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“Gioia dell’arte”, collezionismo e inclusività: la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli

  • Pubblicato il: 15/04/2018 - 09:01
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI PER LA CULTURA
Articolo a cura di: 
Elena Inchingolo

Il racconto di Marcella Pralormo, Direttrice della Pinacoteca Agnelli, sull'origine della collezione del Lingotto, il file rouge che lega le attività della pinacoteca e i suoi prossimi passi.


In una struttura sospesa sul tetto del Lingotto di Torino, sede della prima grande fabbrica della Fiat, è aperta al pubblico, in esposizione permanente, la collezione di opere d’arte appartenute all’Avvocato Giovanni Agnelli e a sua moglie Marella Caracciolo.
 
L’avvocato Giovanni Agnelli è stato un precursore nell’arte del collezionare rispetto alla propensione contemporanea del collezionista di mettere a disposizione di un vasto pubblico il proprio patrimonio privato.
 
Inaugurata il 20 settembre 2002, la Pinacoteca Agnelli rappresenta lo slancio finale dell’oltre ventennale processo di trasformazione del Lingotto, che oggi conserva l’imponenza della fabbrica automobilistica progettata da Giacomo Matté Trucco nel 1915.
Lo “scrigno” – come lo chiama Renzo Piano che l’ha progettato – accoglie 25 straordinari capolavori d’arte che spaziano dal Settecento alla metà del Novecento.
La collezione comprende un corpus di sette tele di Matisse, unico in Italia, un dipinto di Balla del 1913 sul tema della velocità dell’automobile, capolavori di Severini, Modigliani e Tiepolo. Si possono inoltre ammirare preziose testimonianze dell’arte veneta: sei straordinarie vedute di Venezia dipinte da Antonio Canal, detto il Canaletto, e due vedute di Dresda di Bernardo Bellotto. Non mancano opere di Picasso, una del periodo blu l’altra del periodo cubista, esemplari impressionisti di Renoir e di Manet e due sculture in gesso di Antonio Canova, la Danzatrice con dito al mento e la Danzatrice con mani sui fianchi.
La Pinacoteca si sviluppa in verticale, al di sotto dello “scrigno”, su altri cinque piani, in cui sono ospitate le esposizioni temporanee, una sala di consultazione dedicate al tema del collezionismo, un centro didattico per l’arte, gli uffici e un bookshop.
 
Qui abbiamo incontrato Marcella Pralormo, Direttrice della Pinacoteca, per un confronto più approfondito sulle finalità della Fondazione Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli e sulle proposte culturali che riserva al pubblico torinese e internazionale.
 
La Fondazione Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli si costituisce nel 2002, per volere dell'Avvocato Giovanni Agnelli e della Sig.ra Marella sua consorte, in occasione dell'apertura al pubblico della Pinacoteca, sede e "scrigno" della Collezione. In termini di governance la Fondazione è oggi dotata di un Consiglio Direttivo composto dal Presidente Onorario Marella Caracciolo Agnelli, dal Presidente Ginevra Elkann, dai Membri Gianluigi Gabetti, John Elkann, Lapo Elkann e Sergio Marchionne, da lei nel ruolo di Direttore e dal Segretario Gianluca Ferrero.
 
Quali sono gli obiettivi che la Fondazione persegue?
La Fondazione ha la mission di diffondere la conoscenza e la passione per l’arte e di invitare il pubblico a godere di quella “gioia” - come la definiva lo stesso Avvocato Agnelli - che l’arte infonde a chi ad essa si relaziona, in anticipo sulle successive ricerche delle neuroscienze, che dimostrano come la fruizione di opere d’arte possa donare benessere psico-fisico. In questo senso l’avvocato aveva donato la sua Collezione alla Fondazione, affinché un pubblico ampio ed eterogeneo potesse visitarla e coglierne gli effetti benefici, di cui egli stesso si era avvalso. Nel 2006 Ginevra Elkann diventa Presidente della Fondazione. Da quel momento di comune accordo, abbiamo valutato di inserire un secondo obiettivo nell’ambito della mission della Pinacoteca, ovvero approfondire lo studio della pratica collezionistica. Con Ginevra ci siamo interrogate su come potesse evolvere un museo nato dalla sensibilità personale di due collezionisti e ci siamo trovate d’accordo nell’indagare lo spirito e la passione di chi, come Giovanni e Marella Agnelli, avesse scelto di rapportarsi all’arte come costante quotidiana.
Ci siamo prefissate l’obiettivo di fornire nuove chiavi di lettura delle opere conservate in collezioni pubbliche e private, chiavi di lettura che inducano a riflettere non esclusivamente sulla loro qualità estetica, ma anche sulla funzione e sul significato che rivestono per la committenza e per la collezione di cui fanno parte. Così dal 2007, la Pinacoteca ha ospitato, in esposizioni temporanee, numerose collezioni, nazionali e internazionali, più o meno eclettiche, composte da raccolte di opere d’arte, di papier roulés o di vasi greci, senza porsi limiti.

La Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli è una fondazione civile che opera sul territorio.
In che modo mette in pratica questo ruolo?

L’obiettivo di diffondere la “gioia dell’arte” si applica nel concreto con l’attivazione di programmi educativi sul tema del collezionismo, includendo anche i capolavori della collezione permanente. La Pinacoteca ha creato inoltre un fertile rapporto di scambio culturale con le scuole grazie anche all’intervento dell’Associazione Amici della Pinacoteca Agnelli che comprende circa quaranta soci e sostiene economicamente le attività educative del museo. In questo modo con visite guidate e laboratori didattici gratuiti si raggiunge un’utenza di circa 3000 bambini. La Pinacoteca organizza inoltre un fitto programma di Conversazioni sul Collezionismo a ingresso gratuito, trasmesse in streaming su facebook, in modo da poterne ampliare il più possibile la fruizione. A tali attività se ne aggiungono altre a pagamento che coinvolgono un pubblico eterogeneo, composto da adulti, adolescenti e famiglie, con workshop e visite guidate.
 
Può raccontarci un aneddoto che possa evocare quella “gioia dell’arte” che Gianni e Marella provavano nel collezionare?
L’Avvocato Agnelli e Donna Marella amavano profondamente Henri Matisse e la “gioia del colore” che i suoi dipinti trasmettono. La collezione permanente della Pinacoteca annovera un nucleo di sette tele del pittore francese unico in Italia, dai colori forti e sgargianti che infondono allegria e gioia di vivere come lo stesso avvocato sosteneva.
Egli amava visitare gallerie e musei d’arte e appena poteva vi si recava, anche se nel giorno di chiusura al pubblico, veniva accompagnato in visita, io stessa l’ho fatto con piacere quando lavoravo alla GAM di Torino. Per l’Avvocato Agnelli la gioia dell’arte era un complemento di vita di cui non poteva fare a meno. Il nostro intento come museo è di trasferire questo insegnamento, ovvero che l’arte è una risorsa che può accompagnare ciascuno di noi ad ogni età ed in ogni momento della vita. Penso a quel giovane svizzero che qualche tempo fa ci chiese la disponibilità di avanzare la proposta di matrimonio alla sua fidanzata proprio di fronte ad un quadro di Matisse. Con entusiasmo abbiamo accettato: non ci era mai capitato in passato di condividere un attimo così privato, ma abbiamo ritenuto fosse un gesto bellissimo in linea con il sentire dell’Avvocato e di sua moglie. Inoltre, in quella richiesta, ho rivissuto la gioia e la magia del momento, poiché anche mio marito mi ha proposto di sposarlo in un museo, il Guggenheim di Bilbao.
 
Come nasce l’idea del ciclo d’incontri Conversazioni sul Collezionismo, che dal 2010 accompagna l’attività espositiva della Pinacoteca? Come vengono selezionati i relatori?
Questa iniziativa nasce con lo scopo di affrontare da più punti di vista il tema del collezionismo e così come è stato fatto con le esposizioni temporanee, si è immaginato di spaziare molto anche rispetto alla tipologia di collezione analizzata. Ci è sembrato un modo per far comprendere ad un pubblico, ci auguriamo sempre più vasto, il gusto e la passione del collezionare. Si è conversato di arte, moda, arnesi, francobolli, vetri con la curiosità di scoprire quale afflato interiore muova ciascun collezionista ad iniziare una collezione. Questi incontri sono occasioni di scambio culturale e relazionale, in cui nascono circoli virtuosi anche con il territorio. Il nostro programma di approfondimento sul tema del collezionismo vuole essere una wunderkammer di conversazioni, che ospita collezioni diverse di arte, naturalia, mirabilia, libri antichi nell’intento di ampliare l’offerta culturale ed attrarre pubblici sempre nuovi, dando così al visitatore la possibilità di viaggiare in mondi sconosciuti.
 

