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«L’arte è uno stato d’incontro»

  • Pubblicato il: 01/09/2013 - 21:38
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Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe

Roma. A Roma l’insediamento ufficiale di Hou Hanru al Maxxi, avvenuto lo scorso 29 agosto, suona come una «ventata di internazionalità». Finalmente il contestato museo romano si affaccia veramente sul mondo – con l’intento di comprenderlo e tradurlo - e si ripensa.
Il critico e curatore cinese, chiamato a risollevare le sorti infauste del museo, parla chiaro e impone un cambio di paradigmi. Pronto a trasformare la «fabbrica» in «contenitore di contenuti», rivendica la funzione sociale del museo e afferma: «Quali sono le arti e quali le istituzioni che le rappresentano nel Ventunesimo Secolo? E’ questo il quesito principale legato al nome stesso «MAXXI». Porsi la domanda significa riflettere con onestà sulla questione dell’appartenenza e della rappresentazione del Ventunesimo Secolo. L’arte del nostro tempo dovrebbe iniziare ad affrontare questi interrogativi. Il MAXXI non dovrebbe essere un museo di tipo tradizionale. Dovrebbe fondarsi su una serie di nuovi quesiti che indaghino il rapporto tra arte e società, istituzione e pubblico».

«Un autentico laboratorio gestazionale di valori» tale da portare il museo della capitale a interloquire con i musei più prestigiosi – in termini di produzione di pensiero critico e non brand– al mondo.
In che modo? «Il nodo centrale è come trasformare il Museo e la città di Roma in un nuovo centro propulsore del circuito artistico mondiale (che includa l’architettura, il design, le performing art, i saperi e le espressioni artistiche della contemporaneità) per una nuova ecologia della creatività».
A sostegno delle sue riflessioni sulle potenzialità del Maxxi, Hou Hanru cita Agamben e per il superamento della crisi culturale, della «spettacolarizzazione» della produzione artistica, propone un museo «glocal», con uno sguardo al mondo e l’altro alle istanze locali di partecipazione e inclusione.
Un nuovo spazio di democratica espressione, generatore di nuove forme di socialità e capace di porre fine alla divisione della società consumista contemporanea, in cui le identità individuali e sociali tendono ad assumere una polarizzazione sempre più acuta.
Un museo nuovo che legge la complessità della città rispondendo alle esigenze del presente, genera un processo di colonizzazione per la trasformazione della percezione dello spazio in cui alle dinamiche del frammento si sostituiscono le dinamiche della relazionalità e nuove forme di cittadinanza.
L’arte al Maxxi, con Hou Honru, diventa «stato d’incontro»[1], propulsore di una nuova forma dell’«abitare».

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[1] N. Bourriaud, Esthétique relationnelle, Les presses du réel, 1998