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Gli alieni viaggiano in bus

  • Pubblicato il: 25/05/2012 - 09:08
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Articolo a cura di: 
Daniela Vartolo
La performance di Pawel Althamer «Common Task» a Varsavia nel giugno 2009. © Pawel Althamer; courtesy neugerriemschneider

Bolzano e Monaco. «Polyethylene» è il titolo di una personale di Pawel Althamer, curata da Letizia Ragaglia, all’interno degli spazi di Museion e aperta dal 25 maggio al 26 agosto, che si svolgerà in parallelo con una mostra dell’artista polacco (classe 1967) presso la Sammlung Goetz di Monaco di Baviera. Un momento performativo, «Common Task, Bolzano 2012», curato da Andrea Viliani raccorderà le due esposizioni: un autobus dorato porterà un gruppo di 25 performer (tra cui l’artista stesso) prima a Bolzano e poi a Monaco mettendo in collegamento museo, contesto urbano e tradizioni culturali.
Andrea Viliani, da dove nasce il forte interesse di Althamer per la scultura e la performance?
Dalla frequentazione da parte dell’artista della classe di Grzegorz Kowalski all’Accademia di Belle Arti di Varsavia, e dall’apprendimento dei suoi metodi educativi «comunitari». Nella mostra a Museion Althamer porta a confrontarsi tra loro la sua propensione per la scultura e la pratica performativa, che diventano media aperti, catalizzatori d’incontro fra l’artista e il suo pubblico, fra epoche e stili diversi.
Quali materiali usa più frequentemente nelle sue opere?
Ha sperimentato nella sua produzione scultorea materiali diversi, spesso di origine naturale, creando sculture sospese fra la passività e artificialità della scultura e la naturalezza del corpo vivo. In questo caso ha scelto di utilizzare il polietilene. Su questo materiale plastico, impiegato nella fabbrica del padre, di fatto si è basata l’economia della sua famiglia. Inoltre, il polietilene mima l’utilizzo del marmo, materiale scultoreo classico per antonomasia, ma essendo più economico si addice idealmente a quella pratica di «scultura sociale» (fatta di relazioni sociali, non solo formali) che avvicina Althamer a un artista come Joseph Beuys.
Perché è così importante nei suoi progetti espositivi la performance «Common Task», come rottura dei confini dell’istituzione museale?
«Common Task» è, all’interno di questo progetto, una componente «virale» la cui valenza è politica e di critica istituzionale. La presenza dei performer, sculture viventi rivestite da tute dorate, la loro interazione con il pubblico e le opere esposte «rianima» persino le sculture bianche di «Polyethylene». In questo modo Althamer cambia l’abitudine di contemplare le opere suggerendo di «viverle» e ridefinisce il significato stesso di opera, mostra, museo, essere artista, essere pubblico. L’identità di mostra e museo si assottigliano. Il white cube può trasformarsi nello spazio-tempo della possibilità: navicella spaziale, pista di decollo e atterraggio verso altri mondi che, per Althamer, sono anche un’altra arte. Più collettiva, più visionaria, o anche solo più libera di immaginarsi diversa da come la conosciamo oggi.

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da Il Giornale dell'Arte numero 320, maggio 2012