Si tratta di momenti intimi in cui i collezionisti condividono, in maniera diretta e interattiva, con il pubblico, la propria passione per la pratica collezionistica, tralasciando lo stile formale proprio della conferenza. Quale di questi incontri ricorda come più significativo?

Questa è una domanda difficile. Ogni conversazione e quindi ogni collezionista ha una sua personalità che nella mia scelta iniziale ho ritenuto d’interesse. Potrei dire che l’incontro dedicato alla collezione di Corrado Mattoccia, ex giocatore di rugby, dalla cui raccolta di oggetti legati al mondo della palla ovale è nata la Fondazione Il Museo del Rugby, Fango e Sudore, sia stata per me davvero una scoperta. Si è compreso come dietro a questo sport ci sia la generosità, il lavoro di squadra e un forte attaccamento agli oggetti del gioco, come la maglia dei giocatori, che assume il valore aggiunto di feticcio, talismano o porta fortuna. Corrado Mattoccia ci raccontava come un giocatore di rugby piangesse prima di donargli la sua maglietta: vi è un legame talmente forte con la divisa, che diventa quasi un prolungamento fisico ed emotivo del proprio corpo.
Spesso sono stata attratta e incuriosita dagli argomenti che conoscevo meno e da chi mi ha trasferito l’idea che anche gli oggetti hanno un’anima come è stato il caso di Lucio Zanon che ha conversato sulla sua collezione di aerei ed eroi del volo. È stata una delle conversazioni con più affluenza di pubblico che io ricordi. Zanon ha raccontato che ciascun oggetto della sua collezione ha una storia eroica ad esso legata e realmente accaduta. Questo rapporto tra oggetto e tragica umanità mi ha molto emozionata e coinvolta.
 
Qual è il fil rouge che lega le attività della Pinacoteca?
Sono almeno tre i fili rossi che “si tessono” in Pinacoteca: la gioia dell’arte, la passione per il collezionismo e il desiderio di tramandare e allargare la cultura a fruitori sempre nuovi e diversificati. L’avvocato Agnelli è stato sempre riconoscente a suo nonno che da bambino lo accompagnava a visitare i musei favorendo così la sua formazione estetica ed emotiva nei confronti dell’arte. Seguendo il suo insegnamento la Pinacoteca, attraverso le attività in programma, vuole trasferire un messaggio di inclusività e trasversalità, di apertura a realtà culturali e sociali diverse, che possano unirsi nell’arte. La scorsa estate in Danimarca ho letto sulla parete di un museo questa frase di cui condivido pienamente il significato: Museums have more impact on well-being than playing sports (I musei hanno maggior impatto sul benessere della pratica sportiva).
 
