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DARE DIGNITÀ ALLA PERSONA, SEMPRE E OVUNQUE

  • Pubblicato il: 15/04/2017 - 00:22
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Il settore delle fondazioni è tra quelli che hanno avuto la maggiore evoluzione negli ultimi 10 anni, rispetto ai settori privati, statali. Il punto strategico più rilevante è stato dimostrare la competenza delle fondazioni in materie un tempo di presidio solo pubblico, europeo o nazionale, non così percepita.
Stiamo cercando di dimostrare come le fondazioni possano coadiuvare le strutture pubbliche nell'indirizzo da dare alle proprie politiche. (…) Siamo  convinti che si possano dimenticare gli schemi caritatevoli per dar luogo all’affermarsi di progetti rilevanti per il sistema di welfare, con (..)un  sostanziale cambiamento del linguaggio erogativo”. Conversiamo con  Stefania Mancini,  Direttore e Consigliere delegato  della Fondazione Charlemagne e Vice Presidente di Assifero, la rete nazionale della filantropia istituzionale, che rappresenta nel Consiglio Nazionale della Cooperazione nel quale ha portato “una visione aggiornata del ruolo delle fondazioni private come  partner nelle politiche attuative della cooperazione”. Uno sguardo alto e trasversale, dalla genesi e dal posizionamento della Fondazione che dirige, diventata “un hub riconosciuto di servizi  e competenze a grant makers nel mondo, all’evoluzione attesa sul modus operandi delle fondazioni private  verso “un approccio orizzontale, una capacità di mettersi fra di loro in rete, non solo a livello associativo”, per le quali è necessaria “la crescita delle competenze del management”. L’attenzione verso ilSud, nel quale  si può investire bene, contribuendo alla innovazione di un'area spesso sottovalutata o “abbandonata” all'economia illegale”, che si trasforma in laboratorio.
 


 
Nel 1996 prende avvio a Roma un percorso, durato circa due anni tra  persone che desideravano confrontarsi su temi chiave relativi “al donare” con Stefania Mancini, scelta come interlocutrice perché impegnata sul fronte dei diritti sociali e lotta alle povertà a Bruxelles, esperta di volontariato per due commissari europei. Da quel confronto è nata la comune volontà di affermare il concetto di “durabilità nel tempo” attraverso una governance  fondazionale e ha preso avvio la  Fondazione Italiana Charlemagne, realtà che riceve oltre 1000 richieste di intervento ogni anno. Ci confrontiamo con la protagonista di questa avventura esemplare, che è diventata nel tempo un modello di intervento,  un hub riconosciuto di servizi  e competenze a grant makers nel mondo, erogatori sia di strumenti finanziari che di servizi di accompagnamento.
 
Da quali privati nasce la Fondazione Charlemagne? I fondatori non compaiono sul vostro sito.  Hanno conferito un “patrimonio per uno scopo”?
Sono persone con disponibilità finanziarie che hanno scelto con determinazione di “restituire alla società” a titolo individuale, in modo responsabile e affidabile, per affermare il bene comune.  
Il patrimonio conferito dai fondatori – composto da disponibilità finanziarie e un appartamento oggi sede dell’ente – produce le rendite che vengono investite nelle donazioni. Il Consiglio di fondazione della Charlemagne, costituito fin dall'inizio da persone con competenze notarili, fiscali e revisionali, ha poi affidato a me la delega della costruzione di una visione politica, obiettivi e gestione esecutiva. Abbiamo compiuto un cammino insieme, per me, esperta di vulnerabilità, in quanto ero  ignara del grande  potenziale di una fondazione privata. Fondamentale nel percorso è stato il ruolo dello studio notarile che ha poi consacrato l’atto di nascita della stessa Fondazione Charlemagne.
Negli anni mi ha raggiunta un team affiatato di professionisti che oggi compone l’Ufficio Tecnico di Valutazione, l’UTV.
 
