Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

L’emergenza è per il patrimonio. Ma il tempo è scaduto

  • Pubblicato il: 14/02/2014 - 11:46
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Hanno investito, molto, nel recupero del patrimonio monumentale e archeologico. Fin dagli esordi la quota più rilevante dei loro investimenti è stata destinata al settore, con effetti tangibili sui territori di riferimento, compreso il restauro dei prestigiosi palazzi storici delle proprie sedi, ereditati in gran parte dalle banche conferitarie. Grandi investimenti che sono evoluti nel tempo. Oggi le Fob rallentano la presenza nel settore dei restauri, ma rafforzano il metodo di intervento.
Dal finanziamento proposto da terzi per il singolo bene storico - a volte slegato dalla futura destinazione d’uso - le Fob sono passate al recupero e alla valorizzazione dei principali attrattori architettonici, trasformati in luoghi di cultura, con una prospettiva di intervento che si sta spostando alla rigenerazione urbana.

«Da sei anni il mercato immobiliare è in sofferenza. La crisi, con la preoccupante situazione finanziaria dello Stato, si ripercuote sulla condizione urbanistica con una caduta di investimenti e progettualità. La strategia oggi è la rigenerazione della città, con un intervento sull’esistente che deve essere concordato e attuato da un complesso coeso ed eterogeneo di attori: pubblici, privati e terzo settore. Riguarda ciò che ha perso funzionalità rispetto ai bisogni della collettività: edifici obsoleti, infrastrutture inadeguate, aree e complessi dismessi e spazi pubblici anonimi. Ha una dimensione fisica e sociale. Tocca la condizione di vita e quindi le attività economiche, i servizi e l’assistenza alla persona, la formazione e la crescita culturale degli abitanti, l’insieme di diritti di cittadinanza. Comprende quindi politiche tra loro collegate e azioni (materiali e immateriali) di salvaguardia, di rivitalizzazione, di sostituzione e di innovazione, da coniugare con la penuria delle risorse finanziarie. Una linea di lavoro è il recupero di complessi storici e architettonici e la loro rifunzionalizzazione per attività culturali che coniughino la ricostituzione della memoria storica con la creazione di simboli identitari e l’attivazione di un turismo qualificato. Una strategia che guarda al lungo termine e che solo alcuni soggetti hanno la lungimiranza e la forza necessaria per condurre nel tempo. In questa cornice si collocano in modo coerente, e sono funzione strutturante, le attività di diverse Fob» ci dice Stefano Stanghellini Presidente Urbit, Urbanistica Italiana.

Una progettualità cresciuta in proprio, ma anche con partnership di sistema, tra fondazioni, con enti locali e con altri soggetti pubblici e privati per il progetto di territorio.
In questa direzione si iscrivono il protocollo di intesa tra il Ministero con i suoi organi periferici per interventi congiunti delle Fob nelle Regioni Emilia-Romagna e Toscana e con l’Associazione dei Comuni e dei Beni Unesco per il coordinamento delle informazioni sugli interventi nei siti dichiarati patrimonio dell’umanità.
Diversi i progetti emblematici nel segno della cooperazione territoriale. Tra questi il recupero dell’area Est di Lucca, con il convento di San Francesco, sede oggi dell’Istituto IMT di Alti Studi internazionali. La rifunzionalizzazione dell’Ospedale di S. Agostino nel cuore di Modena. Gli incubatori d’impresa che stanno nascendo a Viterbo nell’ex macello di Val Faul. Con il progetto «Spazi Opportunità», Fondazione CR Trieste mappa 743 edifici e, dopo aver riqualificato la Pescheria Vecchia di Trieste, oggi lavora sull’Ospedale militare e sull’ex magazzino Vini. La  Fondazione Venezia è intervenuta sull’isola a Casa dei Tre Oci e nella nuova avveniristica residenza universitaria ai Crociferi (con Fondazione IUAV e MIUR) nella caserma Manin abbandonata da 50 anni. Sulla terraferma, nella zona industriale di Mestre, rigenera un’area popolosa senza istituzioni culturali, fa nascere il nuovo Museo M9 e con il reddito degli immobili commerciali mira all’autostenibilità.
È infatti in questo settore che si sta affermando una delle forme più avanzate degli interventi delle Fob: la tendenza a superare le erogazioni per fare investimenti patrimoniali: acquisire i luoghi per riqualificarli. La modalità di intervento è il Mission Related Investment (MRI). Ad oggi sono investiti per il patrimonio culturali 135 milioni di euro. (fonte Acri dati 2012 – cfr. G. Segre, Presidente Fondazione di Venezia).

