo che ad essere in gioco sia proprio il futuro dell'Europa e che questo non sia il momento di chiudere né gli occhi né le frontiere. L'Europa deve ripensare se stessa nel mondo. Per questo noi crediamo che i nostri programmi possano contribuire a rafforzare la società civile in Europa e nelle regioni vicine. Crediamo nella costruzione di una comunità transnazionale che sia realmente collaborativa e per farlo diventa necessario prestare sempre più attenzione alle istanze che vengono dal basso. In quest'ottica, oltre ai nostri programmi di scambio come “Tandem” o “Idea Camp”, promuoviamo anche l'idea dei “Commons”, perché per noi la cultura è un bene comune come l'acqua e l'aria.
 
 
Come sicuramente saprà, l'articolo di Carola Carazzone sulla svolta necessaria per la sostenibilità del Terzo Settore in Italia, pubblicato sul nostro giornale, è stato ripreso dalle più autorevoli testate e sta generando un forte dibattito. Dal suo punto di vista quali cambiamenti sono necessari per rendere le organizzazioni filantropiche dei reali agenti di cambiamento sociale?
Capisco bene che l'interessantissimo articolo di Carola Carazzone sia stato ripreso da molte testate. Si vede che c'è bisogno di un forte dibattito. A questo proposito vorrei condividere con voi alcune azioni che le fondazioni dovrebbero intraprendere. In primo luogo, dovrebbero identificare in maniera chiara sia il proprio posto nell'ecosistema sia il proprio contributo specifico al processo di cambiamento, ripensando se stesse. In secondo luogo, dovrebbero sviluppare un impegno condiviso tra il consiglio di amministrazione e il personale. Dovrebbero, poi, investire sul lungo periodo per generare un cambiamento reale e duraturo, affrontando le cause profonde delle sfide sistemiche e non solo le emergenze. Dovrebbero prestare maggiore attenzione al sostegno di progetti e iniziative che nascono dal basso, cambiando le loro modalità di lavoro. Dovrebbero passare dalla semplice elargizione di risorse al diventare partner degli investimenti attraverso l'offerta di prestiti, garanzie, capitali di rischio e sovvenzioni, ripensando le modalità del dare.
Le organizzazioni filantropiche devono cambiare prospettiva: da donatori devono diventare “portatori di cambiamento”, devono trasformarsi in “cultural change makers, cercando di lavorare insieme in maniera trasversale tra diversi ambiti. In questo senso, dovrebbero incoraggiare esperienze di governance partecipata e trovare nuovi alleati, mostrando una maggiore apertura al cambiamento. Dovrebbero lavorare in maniera collaborativa, adottando un approccio olistico, dovrebbero sviluppare strategie comuni e forgiare alleanze rilevanti tra pubblico, privato e società civile.
Dobbiamo ascoltare di più ciò che serve davvero alla società e mettere sul tavolo nuove voci e prospettive per co-progettare soluzioni innovative. Dobbiamo lavorare sulla percezione e sulla riformulazione delle narrazioni, dando forma a narrazioni trasformative su questioni quali l'immigrazione, le ingiustizie sociali e la radicalizzazione per cercare di avere un impatto sull'opinione pubblica. Dobbiamo iniziare a connettere reti, comunità e agenti di cambiamento da tutta Europa, attorno e oltre le problematiche comuni, condividendo non solo i successi ma anche i fallimenti.
 
 
La European Cultural Foundation sarà uno dei protagonisti della 29esima Assemblea Generale dello European Foundation Centre, che quest'anno sarà dedicata alla cultura. Qual è il messaggio che lancerete in tale occasione e quali saranno i principali temi di discussione?
A questo proposito vorrei ricordare che il direttore della European Cultural Foundation, Raymond Georis, è stato l’iniziatore dello European Foundation Centre, che è nato dopo la caduta del muro di Berlino dall'idea di sei fondazioni che hanno deciso di mettersi insieme a livello europeo per attivare una serie di scambi all'interno del settore filantropico.
Quest'anno, in virtù del tema centrale dell'evento, abbiamo diversi workshop in programma. Ad esempio siamo tra gli organizzatori del workshop “Contemporary art − Shaking up and energising communities”, volto a mostrare l'enorme potenziale dell'arte contemporanea per coinvolgere i cittadini e attivare pratiche di cambiamento sociale, che ospiterà Hajnalka Somogyi, Direttore della OFF Biennale di Budapest e Timea Junghaus, Direttore dell'European Roma Institute for Arts and Culture (ERIAC). OFF Biennale ed ERIAC sono due realtà molto diverse tra loro, in quanto mentre la prima utilizza un format espositivo che esclude finanziamenti pubblici e istituzioni, ERIAC è finanziato dall'UE e da altri donatori pubblici e privati e si rivolge a una comunità che vive in una diaspora permanente. Avremo quindi la possibilità di mostrare in che modo le organizzazioni filantropiche possono avere un impatto sulle comunità attraverso diverse esposizioni di arte contemporanea. Un altro workshop sarà “Creative ways of building leadership skills in an intercultural context” e sarà dedicato allo sviluppo delle competenze necessarie al settore filantropico per operare all'interno di un contesto interculturale. Un ulteriore momento di confronto – dal titolo “Empowering citizens through culture. Philanthropy at the intersection of art and society” - verterà sul fatto che tra tutti gli strumenti che la filantropia può utilizzare per determinare cambiamenti sociali positivi, la cultura può essere uno dei più potenti. Questo evento interattivo - con video, dialoghi, attività e performance partecipative - offrirà una visione a 360° dell'impatto delle iniziative che fanno la differenza attraverso la cultura. La sessione esplorerà il punto di vista dei partecipanti, degli attori culturali e degli educatori che lavorano sul campo e delle organizzazioni filantropiche che li supportano. Avremo anche una sessione sul “soft power” della cultura per facilitare le relazioni internazionali, durante la quale chiederemo ai partecipanti quale ruolo complementare possano svolgere le organizzazioni filantropiche nel promuovere nuovi concetti di diplomazia culturale e di “cittadinanza culturale globale”. Nella closing plenary parleremo della capacità della cultura e dell'arte di creare un ponte fra persone e società diverse.
Per noi la cultura deve essere uno strumento di innovazione sociale. Il messaggio che lanceremo è che non possiamo parlare solo di politica, economia e finanza in Europa, in quanto anche la cultura deve essere “at the table”.
 
 
 
Enrica Flores d'Arcais è Strategic Leadership Team, Head of Business Development & Outreach presso la European Cultural Foundation. In precedenza ha ricoperto i seguenti ruoli: Managing Director per un gruppo editoriale europeo; Strategy Advisor per organizzazioni come la DaimlerChrysler Europe, la Royal Dutch Academy of Science, il Museo Stedelijk di Amsterdam e la Berliner Philharmonic. È stata Cultural Advisor per la Città di Siena e Corrispondente a Roma per il Dutch Newspaper NRC Handelsblad.
 
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