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Il tema non è far nascere le cose, è farle crescere

  • Pubblicato il: 04/05/2011 - 18:48
Autore/i: 
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Fonte: Acri XV Rapporto sulle Fondazioni di origine bancaria 2010

88 le Fondazioni seguite dall’Acri. Un patrimonio complessivo di 49,5 miliardi di euro (fonte XV rapporto Acri 2010, su dati 2009). Realtà di deciso peso politico, in grado di immettere nel contesto economico-sociale un volume di erogazioni annue di 1.386,5 milioni. Al primo posto nella graduatoria degli interventi, il settore dell’arte e beni culturali. In un anno complesso come il 2009 supera i 400 milioni e le 9.000 azioni, attestando a quota di 3 miliardi di euro le erogazioni nell’arte degli ultimi sette anni. Importi imponenti seppur in diminuzione sull’anno precedente, di circa il 20%, con un meno 15% nel numero delle iniziative. È di grande importanza, perciò, il ruolo della Commissione per le Attività e i Beni Culturali dell’ Acri, presieduta da Marco Cammelli.

Professor Cammelli, qual è l’asse di intervento più rilevante nella politica culturale delle fondazioni?
In un contesto di carenza strutturale di interventi pubblici, il con- tributo più importante è destinato al recupero del patrimonio storico e architettonico del territorio di riferimento, soprattutto nei centri storici delle città. Circa il 30% del totale è indirizzato alla valorizzazione dei grandi attrattori locali. L’obiettivo è la riqualificazione sociale, mediante rifunzionalizzazioni per attività varie di pubblico interesse. Biblioteche, esposizioni, attività convegnistica. Senza dimenticare il patrimonio ecclesiastico che, per storia, raccoglie tra le più alte testimonianze. Anche al di fuori dei centri urbani le fondazioni non mancano di far sentire la loro presenza, con iniziative volte al recupero di realtà in condizioni di forte degrado e scarsa valorizzazione.

Le erogazioni a pioggia sono ormai demonizzate?
Le erogazioni cosiddette «minori» garantiscono pluralismo e democraticità, vanno verificate, ma non criminalizzate a priori. C’è poi un’ampia serie di iniziative - degli enti pubblici e delle comunità - di spessore medio che le fondazioni sostengono da sempre: orchestre, musei, pinacoteche... strutture e luoghi di cultura già insediati, acquisiti, ma che soffrono di restrizioni forti, in qualche caso al limite del funzionamento. E i grandi contributi pluriennali. Un esempio tipico è l’intervento nella lirica, al centro del dibattito. Le fondazioni, che fino a oggi hanno fatto la loro parte dando contributi a volte molto significativi esigono ora innovazione, essenziale per risolvere i problemi e non semplicemente subirli. I bisogni aumentano e le risorse calano. Carenze strutturali richiedono interventi strutturali. La riflessione relativa agli enti lirici può essere estesa ad altre istituzioni: occorre fare rete, organizzarsi, coprodurre. Se non si lavora in questa direzione gli investimenti sono perduti su modelli passati e inefficienti.

Siamo in un momento di transizione, con grandi accelerazioni che aprono nuove progettualità nella cultura. Quali le caratteristiche dei nuovi modelli operativi che cercate?
Partecipati e cooperati. Si sta delineando una tastiera articolata. Ci sono comunque anche progetti autonomi, nei quali le fondazioni giocano la loro parte di soggetto «presbite», in grado di guardare ai grandi temi «dopo la curva», senza il vincolo del mercato o elettorale. In sintesi, ritengo che sul piano della cultura le fondazioni debbano continuare a sostenere il micro, cooperare sulle politiche con i soggetti istituzionali, muoversi sul futuro anche per quei bisogni che ancora non sono diventati domande politiche. È un compito difficile che richiede grandi antenne culturali, capacità di leggere il territorio e di introdurre nei rapporti il valore aggiunto della cooperazione. È un valore se la Soprintendenza, il Consorzio di bonifica, l’Amministrazione locale, la Provincia si uniscono, mossi dalle fondazioni, per parlare dei canali e del parco fluviale. Il mo- dello che si crea e la sua esportabilità in altri contesti è più importante del milione di euro che eroghiamo. Ma la cooperazione presuppone stabilità. Se il settore pubblico è discontinuo e non riesce a guardare al di fuori e lontano da sé, diventa difficile comunicare, prevedere, stabilizzare.