L’Ufficio Tecnico di Valutazione è considerato un benchmark da molte altre realtà che si avvalgono dei vostri servizi. Vuole parlarci del ruolo e dei processi?
L’UTV valuta le richieste di finanziamento e monitora le erogazioni della Fondazione: “legge” gli andamenti dei bisogni attraverso le istanze di tutto il Terzo settore; possiede competenze specializzate e imprescindibili su alcuni temi e territori; formula pareri di eleggibilità delle richieste e indirizza la visione strategica della Charlemagne. Praticamente l'Ufficio Tecnico di Valutazione si confronta continuamente con il Direttore e i consiglieri delegati: ciò genera un flusso continuo di informazioni che permette al Consiglio di avviare riflessioni e assumere modifiche di strategia in base alle indicazioni fornite.  In questi anni l’UTV ha consolidato la propria esperienza e le proprie relazioni esterne ed è stato scelto come Segretariato e Comitato di valutazione in outsourcing anche per altre fondazioni.
 
I criteri di valutazione dei progetti da sostenere  sono mutati negli ultimi  anni e voi siete stati  parte attiva in questa evoluzione.
La valutazione è cambiata notevolmente, con l'inserimento progressivo di criteri compositi e disgreganti che hanno di fatto innovato alcune procedure. È un UTV che gode di indipendenza, responsabilità e fiducia: si aggiorna continuamente grazie a cicli di formazione; lavora in rete internamente e fuori la Fondazione; attinge ulteriori strumenti di valutazione dalle numerose missioni sul campo.  La Fondazione riceve oltre un migliaio di richieste di finanziamento l'anno: di esse vengono selezionate quelle eleggibili sia per le aree di competenza della Charlemagne che per le priorità di altre fondazioni che si affidano al nostro UTV. Insomma la nostra geometria è in continua evoluzione: in pochi anni la Fondazione Charlemagne è diventata un hub di servizi e professionalità, riuscendo a rafforzare la rete di collaborazioni e a moltiplicare le erogazioni.
 
Quali sono i vostri indirizzi prioritari d’intervento?
Il nostro motto è lo stesso indicato dai donatori: “Dare Dignità alla Persona, sempre e ovunque”. Sta alla base delle nostre scelte e delle nostre strategie. La progettualità e il disegno complessivo della  Fondazione devono garantire filiere di azioni che assicurino la dignità di coloro che a questi processi partecipano, in prima persona.  Per far ciò fin dall’inizio abbiamo scelto di confidare fortemente sul valore dell’operato del Terzo settore e della società civile. Tra i mille volti del Settore noi ci avviciniamo a chi, in vari modi, propone percorsi progettuali che contengano anche e soprattutto indicazioni di metodo, per il welfare e per la gestione delle Amministrazioni pubbliche.
 
Sperimentazioni che possono poi ispirare le politiche.
Sono state le storie e le persone, che abbiamo incrociato in questo sentiero di crescita umana e professionale, che hanno contaminato il nostro pensiero poi tradotto nelle pratiche della Fondazione Charlemagne. Mentre parlo con voi sono anche certa che il sito di Charlemagne non rispecchi la complessità e la strada naturale percorsa dai professionisti che lavorano quotidianamente per la Fondazione. Dedicandoci agli altri abbiamo probabilmente trascurato la comunicazione istituzionale: oggi stiamo cercando di veicolare finalmente la nostra identità e la nostra professionalità anche sul web e sui social media, attraverso un nuovo modo di raccontare l'impegno e i risultati della Fondazione. Lavori in corso insomma.
 
