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Capitale Italiana della Cultura 2016 e 2017. Istruzioni per l’uso

  • Pubblicato il: 16/03/2015 - 13:57
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Alessandro Bollo

Terminato da poco il processo di selezione per diventare Capitale Europea della Cultura nel 2019, le città italiane possono nuovamente mettersi in gioco per aspirare al titolo di Capitale Italiana della Cultura per gli anni 2016 e 2017.
Nel frattempo le cinque città finaliste non vincitrici per la CEdC (Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena) stanno celebrando ex aequo il titolo di capitale culturale per il 2015, il cui principio di attribuzione dovrebbe rispondere a una duplice esigenza. Non disperdere l’importante lavoro di attivazione di energie, risorse e intelligenze territoriali e sostenere (anche economicamente) la realizzazione di alcuni progetti chiave difendendoli dall’effetto smantellamento che puntualmente si produce quando l’adrenalina cala e la valutazione critica lascia il campo ai se e ai ma e all’inevitabile redde rationem del giorno dopo.
Sospendendo il giudizio su quanto sta avvenendo (o per meglio dire, non sta ancora avvenendo) per l’anno in corso diventa invece più interessante leggere cosa propone in termini di visione, progettualità, aspettative e sostegno il processo di candidatura per il prossimo biennio per la Capitale Italiana della Cultura.  
Il percorso prevede due fasi con tempi veramente serrati per la preparazione ed elaborazione della proposta: entro fine marzo 2015 per consegnare la prima domanda di candidatura ed entro il 30 giugno 2015 per l’elaborazione del dossier finale che riguarderà una rosa ristretta di circa una decina di città.
La logica di attribuzione del titolo, che si pone in linea e nel solco dell’azione UE della “Capitale Europea della Cultura”, si poggia sulla capacità di perseguire specifici obiettivi che il bando precisamente elenca:

  • stimolare una cultura della progettazione integrata e della pianificazione strategica;
  • sollecitare le città e i territori a considerare lo sviluppo culturale quale paradigma del proprio progresso economico e di una maggiore coesione sociale;
  • valorizzare i beni culturali e paesaggistici;
  • migliorare i servizi rivolti ai turisti;
  • sviluppare le industrie culturali e creative;
  • favorire processi di rigenerazione e riqualificazione urbana.

 
Provando a leggere tra le righe del bando nazionale si apprezzano alcuni elementi di distanza e di differenziazione rispetto all’impostazione e agli obiettivi dell’omologo premio europeo.
Il primo e più scontato riguarda la scomparsa della dimensione europea nei requisiti di progettazione, intesa come evidenziazione degli elementi di comunanza e di diversità culturale a livello continentale e come ambito privilegiato per sviluppare logiche di scambio, di rete e di partenariato.
Mi pare che ci sia, inoltre, una minore enfasi sui processi di coinvolgimento della cittadinanza – da intendersi non solo come audience, ma come soggettività attiva nella co-generazione dei processi di trasformazione urbana e nella co-progettazione delle attività culturali (elemento invece molto presente nei dossier di tutte le città italiane finaliste della Capitale Europea della Cultura e citato invece una volta sola en passant nel testo del bando) – cui fa da contraltare una maggiore attenzione agli interventi e ai progetti in grado di rafforzare il legame tra cultura e turismo e di valorizzare il patrimonio culturale.
Questi ultimi due aspetti emergono chiaramente se si confronta lo spettro degli obiettivi individuati come prioritari e le tipologie (molto più ristrette) dei progetti che di minima dovranno essere contenuti nel primo dossier di candidatura: 

  • recupero e valorizzazione di beni culturali e paesaggistici;
  • miglioramento dei servizi per l’informazione ai turisti;
  • miglioramento dei servizi per l’accoglienza ai turisti.

 
Staccandosi però dalle spigolature sul bando, l’aspetto rilevante di questa competizione è che avviene nel solco del successo dell’edizione italiana della CEdC per il 2019 (in termini di numero di candidature, di livello complessivo della progettazione e di impatto mediatico generato), potendo quindi giovarsi di un “effetto trascinamento” in termini di predisposizione e sensibilità dei territori e delle amministrazioni a riconoscere le potenzialità e le opportunità dell’operazione e avendo già alle spalle l’esperienza del percorso europeo appena concluso.
 
L’impressione è che il numero delle città che parteciperanno al bando sarà significativo e probabilmente anche superiore a quello delle 20 che hanno già tentato la strada della competizione europea. Sebbene il tempo a disposizione sia relativamente poco, la candidatura, se ben sfruttata, sarà un’opportunità per stimolare risorse, visioni, intelligenze e progettualità diverse facendole reagire in direzione di una visione strategica condivisa.  Visione strategica in cui, auspicabilmente, la dimensione culturale possa agire come principio attivo e collante per favorire l’innovazione produttiva, sociale e civica, e possa rappresentare un assett centrale per qualificare l’offerta e la domanda di turismo di nuova generazione.
 
Per quanto riguarda l’entità del premio - circa un milione di euro che il Ministero assegnerà attingendo dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (programmazione 2014-2020) –, si tratta di un ammontare relativamente ridotto, ma anche il premio Melina Mercouri assegnato per la capitale Europea della Cultura non era molto più elevato: 1,5 milioni di euro, poco più di una pacca sulla spalla se si considerano i budget complessivi necessari per organizzare l’intero evento (dai 30 ai 100 milioni di euro in media negli ultimi anni).
 
Da questo punto di vista un ragionamento plausibile è quello di considerare l’entità economica dell’assegnazione, unitamente allo slancio e al prestigio derivanti dalla vittoria, come volano per la generazione di effetti moltiplicativi che siano resi possibili dal coinvolgimento degli stakeholder territoriali, delle imprese e della cittadinanza. Perché questo possa avvenire al massimo del suo potenziale, si dovranno sperimentare piattaforme (anche temporanee) di governo che vedano una sostanziale compartecipazione tra pubblico e privato nelle cabine di regia, nella condivisione degli obiettivi e delle priorità di finanziamento, nell’ideazione e coordinamento di progetti pilota, nell’incubazione di realtà innovative, nella ricerca di nuove modalità di agevolazione del credito, di finanziamento e di capitalizzazione.
Se questo davvero avvenisse, non ci sarebbe vittoria più importante.
 
 
 
 
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http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/feed/pdf/Ba...
Dossier ECoC del Giornale delle Fondazioni

Speciale European Capital of Culture