Oltre che finanziatori eccellenti, le fondazioni sono parte attiva dei progetti di territorio: come interagiscono con gli enti locali?
Non è facile costruire e praticare questo ruolo di interlocutore di politiche pubbliche o di politiche territoriali ampie. Qui si apre il terreno più difficile, più nuovo per le fondazioni, che in un certo senso finiscono per essere vittime della loro stessa evoluzione. L’essere passati da forme più primitive di sostegno a forme più complesse, comporta la cooperazione con altri soggetti, l’analisi dei bisogni, l’elaborazione di strategie. Un passo che assomiglia moltissimo alle politiche pubbliche. Il che ci avvicina virtuosamente per un lato, ma anche pericolosamente, a chi queste politiche pubbliche le ha sempre fatte e anzi le considera proprie, cioè gli enti locali e gli enti rappresentativi. Quante politiche pubbliche possono essere fatte fuori dagli enti pubblici? È tutto nuovo. È neve fresca e nessuno conosce le piste. È legittimo che un interesse generale della collettività venga affrontato e soddisfatto da interventi di privati, sia pure non profit? Questo significa fare scelte, proporre ipotesi che possono incidere nelle politiche pubbliche. Un cammino complesso che richiede grandissimo equilibrio.

Nelle relazioni con la politica?
Indispensabile. Se interveniamo sulla politica culturale in modo pesante, chiaramente la condizioniamo. Allora quanto condividere e quanto separare? Quanto va messo insieme e quanto invece va protetto?

Indipendenza senza autoreferenzialità, sia nelle strategie che nelle erogazioni?
Indipendenza è un termine molto forte; autonomia forse è preferibile. L’indipendenza può essere anche orgogliosa solitudine, l’autonomia è relazione.

L’intervento diretto delle fondazioni è in significativo aumento.
La produzione diretta è funzione dell’iniziativa autonoma. Un esempio: a Bologna tra qualche anno non ci saranno più artigiani in grado di lavorare la selenite, il cristallo che costituisce il basamento delle due torri. È fondamentale il recupero dei mestieri, dell’artigianato collegato ai beni culturali, realizzare scuole significa produrre qualcosa che sarà utile domani. Da qui, alla collezione, al museo. Ma sono molto cauto su questi temi: il tema non è far nascere le cose, è farle crescere. Quando ci si avventura in questi percorsi o si ha un termine, o si hanno interlocutori già pronti a raccoglierli, altrimenti il rischio è che le fondazioni rimangano inchiodate dalla gestione delle strutture che hanno attivato, dalle rigidità.

Stanno nascendo molti enti strumentali per la gestione di specificità?
Sì. Mi interessano molto come giurista, ma al riguardo ribadisco la cautela. Una struttura assomiglia più una nave che a una bicicletta; la nave ha una grande deriva e occorrono giorni per sterzarla. Le strutture sono poco agili per definizione e, per il ruolo sociale che svolgono, le fondazioni non possono permettersi una conduzione imprenditoriale. È un tallone d’Achille che sconsiglio di sottovalutare.

La Tremonti, che vi consente di investire quote di patrimonio, ha manifestato effetti sotto il profilo culturale?
Quest’intelligente apertura è recente e ci stiamo ragionando. Le erogazioni si sono seriamente ridotte. Si apre un tema di patrimonio, anche questo da valutare con prudenza. Come Fondazione del Monte siamo impegnati in termini patrimoniali al recupero e valorizzazione di Palazzo Rasponi delle Teste a Ravenna: 5.000 metri quadrati nel centro della città. Un’operazione onerosa a favore delle attività culturali del Comune, per far conoscere meglio Ravenna. È un progetto collegato alla Capi- tale della Cultura. È un investimento, e stiamo pensando come estendere questa modalità a Bologna che ha problemi infrastrutturali, ragionando con un orizzonte temporale di vent’anni.

Ritornando alle erogazioni. A livello di sistema abbiamo visto nel 2010 tagli intorno al 25%. Altri se ne prevedono. Qual è stato il criterio adottato: ridurre proporzionalmente per mantenere consenso, oppure cogliere l’opportunità per una maggiore selettività?
Credo che prevalentemente le fondazioni si siano orientate sulla seconda ipotesi, cogliendo l’occasione per adottare pratiche più virtuose. La riduzione è stata così sensibile da non permettere un’ azione proporzionale, chiaramente insoddisfacente. Vanno comunque contenute le aspettative folli che ci sono sulle fondazioni, considerate come le fatine del bosco che risolvono i problemi con la bacchetta magica. Non possono essere supplettive dell’intervento pubblico. Complementari sì. Guardiamo la scuola. Non voglio fare valutazioni politiche che non mi competono, ma il giudizio è di fatto: la scuola pubblica è in ginocchio, con un costo immenso sociale e con responsabilità che hanno nomi e cognomi. In questo caso torniamo alle microerogazioni che permettono di fare attività essenziali.

