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Lavoro e identità

  • Pubblicato il: 12/05/2017 - 19:23
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Articolo a cura di: 
Roberta Bolelli

Dalla collezione della Fondazione MAST «La forza delle immagini» un universo iconografico dell’industria e del lavoro, della fabbrica e della società - Una selezione di fotografie diventa un’epopea visiva per avvicinare il pubblico al fascino e all’immaginario della produzione che coinvolge dimensione urbanistica e umana
 


 
Bologna «Gli archivi sono giganti silenziosi. Si svegliano e cominciano a parlare se poniamo loro domande dirette, se li scuotiamo dal torpore grazie a determinate prospettive, a punti di vista particolari, o li rendiamo vivi con il nostro interesse, riportando il loro potenziale nel presente. Con le collezioni non è molto diverso, anche se in questo caso la selezione è accompagnata sin dall’inizio da una determinata volontà, un’idea, un interrogativo.» Con queste parole Urs Stahel, responsabile delle attività espositive e della collezione di fotografia industriale della Fondazione MAST di Bologna, ha presentato la Forza delle Immagini, la mostra da lui curata che espone, fino al 24 settembre una selezione di immagini scelte dalla Collezione MAST di fotografia sul mondo del lavoro con oltre cento opere di sessantasette autori dagli anni venti a oggi, nelle quali si esprime il grande potere espressivo del linguaggio fotografico nei suoi molteplici significati.
L’evento espositivo si colloca nell’ambito della collaborazione di Mast con Fotografia Europea che parallelamente presenta a Reggio Emilia Mappe del tempo. Memoria, archivi, futuro.
Questo nuovo racconto per immagini, con artisti della fotografia di generazioni diverse (tra cui Berenice Abbott, Richard Avedon, Margaret Bourke-White, Thomas Demand, Simone Demandt, Masahisa Fukase, Jim Goldberg, Hiroko Komatsu, Germaine Krull, Dorothea Lange, Catherine Leutenegger, Edgar Martins, Rémy Markowitsch, Pepi Merisio, Richards Misrach, Victor Shakhovsky, Jules Spinatsch, Edward Steichen, Thomas Struth, Shomei Tomatsu, Marion Post Wolcott, fino al decano bolognese Nino Migliori) che interpretano e traducono la sorprendente ricchezza dell’universo iconografico del lavoro, della fabbrica e della società con tecniche, materiali e stili diversi in un comune linguaggio. Rappresentazione e riflessione sui caratteri salienti del sistema industriale e tecnologico e sulle questioni chiave di natura sociale, politica, collettiva che ne accompagnano lo sviluppo, coinvolgendo emotivamente l’osservatore di fronte alle realtà molteplici e complesse di quel mondo.
«Davanti ai nostri occhi» osserva Urs Stahel «sfila un’epopea visiva». Lo sguardo è colpito da capannoni industriali, strutture e ambienti di lavoro, ma anche dalla discarica di Dhaka, Bangladesh, di Jim Goldberg, pianura ricoperta di rifiuti. Forme chiuse, enigmatiche, superfici spezzate, intere aree coperte da motivi simili e diversi: l’analogia formale è ciò che tiene insieme una schiera organizzata di minatori che trasportano carichi pesanti, i pozzi collegati di uno stabilimento chimico o la torre di raffreddamento di una centrale atomica, simboli della «perenne ambizione a ottenere sempre di più, a spingersi più in alto, a mirare al progresso, alla conquista del mondo.»
Ma lo sguardo è particolarmente coinvolto dai volti  del popolo che anima il mondo della produzione, segnati dal lavoro come il Camionista Billy Mudd, di Richard Avedon, la Contadina di Margaret Bourke-White, il Ferro e acciaio,  di Ferenc Haar,  le schiene chine  dei Minatori della Serra Pelada di Sebastiao Salgado  e le figure contratte della Shinjuku Station di Yutaka Takanashi.
Operai, lavoratori, manager slegati dagli ambienti in cui si trovano o dalle macchine e dagli strumenti che impiegano, isolati nel loro spazio figurativo. «Paiono assai meno smarriti e alienati quando sono attivi e manovrano le loro macchine, le apparecchiature, gli strumenti. Allora sembrano meno vacui, più ricchi di significato» sottolinea ancora Urs Stahel con una sintesi di particolare efficacia e suggestione «il lavoro è una gigantesca macchina che produce identità».
Si dà così voce al grande giacimento documentale della Collezione fotografica del MAST che conta complessivamente alcune migliaia di opere dei nomi più rilevanti della fotografia mondiale, dai grandi maestri del passato ai più interessanti autori contemporanei, coprendo l’intera storia della fotografia dell’industria e del lavoro dal 1860 a oggi. Avviata cinque anni fa, nell’ambito di un centro culturale dedicato all’innovazione e alla tecnologia, mette insieme la memoria storica dell’evoluzione industriale e la coscienza culturale e sociale che quella evoluzione ha accompagnato. Con un percorso che attraversa tematiche e strutture collegate al mondo del lavoro.
Non a caso – dopo i recenti eventi espositivi dedicati a fotografi industriali di particolare rilievo (quali ad esempio Jakob Tuggener e Dayanita Singh) - in ottobre la Forza delle Immagini lascerà il campo alla terza edizione della Biennale di «Foto/Industria», appuntamento core della Fondazione MAST fin dalla costituzione da parte dell’imprenditrice Isabella Seràgnoli, nota per il suo mecenatismo e per le sue attività filantropiche. Biennale che ha raccolto nelle prime due edizioni, curate da François HébelUrs Stahel, particolare successo di critica e di pubblico anche per la sua articolazione pluriespositiva coinvolgendo tutta la città.

www.mast.org
www.fotoindustria.it
www.fotografiaeuropea.it
 
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