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“I am part of it”: la digital transformation inclusiva secondo Nancy Proctor

  • Pubblicato il: 15/09/2017 - 09:50
Rubrica: 
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di: 
Francesca Panzarin

In uno degli ultimi incontri di Meet the Media Guru, Nancy Proctor direttrice della MuseWeb Foundation, ha presentato il suo progetto di accellerazione dell’innovazione culturale attraverso una piattaforma che invita la comunità locali a trasformarsi in storytellers, ridefinendo l’idea di collezione e di processo curatoriale. Prendendo spunto anche dalla cultura Maori
Rubrica di ricerca in collaborazione con il Museo Marino Marini
 


 
"Invitiamo il pubblico a non spegnere il cellulare e a condividere": è iniziata con queste parole nella splendida cornice barocca di Palazzo Litta, sede della Segretariato regionale Mibact della Lombardia,  uno degli incontri del 2017 di Meet the Media Guru, il progetto che da 12 anni si propone di contribuire a creare in Italia un ecosistema culturale digitale.
 
Per capire come far entrare la digital trasformation nei musei, lo scorso maggio la guru era Nancy Proctor, direttrice del The Peale Center for Baltimore History and Architecture e della MuseWeb Foundation, progetto non-profit di Museums and the Web, una piattaforma collaborativa sui temi della cultura, della scienza e del patrimonio online.
 
Il suo intervento, da manager americana con una lunga esperienza nel settore digitale  pubblico e privato (dal Baltimore Museum of Art allo Smithsonian Institution ad Antenna Audio) che 25 anni fa fatto anche una breve esperienza lavorativa in Italia, é partito dalla necessità di una rivoluzione dell'approccio: per raggiungere la sostenibilità di un museo é necessario dare concretezza a una mission fondata sui valori dell’inclusione, dell’accessibilità e della rilevanza:Le persone oggi chiedono di essere protagonisti. La vittoria di Trump è nata dal voto di protesta della gente che non si sentiva considerata dall’élite. E arrivato il momento di ascoltare. Ma per avere significato, bisogna essere rilevanti. Per essere rilevanti, bisogna essere inclusivi. E non si può esserlo una volta a mese”. Ricordandosi che spesso “l'innovazione parte dai più piccoli”.
 
Abbiamo chiesto a Nancy Proctor di raccontarci la sua esperienza di professionista e di “experienced museum-goer”, soffermandosi sui nuovi progetti che ha avviato e sul nuovo approccio curatoriale che sta sperimentando.
 
Che cos’è The MuseWeb Foundation? 
The MuseWeb Foundation è una nuova iniziativa nata dall’esperienza della Museums and the Web Conference che si propone di accellerare l’innovazione nel settore culturale attraverso progetti che riescano ad aumentare la rilevanza, l’accessibilità e la sostenibilità della loro proposta.
 
Che cos’è il progetto BE Here e quali sono le chiavi del suo successo? E’ esportabile?  
Be Here, progetto di punta della MuseWeb Foundation, è una proposta di “place based cultural storytelling”: lanciato a Baltimora nell’estate 2016 e ora basato al Peale Center for Baltimore History and Architecture, si propone di aumentare la partecipazione culturale delle comunità locali stimolando la sensibilità verso il loro patrimonio. Vogliamo dare la possibilità a una molteplicità di voci di raccontare la storia della loro comunità e delle collezioni che conoscono meglio: invitando gli abitanti del luogo a visitare il museo e a usare la loro voce per raccontare delle storie, possiamo ottenere punti di vista più autentici, rilevanti e connessi con la comunità e le istituzioni locali rispetto a una recensione sulla stampa.
Offrendo una piattaforma aperta e gratuita, Be Here capitalizza la possibilità offerta dalle nuove tecnologie di offrire ai viaggiatori e ai visitatori locali un nuovo modo di scoprire la cultura e le storie, spesso nascoste, dei luoghi in cui si trovano.
L’idea sta funzionando tanto che il programma Smithsonian’s Museum on Main Street (parte dello Smithsonian Institution Traveling Exhibition Service) lo ha incorporato tra le sue mostre itineranti ospitate dalle città americane con meno di 10mila abitanti, invitandoli a condividere e preservare le storie del loro patrimonio e della loro cultura locale.
The MuseWeb Foundation, attraverso la sua piattaforma, fornisce gratuitamente risorse scaricabili e webinars in modo che il modello possa essere adottato in qualsiasi luogo.
Esiste anche l’app “Stories from Main Street” che permette di registrare la propria storia e metterla live sulla piattaforma di Be Here.
  
In che cosa consiste il passaggio dal “curatorial process ” al “co-creation process” che sta alla base del progetto Be Here?
 Con Be Here e i progetti del Peale Center abbiamo invertito il tradizionale processo curatoriale: partiamo dalle storie che sono importanti per le persone e costruiamo le mostre attorno a questi contenuti in modo che la rilevanza e la partecipazione siano parte integrante del processo fin dall’inizio. Il “co-creative approach” mette le persone, invece che gli esperti, al centro del processo di progettazione e attribuisce alla storie un valore uguale a quello degli oggetti che formano le collezioni.
 

A parte i modelli e le case history americane ed europee, ci sono altre realtà internazionali da cui prendere spunto per creare innovazione culturale?
Molti musei stanno lavorando sul concetto di partecipazione e inclusione in diversi aspetti dei loro progetti.
Senza la pretesa di avere una conoscenza omnicomprensiva di tutto quello che succede a livello internazionale, mi sembra che ci siano delle culture lontane che possono offrire al nostro settore culturale nuovi modi di guardare e pensare.
Per esempio, i concetti Maori di “taonga" (tesoro o oggetto sacro, idea o memoria) e di “marae" (spazio comunitario sacro usato per usi religiosi e sociali) offrono metafore interessanti attraverso cui pensare e ripensare a collezioni e musei.
Nel concetto di “taonga,” l’oggetto non è semplicemente una cosa, ma contiene la storia, le memorie e le narrazioni che sono cresciute attorno a esso. Sono due lati della stessa medaglia, inseparabili.
Nei musei eurocentrici abbiamo spesso diviso gli oggetti dalle loro storie e dal loro contesto d’uso per presentarli come pura esperienza estetica. E’ una violenza e un impoverimento del nostro patrimonio culturale.
Sono poi sempre stata affascinata dal fatto che il Te Papa Tongarewa, il museo nazionale della Nuova Zelanda, sia usato e contemporaneamente contenga “marae": l’istituzione svolge un’essenziale funzione civica accogliendo la comunità per comunicazioni ed eventi della vita di tutti i giorni. Non è quindi solo un deposito e un’esposizione di tesori. L’attenzione all’esperienza vissuta dai propri visitatori è centrale nel lavoro di un museo percepito come “marae”.
 
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