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Cambiamo Tutto

  • Pubblicato il: 13/01/2014 - 09:00
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

È il titolo di uno dei più energizzanti libri del 2013 scritto da Riccardo Luna a dare il polso della rivoluzione in corso, quella degli innovatori, «che non accade riempiendo le piazze o assaltando i palazzi del potere». Non casi isolati, ma «un profondo cambiamento in atto nelle nostre vite, di come si fa scienza, si condivide conoscenza, si fa impresa, si creano posti di lavoro, si producono beni, si amministra la cosa pubblica».
Possibile anche grazie alla prima «arma di costruzione di massa», internet, la tecnologia abilitante. «Quelli che vogliono cambiare il mondo non aspettano, lo fanno». È il fermento che si legge nelle risposte alla fine dello Stato sociale, una mobilitazione dal basso con la esponenziale crescita del Terzo settore, galassia di 300mila realtà (oltre 1600 nella cultura) fotografate dall’ultimo Censimento Istat. Un cambiamento che dà vertigini. Ma se la complessità ha lasciato molte vittime sul campo, mostra praterie di opportunità che si possono cogliere solo con nuove regole del gioco, un ripensamento delle politiche, del ruolo degli diversi attori, tutti. È il segno che emerge dalla nostra annuale campagna di ascolto. Tre le parole d’ordine: trasparenza, partecipazione e collaborazione, per una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile. È la strada che l’Europa indica alla cultura con la sua strategia verso il 2020 e i relativi fondi della programmazione pronti al varo. Richiede un ruolo inedito alla cultura per superare la crisi con il contributo dei cittadini. Per passare dal «cercare il posto di lavoro a crearlo». Ma per crearlo occorre il contesto. Qualche dato sul nostro. Clamorosa bocciatura delle rilevazioni Ocse dell’ultimo semestre: maglia nera all’Italia sull’istruzione. Gli italiani sono gli analfabeti del III millennio. Solo il 15% della popolazione tra 25-64 anni è laureata e un giovane su 5 dai 15 ai 29 anni non studia, non lavora, non segue corsi di formazione professionale. Ricompare l’analfabetismo funzionale. Gli adulti sono in fondo alla classifica di 24 Paesi nei saperi essenziali, nelle competenze alfabetiche, matematiche e digitali di base. L’Eurobarometro a novembre segnava un calo della domanda interna culturale europea e, in termini di partecipazione attiva, l’Italia è tra le ultime posizioni. Lo conferma Istat con l’annuale indagine multiscopo «Aspetti della vita quotidiana degli italiani»: meno di 3 persone su dieci visita un museo una volta l’anno. In Inghilterra il 75% li frequenta. Nei musei vanno gli anziani (il pubblico è invecchiato di 15 anni) e i più colti. Si restringe la base sociale. Imbarazzante, ma soprattutto preoccupante. Per generare sviluppo sociale, presupposto per quello economico, il punto non è piazzare ai turisti il patrimonio, ma innalzare la qualità del cittadino, fertilizzare con la cultura come direbbe l’economista Ludovico Sollima. I beni debbono alimentare circuiti culturali e i musei, se ripensati superando una visione aristocratica, possono diventare spazi di partecipazione e guidare il nuovo corso. La cultura mainstream è però ancora lontana da queste logiche. Va costruito il pubblico con nuovi linguaggi e modelli di fruizione. Allestire nei musei la festa della tecnologia senza una strategia integrata è una sconfitta, come considerare l’educazione un «buttadentro» ancillare e i servizi un addendum. Europa 2020 è un’opportunità.

Per coglierla occorrono politiche integrate, intrasettoriali: lavoro, istruzione, sviluppo, cultura, salute. Governance multilivello. Dobbiamo essere unitari e coerenti, sotto il profilo tecnico e politico. Il Pubblico non potrà essere sostituito. Le Fondazioni, tutte, servono oggi e molto,più che in passato. Dalle grandi che possono guidare e accompagnare il processo di evoluzione culturale necessario, non solo erogando fondi, alle piùpiccole, se superano le fragilità aggregando le forze, per contribuire alla capacitazione sociale teorizzata da A.k. Sen e M.C. Nausbam. Parafrasando il felice adagio del poster del governo britannico alle soglie della seconda guerra mondiale, «Keep calm and start up».