La nuova mostra temporanea in Pinacoteca, inaugurata il 27 marzo scorso e visitabile fino al prossimo 1 luglio, è dedicata all’opera di Frank Lloyd Wright tra America e Italia, come recita il titolo. La proposta espositiva esplora il pensiero dell’architetto americano attraverso l’esperienza dei suoi soggiorni italiani. Qual è stata la gestazione del progetto?
La mostra, a cura di Jennifer Gray, nasce da un accordo con la Avery Architectural & Fine Arts Library della Columbia University, in collaborazione con la Miriam & Ira D. Wallach Art Gallery, presso la Columbia University, galleria progettata, come la Pinacoteca, dall’architetto Renzo Piano. Tutto ha avuto inizio dalla richiesta di prestito da parte della Wallach Art Gallery del dipinto di Édouard Manet, La Négresse (1862-1863), custodito nella collezione permanente della Pinacoteca. Si è creato così uno legame culturale con queste prestigiose istituzioni americane, grazie al quale oggi la Pinacoteca ospita 50 disegni, acquerello e matita su carta, di grandi dimensioni, che illustrano la carriera di Frank Lloyd Wright con un particolare focus sul rapporto con l’Italia. Il percorso espositivo presenta fotografie, oggetti, cataloghi, litografie e disegni originali, nell’intento di esplorare il pensiero di Wright in merito all’architettura organica, a partire dal suo primo soggiorno in Italia nel 1910 fino alla sua ultima visita nel 1951. Si ripercorre così la storia dei suoi viaggi in Italia che culmina con la progettazione di un edificio, mai realizzato, intitolato Masieri Memorial, che l’architetto aveva ideato in memoria di un allievo, suo e di Carlo Scarpa, che andò a fargli visita in Arizona e morì di ritorno in Italia, in un incidente. Wright rimase colpito da questo tragico evento e disegnò per lui un monumento funerario eccezionale, un palazzo modernissimo sulle acque di Venezia. Si tratta di una mostra inedita e di fruizione esclusiva considerando anche il fatto che per motivi conservativi i disegni possono essere esposti solo una volta all’anno per non più di tre mesi. La Pinacoteca propone spesso progetti espositivi dedicati all’architettura, intanto perché si colloca in un edificio di archeologia industriale, il Lingotto, successivamente recuperato dal celebre architetto Renzo Piano, inoltre perchè si ha l’intento di avvicinare a questa disciplina, sempre in maniera meno settoriale, un pubblico eterogeneo.

È alla guida della Pinacoteca dalla sua apertura al pubblico nel 2002.  Dalla sua esperienza pluriennale nell’ambito del sistema dell’arte, quali sono secondo lei, i tre concetti guida oggi imprescindibili per ottenere esiti favorevoli?
Premesso che ciascun museo, come ciascuna persona, ha un carattere proprio, ritengo che l’accessibilità, l’inclusività e l’educazione al bello siano concetti da perseguire nell’intento di considerare la cultura una spinta di crescita anche sociale. L’argomento del collezionismo, di cui la Pinacoteca si occupa, potrebbe sembrare elitario, invece riteniamo sia molto popolare ed inclusivo dal momento che si può collezionare di tutto fin dalla più tenera età. In questo senso la Pinacoteca, struttura all’apparenza esclusiva, sul tetto del Lingotto, ha modo di entrare in contatto con tutti attraverso operazioni di audience engagement e scambio culturale, come è stato il caso del Congresso dei Disegnatori, organizzato nel 2015 presso gli spazi di Toolbox, sotto la guida dell’artista polacco Pawel Althamer. L’iniziativa, prodotta dalla Pinacoteca, aveva in qualche modo condotto il museo in città, coinvolgendo direttamente il pubblico in un progetto di arte partecipata e relazionale, senza barriere.
 
Progetti futuri?
Nell’intento di ampliare la dimensione relazionale del museo e coinvolgere nuovi pubblici la Pinacoteca ha attivato uno scambio con il Castello Gamba di Chatillon nell’ambito del quale tre opere dell’artista ebreo americano Larry Rivers facenti parte delle collezioni del museo verranno proposte ai visitatori in un progetto espositivo inedito, con la mia curatela.
I tre dipinti, intitolati Witness, Survivor e Periodic Table, sono ritratti di Primo Levi e sono stati realizzati da Rivers nel 1987, in seguito alla lettura di Se questo è un uomo, celebre testo dello scrittore che moriva proprio in quell’anno. Le opere acquistate dall’Avvocato Agnelli ed esposte nella sede de La Stampa, sono state trasferite, per volere dell’Avvocato stesso, negli uffici della Pinacoteca nel 2002, in occasione dell’inaugurazione del museo.
Anche con questa iniziativa la Pinacoteca esce dalle proprie mura attivando nuove occasioni di audience development, che, insieme ai prestiti e agli scambi inter-museali, permettono al museo di ampliare l’impatto culturale sul territorio e oltre.
 
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Ph: Marcella Pralormo ©Andrea Guermani