Un punto sul quale siete sempre stati criticati è la carenza nella valutazione delle erogazioni.
Anche questo processo arriva con l’esperienza, stiamo scrivendo una storia nuova e lo scenario in evoluzione forse imporrà una maggiore focalizzazione sulla valutazione. La valutazione ex-ante, cioè la selezione delle domande, avviene soprattutto in termini di valutazione di requisiti, di credibilità del presentatore e per la coerenza dell’oggetto con il nostro posizionamento. Quindi è chiaro che se non viene formulata con chiarezza la domanda - e accade spesso - concludiamo che probabilmente il compagno di strada non sia attendibile. Valutare il risultato è meno semplice. Per un restauro, anche se ci sono molti modi per farlo, ci sono le expertise. Molti stanziano somme per la valutazione dei progetti. Come Fondazione Monte accantoniamo l’1%. La valutazione del risultato è uno strumento che aiuta nella selezione ex-ante che guida l’azione futura, in modo abbastanza circolare e riconoscibile. Però è costosa. Valutare gli effetti è difficilissimo e ancor più le ricadute sul territorio.

Guardando i vent’anni dell’operato delle fondazioni sotto il profilo culturale, quali effetti a Suo avviso sono stati prodotti?
Non so se qualcuno sia in grado fare una valutazione. Mi pare che si sia appreso molto, che le fondazioni in questi ultimi anni siano molto più attrezzate rispetto agli esordi, quando davano seguito alla beneficenza delle banche di origine. È un disegno ancora in evoluzione. Noi appariremo primitivi a chi verrà, ma da quella partenza a essere oggi soggetti che siedono a tavoli di cooperazione con il Ministero dei Beni Culturali o la Regione abbiamo fatto molta strada.

L’accordo con il Mibac per lo sviluppo regionale è partito da Lei? È stata un’azione sperimentale che può fungere da modello? In cosa consiste?
È un protocollo d’intesa tra l’Acri e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali per favorire la collaborazione tra pubblico e privato, al quale danno concreta attuazione accordi a livello territoriale, come quelli realizzati nel 2010 in Emilia Romagna e Toscana tra fondazioni, Ministero e Regioni. In Emilia Romagna per esempio abbiamo individuato 5 aree territoriali per interventi di restauro e valorizzazione in cui Ministero, Regioni e fondazioni contribuiscono ciascuno con un terzo. Si stanno realizzando interventi che vanno dal recupero del monastero dell’Annunziata di Bologna (12 milioni), destinato a sede della Soprintendenza, fino all’apertura al pubblico di Palazzo Prosperi-Sacrati di Ferrara, che ospiterà il Museo de Pisis; mentre in Toscana i primi interventi interessano, tra gli altri, il Museo delle navi antiche di Pisa con gli Archivi medicei e il Museo archeologico nazionale di Firenze. Un progetto condiviso e quindi lungo. Abbiamo siglato l’accordo, accantonato i fondi e ora dobbiamo attivarlo. Partiranno a breve le prime gare. Il Ministero ha potuto accantonare risorse sul bilancio ARCUS. Queste forme di accordo generano anche condotte virtuose nei vari soggetti. Poi occorre fare attenzione alle fasi attuative che sono sempre vulnerabili.

Come reggiamo il confronto internazionale sotto il profilo della cooperazione pubblico-privato?
Siamo molto indietro, anche se quando le fondazioni di origine bancaria si presentano sul contesto internazionale sono osservate con attenzione, per la grande taglia. Dopo Volkswagen o la Caixa della Catalogna nell’European Foundation Centre ci sono le fondazioni di origine bancaria. Siamo comunque viste come un Giano, come un privato poco privato, legato alle amministrazioni pubbliche.

Un mondo in evoluzione, ma con una guida prettamente maschile: e le pari opportunità?
Andranno fatte valutazioni serie. Abbiamo lanciato il tema delle pari opportunità a novembre in un seminario a porte chiuse. Ritengo che le quote rosa siano uno strumento emergenziale, ma necessario. Penso che politicamente, per opportunità se non per convinzione, di fronte a una legge che obbliga le società quotate ad avere le quote rosa, le fondazioni, per il loro valore etico, dovrebbero essere le più attente a questi temi.

La Commissione cultura che Lei presiede è riconosciuta come organismo con funzione di scambio, confronto laboratoriale e crescita: come funziona?
Fondamentalmente la Commissione è un contesto per conoscersi, nel quale condividere buone pratiche ed elaborare progetti comuni. I nostri seminari hanno preso in esame diversi aspetti: la gestione dei piccoli musei e dei patrimoni artistici, le società strumentali e sono momenti di confronto tra noi ed esperti. Ci aiutano a capire ciò che funziona e ciò che non funziona. Si apprende dall’esperienza e si forma una rete di competenze alla quale poi attingere, si sviluppano progetti comuni come aver messo in rete per la pubblica fruizione le opere dei patrimoni delle fondazioni. Ne siamo molto orgogliosi.

Marco Cammelli è Professore ordinario di diritto amministrativo all’Università degli Studi di Bologna, Presidente della Commissione per le Attività e i beni culturali dell’Acri e dal 2005 Presidente della Fondazione del Monte di Bologna.

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(X Rapporto Annuale Fondazioni)