L’understatement è stata una scelta? A volte la discrezione è interpretata come mancanza di trasparenza.
All’inizio non potevamo immaginare ciò che sarebbe successo. Siamo partiti con un patrimonio umano e finanziario contenuto, poi siamo cresciuti. Dunque lo stile di estrema discrezione è stato inizialmente dettato da prudenza e consapevolezza. Non si pensava di avere l’impatto poi realizzato, di partecipare alla nascita di Assifero (ndr: l’associazione che rappresenta oltre 100 realtà della filantropia istituzionale-di famiglia, d’impresa, di comunità), né di passare da un ruolo “intimamente” di nicchia a una consapevolezza di funzione e di servizio. Le competenze acquisite sulla valutazione dei progetti, la lettura e l’approfondimento di temi internazionali, hanno modificato la nostra iniziale natura.
 
Andate oltre l’erogazione finanziaria.
Oggi siamo erogatori sia di strumenti finanziari che di servizi di accompagnamento. In particolare con l’accompagnamento ci rivolgiamo a quelle realtà che, possedendo potenzialità-chiave nei loro ambiti territoriali e d’intervento, hanno necessità di dotarsi di strumenti di monitoraggio, expertise amministrativa e capacity building per la crescita del gruppo di lavoro. Talvolta, davanti ad idee dirompenti o a modelli utili per il bene comune, intraprendiamo un cammino insolito per una Fondazione, supportando le dolorose e strategiche scelte che innescano il cambio del testimone e quindi prevedono l’eredità dal creatore di un gruppo, alla nuova generazione che lo dovrà sostituire.
Seguiamo un buon numero di progetti e ci piace testimoniare che per noi le fondazioni hanno anche questo dovere. Laddove si vogliano porre come enti filantropici devono poter coadiuvare il sano riposizionamento interno ed esterno di quei gruppi del no-profit che fanno la storia di un Paese, in termini di contributo sociale e di innovazione.  Questo è stato il nostro percorso. Un cammino che oggi ci impone di raccontarci in maniera innovativa anche sul web ─ per tornare alla sua domanda sulla comunicazione ─ per permettere a tutti di leggere con maggiore chiarezza le attività della Fondazione Charlemagne.
 
Lei cura anche anche altre fondazioni che si occupano di social change?
Siedo nei board di alcune fondazioni a titolo volontario, europee e non, dirette ad altre tematiche e dalle territorialità estese. Partecipo invece direttamente ad alcune fondazioni che si avvalgono del nostro Ufficio Tecnico di Valutazione. Pieno il rispetto, in questo caso, di autonomia reciproca e di indirizzo strategico. È solo un piano di dialogo e condivisione, nella convinzione che la filantropia oggi possa significare prossimità tra enti e territori, in un crocevia misto di  opportunità e ricerca.
 
Segnalate ad altri Enti i progetti di cui valutate le potenzialità?
Charlemagne riceve richieste da molte fondazioni, in cerca di progetti affidabili: siamo lieti e onorati di avere diversi interlocutori nella grande rete internazionale delle nostre collaborazioni. Siamo disposti al confronto, ma convinti che si possano dimenticare gli schemi caritatevoli per dar luogo all’affermarsi di progetti rilevanti per il sistema di welfare: uno sforzo di identificazione delle progettualità e di sostanziale cambiamento del linguaggio erogativo.
 
In quanti paesi opera la rete di Charlemagne?
La Fondazione Charlemagne eroga finanziamenti in Italia. Per altre fondazioni possiede professionalità e competenze in Africa, Sud America e Vicino Oriente. Un raggio d'azione davvero ampio con linguaggi a volte complessi e stratificati dalle diverse realtà sociali, economiche e politiche.
 
Quale relazione sviluppa Charlemagne con le istituzioni nei diversi paesi?
Lavoriamo a due livelli, in tutto il mondo. Nei Paesi in cui il nostro Ufficio tecnico di valutazione ha rapporti consolidati  ed esiste  un approccio-paese, le relazioni con le istituzioni locali sono necessarie e fruttifere per un'osmosi di visione. Le relazioni con altre fondazioni ci permettono un proficuo confronto sulla governance e il management.   Questo sguardo aiuta anche a condividere nuove prospettive nella rete nazionale di Assifero, della quale sono Vice Presidente.
Con le istituzioni atte alla cooperazione in Italia, Charlemagne per Assifero, è membro del Consiglio Nazionale della Cooperazione, istituito con la nuova Legge. In Consiglio ho cercato di portare una visione aggiornata del ruolo delle fondazioni private come  partner nelle politiche attuative della cooperazione, nella formulazione di strategie, e non solamente partner finanziario.
 