Grandi interventi che rispondono all’urgenza che reclama il nostro patrimonio. Al Pubblico mancano solo risorse finanziarie?
Marco Cammelli, da tempo tratta il tema sulle colonne di Aedon, la rivista giuridica on line che dirige, edita da il Mulino. «Conoscere è indispensabile per decidere. Oggi il patrimonio pubblico non è del tutto identificato e schedato, dunque non possiamo fare manutenzione programmata. Non sappiamo ciò che è in gestione diretta e indiretta.La conoscenza è ineludibile per riformare le policies, definire le basi della tutela, il senso della conservazione preventiva del patrimonio storico-artistico in rapporto all'ambiente».
Non è quindi una questione di soli denari. «L’Istituto del Restauro ha ricevuto nel tempo 1,1 miliardi di euro, secondo i dati della Corte dei Conti, ma il processo non è stato efficace. L’unico metodo che l'urgenza e il buon senso suggeriscono è la distinzione tra la necessità di inventariazione da realizzare nel tempo più breve possibile e quella, più articolata, mirata alle esigenze della conservazione. Occorre distinguere con criterio di proporzionalità la tipologia dei beni». Passo indispensabile per aprire la strada non solo alla messa a regime delle attività «ordinarie», a partire dalla manutenzione, ma anche alla «cucitura del bene con il contesto (incluso il paesaggio)».

Con il Decreto Valore Cultura 91/2013, oggi legge, arriveranno al MiBACT 500 giovani (1000 con il piano strategico per lo sviluppo delle aree dei siti Unesco di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata), per la digitalizzazione del patrimonio. «Auspichiamo che vengano utilizzati correttamente e senza ostacoli burocratici» commenta Cammelli che, con altri, aveva di recente formulato al Ministero la proposta, inascoltata, di costituzione di un fondo straordinario a maggioranza privata (frutto di conferimenti a titolo di investimento a tasso etico di banche e Fob oltre una sottoscrizione pubblica, non limitata all'Italia) per l'assunzione di giovani per compiere la catalogazione in breve tempo, di tutti i beni del patrimonio, con l'indirizzo e la vigilanza degli Istituti e degli organi competenti.

Su queste basi, nasce la sua proposta del «doppio cerchio» da applicare alla nozione di bene culturale per diverse finalità: conservazione, fruizione, gestione, circolazione. Si tratta di «passare dal rigido e indifferenziato regime di tutela vigente ad una articolazione, partendo dal cerchio più largo, dove l'intreccio tra le esigenze di conservazione e valorizzazione è di diversa intensità, di diverso reciproco rapporto, come diverso è anche il modo di correlarsi agli altri interessi pubblici e/o privati in gioco, per un regime differenziabile in termini di modalità di gestione, forme di regolazione, snellimento procedure, durata delle concessioni o prestiti di lungo periodo, disposizioni sulla mobilità dei beni».
Soltanto allora, secondo Cammelli, «si potrà porre mano per davvero ad un’apertura, non solo su scala nazionale, ad altri soggetti pubblici e ai privati in tutte le loro specificazioni: privati imprese, privati associazioni, privati fondazioni con forme di cooperazione anche di lungo periodo riguardanti in particolare siti archeologici, musei, edifici e complessi del patrimonio ecclesiastico. Cioè quelli per i quali è più urgente favorire modalità di cooperazione credibili e sostenibili. La valorizzazione del patrimonio culturale va considerata non una possibilità subordinata alla disponibilità di risorse».
Se conoscere il patrimonio è il bandolo della matassa, i privati non sono l’inizio di una nuova strategia, ma la conseguenza.
Il MiBACT è il perno di questa visione. Protagonista di ben 4 riforme dal 1998 ad oggi «che non hanno sortito risultati apprezzabili in quanto si è tentato di innestare funzioni nuove in strutture date, scomposte e riassemblate nei diversi modi». Affinché si possa affrontare il tema della reale cooperazione tra pubblico e privato, che esuli da singole operazioni felici e le necessarie terapie d’urgenza, occorre un «Ministero profondamente riformato», secondo Cammelli, «non un centro amministrativo, ma un decisivo fulcro del sistema.
Senza troppe illusioni, visti i preconcetti nel caso della Grande Brera.

© Riproduzione riservata

Dal XIII Rapporto Annuale Fondazioni, in Il Giornale dell'Arte, 338, gennaio 2014