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I 25 anni dell’Associazione Amici degli Uffizi. La società civile a difesa delle  istituzioni culturali.

  • Pubblicato il: 15/10/2018 - 00:02
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Rubrica: 
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di: 
Roberta Bolelli
In risposta all’attentato alla sede dell’Accademia dei Georgofili a Firenze, nacque l’Associazione Amici degli Uffizi, come reazione della società civile alla ferita  al nostro patrimonio culturale, alle istituzioni culturali, come presidio di democrazia. Ne parliamo con la Presidente, Contessa Maria Vittoria Rimbotti Colonna, anima della più grande realtà  del nostro paese che affianca un museo, con oltre 5000 iscritti.  ”Il volontariato fa bene a chi lo fa: dà un senso più profondo ed etico al proprio tempo, al nostro essere al mondo.”

Rubrica in collaborazione con la Fondazione Marino Marini di Firenze



Un milione di dollari. Grazie a  una sola donazione, di  Veronica Atkins (a capo della Robert C. and Veronica Atkins  Foundation), mecenate dei Friends of Uffizi,  realtà che dieci anni fa Maria Vittoria Rimbotti, anima dell’Associazione Amici degli Uffizi volle pionieristicamente creare negli USA per raccogliere fondi a favore del museo.  La somma verrà indirizzata al restauro da parte dell’Opificio delle Pietre Dure della Sala di Bona, decorata da Bernardino Poccetti. Un grande risultato per l’Associazione italiana che affianca uno dei Musei “simbolo,” che coinvolge 5000 iscritti e milita da 25 anni.
Presidente degli “Amici degli Uffizi” dal 2003, Maria Vittoria Rimbotti, nata a Napoli ma residente a Firenze, è una imprenditrice che crede nelle Associazioni, all’unione delle forze.  Dal ’90 al ’96 ha presieduto per la Toscana l'Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti d’Azienda (AIDDA), di cui è tuttora Presidente onorario. È stata presidente regionale del FAI della Toscana ed è membro dal 2002 del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per il suo impegno sociale e culturale, tra cui il Premio Anna Maria Luisa de’ Medici nel 2006 e la  nomina ad Accademico onorario dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze. La incontriamo nella sua Firenze.
 
Possiamo dire che la testimonianza e il vostro messaggio forte è il valore dell’aggregazione e del presidio civile a difesa delle istituzioni culturali come luoghi di identità?
Certamente, questa è la nostra missione ancora oggi. Vorrei ricordare che l’associazione fu promossa dalla allora direttrice della Galleria degli Uffizi, Anna Maria Petrioli Tofani, che avendo molte relazioni con l’estero, portò in Italia un’esperienza diffusa altrove – ma non ancora da noi - come l’Associazione “amica di un museo”. Così nacquero gli Amici degli Uffizi, che subito ebbero un gran seguito e grande attrazione. Ricordo anche l’impegno dell’allora Soprintendente ai Beni Culturali, Luciano Berti, notevole figura di esperto d’arte e primo Presidente dell’Associazione Amici. Io fui scelta da Petrioli Tofani a collaborare per avviare l’attività dell’Associazione. E dopo 25 anni sono ancora qui, orgogliosa del lavoro fatto in questi anni per tutelare e valorizzare il grande patrimonio culturale che non è solo di questa città, ma del mondo intero.
 
 Gli anniversari sono occasioni di bilanci. Come avete ricordato il vostro 25mo?
Abbiamo scelto, d’intesa con la direzione degli Uffizi, di allestire in San Pier Scheraggio, un percorso visivo ed emotivo che documentasse la brutalità della distruzione e il successivo riscatto e la restituzione. Un percorso rivolto soprattutto ai giovani e a tutti coloro che, nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993, non furono testimoni della terribile violenza mafiosa che, oltre a cancellare vite umane, tentò di annullare l’identità e la storia di Firenze come città d’arte e di cultura. Una scenografia animata, con documenti originali, faceva rivivere il dramma di quei minuti che sconvolsero la città e il mondo intero. Abbiamo realizzato il racconto del viaggio che da lì è partito, non solo e non tanto per raccontare il contributo generoso degli Amici per far fronte all’emergenza dei restauri, ma soprattutto per far rivivere un’esperienza di presa di coscienza individuale e di reazione civile. Perché il futuro sia anche memoria, riconoscimento e identità.
 
