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Non più mosche bianche

  • Pubblicato il: 19/01/2014 - 22:37
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Il soffitto è ancora di cristallo?
La carenza di donne ai vertici è ancora vistosa nel nostro Paese, anche se la situazione è in lento, costante miglioramento. Il primo bilancio della legge sulla parità di genere (che dal 2012 obbliga le società pubbliche o quotate ad aumentare al primo rinnovo la presenza nei consigli di amministrazioni del genere meno rappresentato) è positivo: le cifre della Consob rivelano che oggi il 17,1% degli incarichi nelle aziende quotate è affidato a donne, il doppio sull’anno precedente. Anche nel Pubblico va meglio. Nelle 69 società che hanno rinnovato il CdA, il 29,4% è donna. La conferma arriva anche dal «Global Gender Gap Report» del «World Economic Forum» pubblicato nel 2013 che su 136 Paesi analizzati vede l’Italia in miglioramento: al 71mo posto per la parità di genere (recupero di nove posizioni sull’anno precedente), al 65mo nella scolarizzazione femminile, ma ancora al 124 nella parità di stipendi tra sessi.
C’è molta strada da fare, ma «la legge sulle quote di genere ha portato un processo irreversibile. Il sistema si è sbloccato. Al di là delle donne. Prima gli incarichi erano dati alle stesse persone all’infinito. Il rinnovamento è più ampio, anche generazionale», dice Maurizia Iachino, alla testa dei cacciatori di teste, Key2Key che aiuta le donne a raggiungere i vertici delle società.
Ma per scardinare l’old boys network, la tacita rete di protezione che porta avanti gli uomini, servono comunque esempi forti in grado di abbattere «timidezze» e velocizzare il processo.

C’è chi ce la fa
Sono oggi molte le donne che segnano la via e dimostrano alle altre che è possibile. Spesso sono «mogli» o «figlie», ma comunque molto preparate. Secondo la Consob le «indipendenti» crescono: nelle società quotate sono passate dal 55% del 2010 al 79% attuale. Sono alla guida di imprese di famiglia e ne seguono lo sviluppo della responsabilità sociale, alla testa delle rispettive fondazioni. Si impegnano nella filantropia, non solo come volontariato né come ridistribuzione di ricchezza di nascita o raggiunta, ma nella convinzione di poter dare un contributo alla creazione di sviluppo sociale ed economico, con nuovi modelli, che partano da educazione e dalla cultura. Per una nuova società che va costruita.

Le nostre «Signore della Cultura»
Nel settore culturale Pubblico, da sempre le donne sono più numerose «per la naturale propensione alla cura, che si carica in ambito culturale di senso civico e desiderio di appartenenza» dice la giornalista RAI Maria Paola Orlandini, lanciando il blog «Le buone culturali»per censire e dar voce alla donne che operano nel settore. «è un campo che gli uomini hanno lasciato alle donne, considerandolo marginale, soprattutto perché vi girano pochi denari. Nella cultura le donne appagano l’auto-realizzazione con un lavoro che consenta ‘di sentire gli altri’ attraverso mille filtri. È un'aspirazione profonda e un modo di tenersi fuori dai luoghi del potere duro» è l’opinione di Enrica Pagella, classe 1957, direttore di Palazzo Madama, realtà nella galassia della Fondazione Torino Musei. Patrizia Asproni, neo-presidente guida un arcipelago che comprende MAO, GAM e Artissima, una delle fiere di arte contemporanea più importanti del mondo, nelle mani di Sara Cosulich Cannaruto e presto il Castello di Rivoli. Enrica Pagella insignita dall’ICOM nel 2012 «museologo dell’anno», con competenze riconosciute del management e nell’audience engagement, esprime la sua visione sulle cifre distintive della leadership al femminile. «Pragmatismo, gusto dell'organizzazione e della relazione, empatia e flessibilità. Le istituzioni condotte da donne portano avanti politiche più orientate al sociale e meno volte a soddisfare il ‘piccolo club degli esperti’. Le donne entrano nel mondo attraverso le istituzioni con una sensibilità verso il bene comune che va oltre la conservazione e la ricerca. Per quanto riguarda i musei proprio alle donne si deve l'impianto di politiche partecipative». Perché fanno fatica a «bucare»? «perché spesso non sanno di valere. Occorre fiducia in sé stesse» dice Pagella. Ma abbiamo delle assolute «regine» riconosciute internazionalmente. Tra queste, alla direzione scientifica delle fondazioni figure come Gabriella Belli ai Musei Civici di Venezia ed Anna Ottani Cavina alla Fondazione Zeri.