E’ un salto di scala epocale, non certamente indolore. Crescita della consapevolezza di sé, delle strategie, delle competenze e della percezione esterna del ruolo.
Il settore delle fondazioni è tra quelli che hanno avuto la maggiore evoluzione negli ultimi 10 anni, rispetto ai settori privati, statali. Il punto strategico più rilevante è stato dimostrare la competenza delle fondazioni in materie un tempo di presidio solo pubblico, europeo o nazionale, non così percepita.
Stiamo cercando di dimostrare come le fondazioni possano coadiuvare le strutture pubbliche nell'indirizzo da dare alle proprie politiche. Il ruolo erogativo delle fondazioni si completa con quello strategico. Una visione oggi recepita nei lavori del Consiglio Nazionale della Cooperazione, e compresa e apprezzata in qualsiasi conversazione di altro livello, con rappresentanti di istituzioni.
Penso che la complessità per la quale nessuno è pronto sia tale da necessitare di  convergenza di competenze, interessi e visioni e anche la capacità di far alzare il livello alle buone pratiche per farle diventare in politiche.
In Italia è un assunto lo spazio immenso per quelle fondazioni che nel tempo sono cresciute e hanno acquisito un potenziale ruolo politico che devono e possono giocare.
 
Un ruolo fondamentale per affrontare i problemi in modo sistemico, necessario anche per la crisi di rappresentanza del Pubblico. Centrale è  l'alleanza che  come Assifero  siete riusciti ad attivare con ACRI-l’associazione che rappresenta le fondazioni di origine bancaria, con segnali forti  di convergenza sui grandi temi, un motore di cambiamento anche di carattere territoriale, non solo nazionale.
Il dialogo con le fondazioni bancarie, non può che essere positivo per lo scenario italiano, ciò che ha avuto già rilevanza nel sistema filantropico italiano. Volgerei con attenzione lo sguardo anche all’alleanza, non da meno, con il movimento delle fondazioni comunitarie.
 
Un’alleanza con le fondazioni di comunità per  favorire una cultura del dono e far crescere processi partecipativi.
Credo in un mix strategico tra fondazioni comunitarie e fondazioni private a livello progettuale. In questo  passaggio epocale e culturale è fondamentale condividere competenze che abbiano origini diverse, a servizio del territorio. Bisognerà sempre guardare ai prossimi anni pensando a un approccio orizzontale tra le fondazioni, una capacità di mettersi fra di loro in rete, non solo a livello associativo, ma a livello di intervento, come a una delle soluzioni più importanti a cui l'Italia può guardare per superare i numerosi ostacoli. Credo che Assifero debba, e siamo già su una strada giusta, promuovere in modo idoneo gli enti della filantropia nel quadro normativo in fase di attuazione.
 
Ritiene quindi che la partecipazione di Assifero a reti europee come Ariadne,  o a reti di reti come Daphne, si debba evolvere in progettualità congiunte?
Ritengo che in questa fase il grande beneficio sia saper accedere a gli input delle reti internazionali ed europee in termini di competenze, capacità di dialogo politico, piuttosto che di capacità aggregativa tematica. Tradurre il  linguaggio internazionale a livello territoriale, innovare le prassi consolidate in un settore di un Paese è sempre molto difficile. Un grande passo che dobbiamo compiere in Italia è la crescita delle competenze del management nelle fondazioni. Un obiettivo importante a cui bisogna aggiungere la necessità di una maggiore chiarezza legislativa nonché di un codice comportamentale. Nel 2016 Assifero ha elaborato in modo partecipato la Carta Dei Principi, un testo utile affinché gli enti filantropici possano ricondursi a un ruolo ancor più identificabile e delineato, nonché condividere pratiche comuni e estendersi anche alle fondazioni non associate ad Assifero.
 
