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Sessanta musei in cerca di uno scopo

  • Pubblicato il: 09/12/2011 - 10:29
Autore/i: 
Rubrica: 
DAL MONDO
Articolo a cura di: 
András Szántó
MoMA

Miami. Le parole più utilizzate nelle mission di 60 musei. La dimensione della parola corrisponde alla frequenza del loro uso. In breve: cos’hanno in comune i seguenti termini? Bellezza. Valori. Discussione. Contemplazione. La risposta è: nessuno di loro figura in primo piano tra gli imperativi istituzionali dei musei d'arte degli Stati Uniti, almeno alla luce delle loro mission. Altre parole mancanti in 59 delle 60 mission: sostenitore, sviluppo, ambizione, etica, intelligenza strategica, video.

Perché perder tempo contando le parole degli statuti? L'ispirazione per l'esercizio è data da una conversazione che avrà luogo domani mattina ad Art Basel sull’evoluzione delle mission dei musei. A esplorare il tema saranno i direttori di quattro istituzioni pionieristiche: Margarita Aguilar del Museo del Barrio di New York, Thelma Golden dello Studio Museum di Harlem, Madeleine Grynsztejn del Museum of Contemporary Art di Chicago, e Beatrix Ruf della Kunsthalle di Zurigo.
Ognuno di loro porterà il proprio punto di vista su ciò che significa definire delle strategie per i musei all'interno dell'attuale trasformazione dell’ecologia della cultura.
Eppure, mentre mi preparavo a moderare l'incontro, mi sono reso conto di quanto sia grande e scivoloso il tema. Un appiglio mi è sembrato necessario.

Paesaggio retorico
Impostare una mission non è così facile come sembra. Una mission deve descrivere quello che un museo fa oppure quello che dovrebbe fare? Si tratta di obiettivi tangibili rispetto ai quali le istituzioni sono responsabili, o ideali platonici ai quali semplicemente ispirarsi? La mission di un museo deve offrire un inventario delle risorse e delle attività, oppure funzionerebbe meglio se proposta come una «cristallizzazione» di principi fondamentali?
Come può la mission di un museo riflettere la sua posizione sul progresso culturale, sui fattori demografici, le fonti di finanziamento e le opportunità tecnologiche?
Secondo un manuale del 2005 della Associazione dei Musei d'Arte Americana «la mission dovrebbe esprimere ciò che il museo fa, per chi, e perché». Se solo fosse così semplice. In realtà, la mission comprende un sorprendentemente vario paesaggio retorico, da quella piacevolmente corta dell’ Akron Art Museum «Per arricchire la vita attraverso l'arte moderna», a quella del Museum of Modern Art con le sue 420 parole - opus magnum - e i suoi sei sotto paragrafi.
Brevi o lunghe che siano, comunque, ciò che si nasconde dietro le frasi redatte con attenzione  è un vorticoso calderone della politica organizzativa del museo stesso.
Chiunque sia stato coinvolto in un esercizio di elaborazione della mission sa che i dirigenti e il consiglio di un museo hanno spesso difficoltà ad esprimere con chiarezza e con un spiegazioni accattivanti le loro istituzioni. Addirittura i direttori con una lunga esperienza possono bloccarsi quando viene chiesto loro di sintetizzare ciò che la loro organizzazione rappresenta.
Il compito è reso ancor più difficile dalle pressioni del «ragionare in gruppo», dalla necessità di riconoscere i progetti preferiti dei principali stakeholders, dal consueto riflesso istituzionali di dare una strizzatina d'occhio ad ogni occasione, interna ed esterna.
Nel corso del tempo, dopo molte revisioni e modifiche, la mission può assumere un aspetto nodoso ed elaborato, risultato di una nebbia di «burocratese».

Parole chiave
In ogni caso, non si può dubitare che il linguaggio giochi un ruolo fondamentale nelle mission.
Esse sintetizzano in parole «finite» quello che i musei – organizzazioni complesse e difficili da dirigere – fanno nel loro lavoro quotidiano e nel lungo periodo.
Le parole più spesso citate nelle mission, dunque, dovrebbero essere rappresentative di come i musei «pensano se stessi».
L'identità collettiva dei musei si riflette nell'illustrazione di questo articolo. L'immagine è stata creata con un programma web chiamato Wordle e include le 77 parole usate più frequentemente nelle 60 mission analizzate. La dimensione della parola corrisponde alla frequenza del loro uso.
Per districare i modelli sottostanti, ho chiamato in aiuto Adam Levine, mago del computer e da poco dottore di ricerca in storia dell'arte alla Rhodes Scholarship di Oxford.
Abbiamo elaborato le 5.302 parole del testo. I cosiddetti  «vision statements» sono stati esclusi dall'elaborazione. Le parole «estranee» sono state rimosse e le diverse varianti della stessa parola recise alla radice (per esempio, arti è stata «ridotta» in arte), lasciando un totale di 562 parole.
Ecco, dunque, alcuni risultati sulla mentalità prevalente dei musei, secondo alcune parole chiave.
La più grande sorpresa ha a che fare con ciò che non è nella parte più alta della classifica.
Accanto alle parole menzionate in precedenza, solo due istituzioni citano termini quali consapevolezza, disegno, digitale, scoperta, documento, entusiasmo, film, multidisciplinarità, domanda e spirito.
Non più di tre istituzioni citano le parole «illuminare» e «originale». Così pure è sorprendente la retorica eclettica delle mission. Parole che descrivono funzioni fondamentali - raccogliere, educare, esibireconservare - emergono, come è comprensibile. Tuttavia, solo la parola «arte» appare più di 60 volte, cioè, almeno una volta in ognuna delle mission.
Nessun altra parola si avvicina a questo dato. Statisticamente parlando, i termini utilizzati hanno più probabilità di essere diversi piuttosto che analoghi.
Il frammentato paesaggio linguistico può riflettere un fragile consenso sugli scopi dei musei d'arte.