Come si è concretizzata l’«amicizia» con gli Uffizi e quali i risultati della vostra attività?
L’Associazione è di supporto al Museo e può, in quanto privata, avere una diversa agilità. Noi abbiamo sempre collaborato con i diversi direttori della Galleria, instaurando ottimi rapporti di condivisione di progetti. Non abbiamo cercato di fare immagine o di apparire, credo sinceramente di aver svolto un buon lavoro. In questi 25 anni l’Associazione ha restaurato ben 34 dipinti, 7 arazzi, 33 marmi antichi. Ha realizzato 27 acquisizioni e donazioni, il riallestimento delle Sale del ‘600, di Michelangelo, Raffaello e di Leonardo ed anche 24 mostre e relativi cataloghi. Uno dei primissimi restauri ha riguardato due opere importanti di Tiziano (le tavole con la Madonna delle Rose e col Ritratto di Sisto IV), finanziato dalla Kyoto International Culture and Friendship Association tramite gli Amici degli Uffizi. Una curiosità eloquente: i giapponesi si meravigliarono che la donazione fosse gravata in Italia da oneri fiscali. Nello stesso periodo abbiamo creato anche la nostra Associazione americana Friends of the Uffizi Gallery.
 
Lei infatti è anche Presidente di una fondazione USA della quale avete promosso la costituzione, the Friends of the Uffizi Gallery. Si possono cogliere differenze socioculturali nello sviluppo di quella che potremmo definire l’«area di sostegno» intorno alle due Associazioni in Italia e negli USA?
Il ruolo dei donatori viene valorizzato molto più negli States che in Italia, sia per le facilitazioni legate alla defiscalizzazione, che per una loro maggiore educazione al valore dell’arte. Non a caso ci tengono molto ad esporre il loro nome accanto all’opera restaurata. Come testimoniano le targhette apposte alle 37 statue del Corridoio del secondo piano degli Uffizi. Ma un esempio eloquente di vero mecenatismo è la nostra ultima donatrice signora Veronica Atkins, che non si è affatto preoccupata di un ritorno pubblicitario, scegliendo di finanziare il restauro degli arazzi della serie ‹‹Feste dei Valois››.  E ultimamente ha deciso persino di restaurare tutti gli affreschi della Sala di Bona a Palazzo Pitti.
 
Qual è il suo parere sull’ingresso di logiche manageriali nella gestione di Musei ed istituzioni culturali nel nostro Paese? Quali cambiamenti lei ha avvertito con la riforma?
I cambiamenti finora introdotti sono necessari ma non sono sufficienti, perché sono molte le cose da cambiare. Sicuramente ai maggiori Musei questo scatto di gestione ha dato un’autonomia importante, in molti casi ha importato logiche manageriali e dinamismo nella comunicazione. E’ comunque una strada sulla quale dobbiamo sviluppare nuove sinergie.
 
Siete stati la prima realtà che ha avvertito l’esigenza di momenti di più ampio coinvolgimento e approfondimento promuovendo due importanti appuntamenti come gli Stati Generali dell’Associazione.  Quali le risposte?
Abbiamo posto con forza la necessità di una semplificazione per favorire le sinergie tra pubblico e privato, soprattutto per superare le difficoltà del momento. Serve una normativa, agile ed efficace. Nella 2.a edizione degli Stati Generali, lo scorso anno, ho sostenuto l’opportunità di superare le donazioni parcellizzate e di far convergere il tutto in progetti di ampio respiro, che garantiscano ai mecenati partecipanti una detrazione direttamente sulla propria dichiarazione dei redditi.
 
La riforma richiede anche l’innovazione delle realtà museali del territorio, del sistema. In questo ambito si muove il progetto «ValoreMuseo» promosso da Fondazione CR Firenze - di cui lei è Consigliere d’Amministrazione - per valorizzare le giovani professionalità. Ne vuole parlare?
In un sistema burocratizzato ci sono vuoti perché non si possono assumere persone e dipendenti. E dall’altra parte ci sono disponibilità di giovani che hanno competenza, cultura, entusiasmo e vanno formati per coprire le nuove esigenze organizzative e professionali delle istituzioni culturali, in particolare le piccole strutture museali locali. E’ questo l’obiettivo del progetto «ValoreMuseo».
 
Quali sono a suo parere le caratteristiche e le linee di sviluppo del mecenatismo contemporaneo? Stanno emergendo secondo lei  nuove tendenze  di  «mecenatismo collettivo»?
In Italia il mecenatismo si sta sviluppando, anche in senso collettivo, ma i problemi legali e fiscali ne rendono più difficile la divulgazione, soprattutto per complessità e lungaggini burocratiche. Anche la diversità dei Musei (piccoli/grandi - centrali/periferici...)  e delle istituzioni culturali italiane non facilita un’equa distribuzione delle risorse. Si veda lo scarso successo dell’ArtBonus.
 
Da imprenditrice, quali connessioni ci sono, nella sua esperienza, tra il mecenatismo e l’attività imprenditoriale?
Le due attività sono impegnative e sicuramente connesse.  Di fatto solo i grandi imprenditori e le Fondazioni Bancarie fanno oggi mecenatismo. Dobbiamo fidelizzare maggiormente i privati, educarli all’arte come valore identitario. Personalmente credo tantissimo nel volontariato, nel lavoro con persone che vogliono impegnarsi al di là dell’immagine e della rendita. E il volontariato fa bene a chi lo fa: dà un senso più profondo ed etico al proprio tempo, al nostro essere al mondo.

 
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