Come Assifero siete attori nella riforma del Terzo settore. State facendo sentire attivamente la vostra voce. Fate un lavoro di advocacy.
Certo, nei prossimi mesi si giocherà l'ultima partita della Legge Delega e confido vivamente che quanto comunicato ed espresso da Assifero sia recepito in termini consoni. Un idoneo quadro di riferimento non potrà che contribuire a un miglior ambiente per la filantropia e stimolare l’utilizzo di patrimoni ancora senza destinazione.
 
Ritornando su Charlemagne, ho letto sul sito che il vostro attuale orientamento è verso il centro-sud.
Il Lazio non attrae sufficienti risorse. Una condizione a cui cerchiamo di rispondere con nuove erogazioni, nuovi “accompagnamenti” e rinnovato entusiasmo. Da circa 10 anni sosteniamo iniziative e gruppi di lavoro in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Vi sono casi progettuali e realtà che hanno una forte valenza innovativa, che sono radicate in maniera decisiva nei territori e che innescano buone pratiche e un estremo riscatto sociale ed economico. Alcuni progetti in corso sono unici in Italia e ci stanno insegnando prassi nuove, insperate, in luoghi di sfida estremamente difficili. Nel Sud si può investire bene, contribuendo alla innovazione di un'area spesso sottovalutata o “abbandonata” all'economia illegale: sarebbe bello immaginare un percorso virtuoso pure a  Roma, vero?
 
L’ultimo progetto evidenziato dal vostro sito riguarda il nuovo Centro Atlas dell’ Associazione Sementera a Perugia. Credete quindi in questa e potenzialità?
Sementera opera da oltre vent’anni nella riabilitazione e nell’inclusione sociale delle persone con sofferenza psichica attraverso approcci innovativi, mossi dalle nuove  frontiere delle neuroscienze. Con Charlemagne è stata avviato il Centro Atlas, con indirizzo specifico a favore di persone con autismo; una Officina della Creatività dove etica, psicologia, tecnologia sono in dialogo per  lo sviluppo delle potenzialità delle persone,  giovani e adulte. Far crescere esperienze è il nostro mandato di Fondazione e tutti questi cambiamenti hanno una matrice culturale.
 
Siete intervenuti molto a Napoli, realtà che il Giornale delle Fondazioni guarda con grande attenzione. Abbiamo proprio avviato un ascolto in profondità da Made in Cloister-Lanificio, all'avventura del Museo MADRE riconosciuta internazionalmente, dalla Fondazione di  Comunità di San Gennaro con la valorizzazione delle catacombe del quartiere Sanità. Nel numero di questo mese parleremo della Fondazione Morra Greco e della Fondazione Banco di Napoli, con il progetto Cantastorie. Condivido la sua visione. Queste terre possono insegnare molto anche ad altri, sono reputate “le frontiere dell'impossibile”, ma con progetti di lungo termine attraggono fondi e interessi internazionali, mostrano risultati con  metodologie da coltivare, esportabili in altri contesti.
Ritornando alla domanda iniziale sulla comunicazione, credo che una parte di Fondazioni italiane, inclusa Charlemagne, abbiano comunicato poco per discrezione. Oggi abbiamo compreso quanto siano le competenze e le professionalità, oltre alla capacità erogativa, a dare risultati tangibili. È questo il tempo di trovare una forma di comunicazione e un linguaggio nuovo, che rispecchino l’Italia e sappiano dialogare con l’estero. Dunque una sintesi di linguaggi ove la via maestra sia il poter far percepire e recepire il cambiamento culturale in corso e il ruolo delle stesse fondazione di dimensione media, di origine privata, familiare, non legata a una corporate.
 
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