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Le regole del gioco

  • Pubblicato il: 07/09/2016 - 21:54
Autore/i: 
Rubrica: 
WAITING FOR ARTLAB
Articolo a cura di: 
Franco Milella

Trema la terra e il “Re è nudo”. Lo spettro della corruzione si aggira tra le macerie. «In un Paese, come tutti i Paesi, in cui la crescita, la coesione sociale, l’orgoglio nazionale si dovrebbero alimentare per logiche fiduciarie, condivisione di idee di futuro e di società e assunzione di responsabilità intorno a scelte condivise e dirimenti, semplificando la vita a chi opera bene e fa cose buone nell’interesse generale, si è invece costretti a dare priorità e a strutturare regole del gioco fondamentalmente basate a prevenire i “cattivi”, ingessature spesso, adempitive e formali, che non risolvono i problemi e che complicano moltissimo la vita di tutti anche della parte maggioritaria del Paese che con il malaffare non ha nulla da spartire”, considera Franco Milella. “Manca l’adozione di un piano di priorità d’interventi che disponga nel tempo le risorse, pure scarse, disponibili, rispetto alle ingenti teoricamente necessarie” ma occorre “volontà di scelta, di pianificazione ed impegni programmatici basati su condizioni misurabili»


 

La paura di perdere la reputazione era un deterrente potente rispetto alla tentazione di violare le regole,
quando sulla reputazione veniva costruita una vita, oltre che la carriera.
Pier Luigi Celli, Breviario di cinismo ben temperato, 2002

Il recente devastante terremoto in CentroItalia ha, come spesso e in modo ricorrente avviene nel nostro Paese, sepolto persone anzitempo e sollevato polveri ideologiche. Si discute e ridiscute di corruzione, di scarsa qualità delle soluzioni architettoniche ed edilizie adottate, di interessi protervi e occulti tra pezzi del mondo d’impresa e Pubblica Amministrazione locale, di procedure d’appalto manchevoli e affrettate, di fondi destinati al risanamento deviati su altro o mai spesi.
Sembra che l’ineffabile parte peggiore dell’imprenditoria e dell’amministrazione locale, sia politica che tecnica, la cui esistenza è indubbia nel nostro paese, come in verità tanti altri, costringa e “tiri” il dibattito pubblico a cercare in primo luogo di rispondere alla domanda “c’è stata corruzione?” concentrando l’attenzione sulla necessità di regole e impianti operativi efficaci per l’azione di prevenzione e controllo, censura e accertamento delle responsabilità.
Francamente penso che se il nostro Paese permette di seppellire il proprio futuro con il crollo di scuole sulla testa dei propri alunni ci sia invece come prima causa, di fondo, la mancanza di volontà, piuttosto che l’incapacità, di definire scelte adeguate di azione pubblica sul merito dei fenomeni che meriterebbero di essere al centro dell’attenzione.
Ad esempio, sugli aspetti, anche economici, del necessario risanamento idrogeologico e sulla vastità di beni del patrimonio pubblico e privato, destinato a varie funzioni (abitazioni, uffici pubblici, beni culturali, ospedali, ecc.ecc., ) e soggetti a rischio sismico o esposti ad altri rischi significativi, emergono ad ogni tragica occasione (frane, terremoti, alluvioni e quant’altro) stime di vario genere. Stime appunto, solo quelle.
Manca l’adozione di un piano di priorità d’interventi che disponga nel tempo le risorse, pure scarse, disponibili, rispetto alle ingenti teoricamente necessarie, per partire da qualche parte. E faccia ad esempio decommisioning delle scuole da chiudere, perché proprio non si può far nulla, e revamping di quelle su cui si possa intervenire, magari tenendo conto del minor valore di investimento, della numerosità della popolazione scolastica potenzialmente interessata, della esistenza di soluzioni di accoglienza in un raggio territoriale accettabile in caso di chiusure, anche temporanee, per lavori di risanamento. E sottragga i nostri bambini al rischio di morte in un luogo destinato all’opportunità dell’istruzione, o altri esseri umani allo stesso rischio in luoghi destinati alla cura e alla salute.
Invece no. Semplicemente non si fa. E la mancanza di volontà è anche nella condizione, non penalmente perseguibile, per cui ciascun territorio nazionale ha i propri referenti politici, istituzionali, ed amministrativi, le proprie imprese più o meno accreditate, la maggiore o minore capacità di “negoziare” scelte puntuali di destinazione di risorse. Ciascuno fa il suo mestiere. E in assenza di volontà di scelta, di pianificazione ed impegni programmatici basati su condizioni misurabili, di una visione di società e di futuro è facile, lo sappiamo benissimo, che questo accada, persino legittimamente.
Questa grande attenzione al, gravissimo, fenomeno corruttivo, la tendenza a definire prioritariamente come combattere approcci elusivi delle responsabilità nell’esercizio di funzioni pubbliche, la frammentazione del circuito di responsabilità alla fine ha spostato l’attenzione sulle regole del gioco piuttosto che sullo scopo e sul merito del “gioco”. Peraltro, ci sono casi vasti di illegalità o di occulti connubi di interessi anche lì dove le procedure sono applicate minuziosamente, secondo le “regole”.
Alla fine, la generalizzazione della sfiducia e la assunzione di centralità del rischio corruttivo, penalizza soprattutto quella parte, maggioritaria, di tessuto imprenditoriale ed operatori economici come di funzionari pubblici e soggetti istituzionali, laboriosi e competenti che altro non cercano che di fare le cose “per bene”, offrendo le migliori soluzioni per la comunità territoriale di cui sono partecipi e si trovano spesso alle prese con apparati regolativi volti più a prevenire concussioni e corruzioni che a far le cose come si deve
In un Paese, come tutti i Paesi, in cui la crescita, la coesione sociale, l’orgoglio nazionale si dovrebbero alimentare per logiche fiduciarie, condivisione di idee di futuro e di società e assunzione di responsabilità intorno a scelte condivise e dirimenti, semplificando la vita a chi opera bene e fa cose buone nell’interesse generale, si è invece costretti a dare priorità e a strutturare regole del gioco fondamentalmente basate a prevenire i “cattivi”, ingessature spesso, adempitive e formali, che non risolvono i problemi e che complicano moltissimo la vita di tutti anche della parte maggioritaria del Paese che con il malaffare non ha nulla da spartire.
La prima e unica regola per governare questi rischi è quella di fare delle scelte e di non sottoporsi, per interessi politici, di lobbies, o speculativi, alla tentazione di rinviare e non scegliere le priorità d’intervento se non solo a seguito di “procedure concorsuali” con cui mettere a bando scarse risorse con gli effetti a tutti noti.
 
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