A Bologna, l’arte è un ponte tra comunità e impresa. Da un’erede della tradizione olivettiana
Numerose le imprenditrici che intervengono in campo socio-culturale per la rigenerazione sociale. Uno degli ultimi forti ingressi sulla scena è Isabella Seràgnoli, alla guida del Gruppo Coesia, meccaniche di precisione, che impiega 5.500 persone. Visionaria, nata da una famiglia di filantropi, ha ideato e varato ad ottobre, in soli cinque anni, con un investimento di oltre 50 milioni, quello che è stato definito l’embrione della Berlino italiana: la Fondazione MAST – Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia. In 25 mila mq negli spazi della sua azienda, in Santa Viola, uno dei quartieri di frontiera della città, è sorto un edificio polifunzionale ideato da due giovanissimi architetti romani esordienti, Claudia Clementi e Francesco Isidori, selezionati con concorso internazionale: auditorium, asilo nido concepito con Reggio Children, palestra e ristorante a nutrizione sana a disposizione dei dipendenti e della collettività, accademia e galleria dedicata alla fotografia industriale per avvicinare i giovani all’impresa. Creatività, idee, formazione, sperimentazioni tracciano il filo rosso della politica aziendale che propone una visione d’impresa aperta al dialogo con il pubblico e promotrice di nuove dinamiche sociali. Con MAST l’imprenditrice ha voluto creare un «ponte con la comunità, aumentando i servizi ai propri dipendenti» e favorire «lo sviluppo della cultura dell’innovazione fra i giovani». È la ragione per cui in MAST vivono le opere di Mark di Suvero, Anish Kapoor, Olafur Eliasson e altri, una mostra di fotografia industriale e, in collaborazione con Les Rencontres de la Photographie di Arles, è nata la Biennale della Fotografia Industriale, prima iniziativa al mondo in questo ambito. MAST tenta di essere, secondo quanto afferma la stessa Seragnoli, «un esempio di sviluppo per sé stesso, un centro ispiratore di nuovi processi, non solo a livello scientifico e tecnologico, ma soprattutto umano».

Chi siede nelle stanze dei bottoni delle fondazioni di origine bancaria
Le fondazioni di origine bancaria, le grandi – sia per l’Italia che nella dimensione europea – corazzate filantropiche, hanno un’anima prevalentemente femminile nell’organico, ma scontano la nascita dal mondo bancario, maschile nei lo scandalo che ha travolto la Fondazione Monte Paschi di Siena – che nel 2009 era una delle principali, al secondo posto delle erogazioni totali del settore – minata da politica e mala gestioche hanno bruciato il patrimonio. La sfida la coglie Antonella Mansi39 anni, nata e laureata a Siena, manager nel gruppo industriale di famiglia, la Nuova Solmine, primo produttore italiano di acido solforico. Nel 2008 gli industriali la chiamano alla Presidenza regionale della Confindustria, dopo essere stata al vertice dei giovani. Giorgio Squinzi la vuole vicepresidente di Confindustria. È presidente della Banca Federico del Vecchio (Gruppo Banca Etruria), della buona borghesia toscana. A settembre viene nominata presidente della Fondazione Mps a scapito di Franco Maria Pizzetti, l’ex presidente dell’Authority per la privacy, sacrificato sull’altare dell’accordo tra gli enti nominanti, dopo molte fumate nere. Come vicepresidente ha un manager d’esperienza nel settore bancario, Giorgio Olivato, già direttore generale di Banca Toscana e nel board Flavia Galletti, 39 anni, senese, «cervello in fuga» richiamato a casa dopo aver lavorato a Londra in Merril Lynch e ora in una onlus Svizzera. «Conosco i rischi. Il momento è serio e non si scherza», ha affermato all’insediamento ai vertici della Deputazione, come è definito l’organo amministrativo dell’Ente. Un collega le ha donato un cornetto portafortuna. E dopo un impasse durato 5 mesi e tre fumate nere per il tortuoso e conteso rinnovo dei vertici, da ottobre il Presidente della Fondazione CR Prato è Fabia Romagnoli. Studi classici e laurea a Firenze, si è messa in luce per capacità manageriali nell’azienda di famiglia, la Mariplast, una delle più longeve del territorio specializzata nella produzione di supporti in plastica per filato, dove si occupa di amministrazione aziendale. Dopo incarichi in Unione industriale, ha guidato Prato Futura, l’associazione di imprenditori e liberi professionisti che lavora per lo sviluppo dell’area industriale della città ed è entrata nel 2010 nel consiglio della Fondazione che, dice, «rappresenta un punto di osservazione privilegiato e ha un ruolo strategico sulla città.
Per questo ha dimostrato un’esigenza di rinnovamento, che travalica la scelta della mia persona». Idee chiare.