Autorità e apertura
Le cose si fanno più interessanti quando si propone un'analisi dei dati aggregati. L'incidenza relativamente bassa di parole come essenziale, eccellenza, eccezionale e straordinaria – termini trovati in appena il 5% degli statuti analizzati - implica un orrore per la propria percezione di «esclusività». La parola speciale ricorre una volta ogni dieci statuti.
I termini ideali, vitale, qualità, significato e l'espressione «allo stato dell'arte» sono nella parte più alta della classifica, ma tra i meno popolari.
Se la mission è un fenomeno tipicamente americano, esse non smentiscono gli atteggiamenti degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, i musei accolgono i visitatori in un abbraccio benevolmente democratico. Le loro mission sono corrispondentemente ripulite da intimazioni di gerarchia. Al contrario, i termini che comunicano trasparenza - ascoltocomunitàcoinvolgere, pubblicoaccoglienza – abbondano.
Allo stesso tempo, i musei sono desiderosi di rafforzare la loro autorità culturale. Nel descrivere i loro contributi, utilizzano verbi attivi come educarecreare e interpretare, che, per estensione, implicano un pubblico un po' passivo. Il museo dispensa conoscenza da un atteggiamento di superiore responsabilità pedagogica. Il pubblico è invitato a imparare, sperimentare e assorbire, ma non a determinare ciò che l’istituzione fa. Inoltre, gli statuti tendono a esprimere le agende dei singoli musei, non una «grande tenda» ideale. Ciascuna istituzione propone una sua versione del proprio valore distintivo. Parole raffiguranti il museo come un bene della comunità, la proverbiale piazza pubblica invocata in molti discorsi sulle istituzioni culturali - ambiente, sociale, accesso, centro, luogo, vita - spumeggiano in cima alla classifica. Ma la differenza tra le varie mission lascia ancora l'impressione che i musei, in quanto gruppo, non convergano chiaramente attorno ad un insieme condiviso di obiettivi.
Anziché consistenza, le mission offrono un banchetto di fraseologia simbolica.
Cosa faranno gli antropologi di domani di parole come «definire», per esempio - utilizzato nel suo uso aggettivale in cinque statuti - nella forma «la definizione del museo d’arte moderna»?
Saranno in grado di concludere che l'istituzione è riuscita a definire una forma di creatività? Che tipo di arte era, ci si potrebbe chiedere, che richiedeva tale definizione incessante? E come inquadreranno l'imperativo di definire e ridefinire con il risultato che le parole sperimentate e rivalutate appaiono come piccoli puntini sulla mappa cognitiva delle mission dei  musei? Solo il tempo potrà dircelo.

Il linguaggio confuso
I musei, oppure alcuni tipi di musei, hanno mission simili? Sì e no. Da un lato, la misura fa la differenza, talvolta. I musei più grandi, per bilanciare diversi collegi, tendono a scrivere statuti più lunghi (le 420 parole del MoMA sono seguite dalle 403 del National Gallery’s, e dalle 292 del Boston Museum of Fine Art). D’altra parte, non necessariamente mandati per collezioni e mostre più universali governano le più lunghe mission. Alcuni musei «encicolopedici» hanno mission piuttosto corte - il Detroit Institute of Arts (11), il Minneapolis Institute of Arts (23), e il Philadelphia Museum of Art (37).
Un modello che sembra essere trasversale alle varie categorie è la moda di utilizzare formule equivoche che stabiliscono obiettivi non tangibili e che prevengono responsabilità. I musei troppo spesso tentano, prendono parte, affidano. Varianti su questo tema abbondano: vantaggio, cercare, scopo, offrire, sostenere, affermare, messa a fuoco, onore, considerare, invitare, e così via.
Per la costernazione dei funzionari delle fondazioni e i funzionari governativi, in questo vocabolario c’è poco che si presti a risultati misurabili. La mancanza di specificità, infatti, può essere quella caratteristica che le mission hanno in comune. Una più generosa interpretazione potrebbe considerare che le mission riflettono la svolta filosofica nella quale i musei attualmente si ritrovano.
Non tanto tempo fa, nel 1999, il direttore di museo e studioso Stephen Weil, convinto sostenitore del «museo ospitabile», titolò efficacemente un saggio «Dall’essere su qualcosa all’essere per qualcuno: la trasformazione in corso dei musei americani». Osservava che «nei musei emergenti la reattività verso la comunità non deve essere intesa come una resa, ma, piuttosto – letteralmente - come un completamento».
Eppure, anche Weim sarebbe rimasto stupito nel trovare servire, pubblico e comunità fra le prime 20 parole nelle mission dei musei di oggi. Lentamente ma inesorabilmente, sembra che i musei stiano consegnando una certa autorità al loro pubblico. La retorica confusa, può mascherare questa transizione.
E' possibile che i musei stiano rinegoziando una definizione di se stessi, comportando valori assoluti e di eccellenza, per un verso, e per un altro sottolineando l'orientamento del pubblico, l'inclusione e l'interattività. Di che cosa si tratta? Un paesaggio fratturato, o un momento di transizione? A voi la decisione.

© Riproduzione riservata

da The Art Newspaper, edizione online 1 dicembre 2011, da Art Basel Miami Beach
Traduzione di Stefania Crobe