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La «Big Society» del piccolo Stato nel cuore d’Europa

  • Pubblicato il: 08/06/2012 - 01:15
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DAL MONDO
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Redazione
Jerry Coyne

Milano. A conclusione del ciclo di lectures organizzate presso la Facoltà di Arti, Mercati e Patrimoni dell’Università IULM di Milano dall’esperta in filantropia internazionale Elisa Bortoluzzi Dubach, un intenso dibattito trasversale sulle nuove frontiere della filantropia contemporanea.
A parlarne Horst Schädler, Segretario di Stato del Liechtenstein, il piccolo Stato nel cuore d’Europa ma primo per numero di fondazioni pro-capite, seguito dall’intervento di Angelo Miglietta, Segretario Generale di Fondazione CRT e convinto sostenitore della «venture philanthropy», in una tavola rotonda moderata dall’economista e Preside della Facoltà Pier Luigi Sacco.
Con il titolo «Le fondazioni erogative del Liechtenstein e il loro impegno internazionale», il Segretario di Stato Schädler è stato invitato a descrivere lo straordinario panorama fondazionale del suo Paese: quasi 40mila fondazioni private su una popolazione di 36.032 abitanti (World Bank, 2012).
Noto «paradiso fiscale», il Liechtenstein non solo è il più ricco Paese del mondo in termini di PIL pro-capite – 141.100 USD su una media mondiale di 10.630 USD (World Bank, 2008) – ma anche uno dei più avveniristici contesti socio-culturali per lo sviluppo della filantropia internazionale, perché nel Paese arrivano capitali da tutto il mondo e perché il Paese è stato in grado di accompagnare lo sviluppo della filantropia adeguandone il contesto normativo, burocratico, politico.

Subito dopo la I Guerra Mondiale, il Liechtenstein ha sposato il libero mercato e inserito nel suo ordinamento giuridico il trust anglosassone – un modello non previsto in Italia – e, a partire dal 1926, si è dotato di una legge specifica per le fondazioni, con agevolazioni fiscali per le donazioni private e d’impresa: azioni che si sono rivelate fondamentali nel favorire lo sviluppo del Terzo Settore del Paese «nel passaggio da Stato industriale a Stato dei servizi con un forte apparato finanziario» come spiega Schädler. «Con la crisi economica, il progressivo ritiro dell’intervento pubblico dai settori del welfare rende più forte il ruolo delle fondazioni» continua il Segretario di Stato, aggiungendo quanto «la filantropia sia legata al settore finanziario, che è l’attività primaria del Paese». Delle 40mila fondazioni presenti sul territorio solo 1.130 (dato 2011) sono le cosiddette «benefit-foundations», cioè enti statutariamente non finalizzati a generare profitto (al contrario dei trust, che invece perseguono primariamente la crescita del proprio patrimonio) con un volume di erogazioni complessive che nel 2011 ha toccato i 150 miliardi di euro.
Ciò che colpisce è che solo pochi anni fa le «benefit foundations» del Liechtenstein erano pochissime: 460 nel 2009, raddoppiate nel 2010, fino alle 1.130 del 2011. La crescita progressiva è effetto diretto della nuova normativa del settore, riorganizzato con un’attitudine ancora più liberale attraverso una legge sistematica del 2008, istitutiva dell’Autorità per le Fondazioni. «In Liechtenstein abbiamo una Corte che funziona, un’Autorità per la finanza, un’Autorità per le fondazioni e una vera legge liberale sulle fondazioni dal 1926. Con l’intervento normativo del 2008 il numero delle fondazioni non profit sta crescendo considerevolmente, in una pluralità di settori: dalla cultura e dall’arte, alle attività umanitarie, alla ricerca e alle scienze. La legge non vincola la solidarietà a campi precisi: nel Paese si può fare beneficienza in qualunque settore. Credo che ciò rappresenti una nuova comprensione della filantropia. Abbiamo poi investito nella ricerca universitaria sul settore, in particolare sulle nuove forme d’intervento di filantropia sociale e venture philanthropy, che saranno sempre più importanti rispetto al passato» ci spiega Schädler.
In Italia, in controtendenza, l’Agenzia per il Terzo Settore è stata abrogata con decreto del Consiglio dei Ministri il 27 febbraio 2012, dopo 12 anni di attività di indirizzo, controllo e promozione del settore e un lavoro pluriennale propedeutico all’istituzione dell’Autorità italiana per il Terzo Settore: un obiettivo oggi apparentemente irraggiungibile (cfr. Il Giornale delle Fondazioni «La chiusura dell’Agenzia del Terzo Settore è un sillogismo anti-aristotelico»).

Se il benchmark europeo punta alla regolamentazione liberistica del settore, un dibattito acceso (anche nel nostro Paese) è il passaggio delle fondazioni da un modello «grant-making», erogativo puro, a un modello «operating», di progettualità propria. Un passaggio che implica scelte di efficienza nell’allocazione degli investimenti e mette in gioco le strutture sempre più competenti delle fondazioni, ma che mina, al contempo, l’esistenza di un’offerta pluralistica nella produzione culturale dei territori.
«La società cambierà, sta già cambiando. Oggi le persone non hanno fiducia nello Stato, non hanno fiducia nell’economia, hanno forse leggermente maggiore fiducia nella scienza. L’individualismo lascerà il posto a una società di cooperazione, di condivisione di valori. La sfida per la filantropia contemporanea è capire quali valori siano alla base di una società sostenibile, e in che modo possano dare indicazioni all’economia, allo Stato, alla scienza. C’è uno spazio d’azione per la filantropia nel dare giuste indicazioni per il futuro, creando nuova conoscenza, superando il modello del grant-making tradizionale. La struttura delle fondazioni non è la parte critica, la ricerca culturale sull’essere umano è il punto di successo» concludeSchädler.

Colpisce, quindi, che negli stessi giorni oltre l’Atlantico, nelle sale del Museo di Storia Naturale di Harvard, si poteva assistere al ciclo di conferenze del biologo evoluzionista Jerry Coyne dell’Università di Chicago e autore del libro «Perché l’evoluzione è vera» (Codice Edizioni, 2011). Al centro dell’incontro la bassa accettazione della popolazione americana della teoria evoluzionistica darwiniana (da uno studio del 2009 sembra che soltanto il 40% degli americani accetti l’origine animale dell’essere umano). «Una vergogna nazionale e un’insicurezza sociale» afferma Coyne, che ha correlato questo dato alla devianza sociale del Paese «con alti livelli di disuguaglianza dei redditi, alto uso di droghe e alcool, alta mortalità infantile rispetto ad altre democrazie industrializzate». Nonostante l’evidenza della dimostrazione scientifica, molti americani si rifiutano di credere nell'evoluzione, perché si stringono a credenze religiose. «Dovremmo creare una società più giusta, più equa, più attenta, indipendentemente dalla religione professata» dice Coyne.

Sempre americano ma questa volta in Italia, Ian Tattersall, Direttore del Dipartimento di Paleontologia del Museo di Storia Naturale di New York, ha partecipato al Convegno su Stephen Jay Gould organizzato dall’Istituto Veneto di Scienze e Cà Foscari a Venezia (10-12 maggio 2012). Il suo recentissimo saggio «Masters of the Planet. The Search for our human origins» (Macsci, 2012) afferma che «certi processi biologico-evolutivi si sono arrestati, ora ci può migliorare solo la conoscenza». In altre parole: «l’evoluzione biologica è finita, ora ci resta la cultura».

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