Se Università e territori discutono di produzione culturale
Da alcuni anni il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania organizza i “Colloqui scientifici”, occasione per i ricercatori di discipline diverse di facilitare una riflessione verticale su temi ritenuti cruciali per il contesto in cui gli atenei operano, scegliendo il metodo del confronto diretto con gli attori del territorio. Quest’anno uno dei focus ha riguardato il rapporto tra ricerca, istituzioni e patrimonio culturale: con molte domande e tante visioni sul capitale culturale prodotto dalle università in tal senso.
Catania, 26 e 27 ottobre 2017: il Monastero dei Benedettini, sede del Dipartimento universitario di Scienze Umanistiche (DISUM), ha ospitato anche quest’anno i Colloqui Scientifici, una “due giorni” intensa in cui i ricercatori hanno potuto confrontare idee e risultati del loro lavoro intellettuale con stakeholders e decisori del contesto di riferimento. Scienze umanistiche e sociali a confronto con imprenditori, formatori, mediatori culturali, giornalisti, associazioni culturali, direttori di enti culturali, dirigenti di soprintendenze, amministratori pubblici. Una attività intensa di «comunicazione sociale del lavoro intellettuale e della ricerca scientifica» – così come auspicava per il futuro di questo straordinario complesso architettonico lo storico Giuseppe Giarrizzo (che fu per trent’anni preside della Facoltà di Lettere) –, che nei Colloqui, grazie al loro carattere aperto e prospettico, si fa dialogo tra il mondo universitario e il resto del mondo.
Aperto dai saluti del Prorettore Giancarlo Magnano San Lio e del Direttore del DISUM Marina Paino, la prima giornata ha visto i protagonisti confrontarsi sui temi “Mediazione culturale e gestione dei conflitti” (moderati da Marco Mazzone Alessandro De Filippo, Rosaria Sardo, Sabina Fontana e Rossana Barcellona per il DISUM, hanno discusso con Cetty Mannino, Santino Lo Presti, Denise Zaksongo, Maria Lombardo e Anna Bencivinni) e “Umanistica digitale: la sfida dei saperi nell'epoca della comunicazione digitale” (moderati da Antonio Sichera Maria Rosa De Luca, Alberto Giovanni Biuso, Gabriella Alfieri e Davide Bennato per il DISUM hanno dialogato con Pierluigi Ledda, Alessandro Curioni, Thomas Krefeld e Daniele Virgillito). Nel secondo giorno, interamente moderato da Giacomo Pignataro (già Rettore dell’Università di Catania) la sessione pomeridiana ha riflettuto su “Il futuro della ricerca e della didattica universitaria” (con la partecipazione di Gaetano Manfredi, Presidente CRUI; Paolo Miccoli, Consiglio Direttivo ANVUR; Vania Virgili, Rappresentante nazionale per Horizon 2020 – SC6).
La sessione mattutina del secondo giorno dei Colloqui ha affrontato questioni assai ricorrenti per Il Giornale delle Fondazioni. Il 27 ottobre infatti ha visto alternarsi i panel “Patrimonio culturale, ricerca, istituzioni” e “Università, istituzioni locali, impresa culturale: quale collaborazione?”.
La questione proposta in apertura dei due panel ai relatori da parte del prof. Giacomo Pignataro come filo conduttore della riflessione è stata subito chiara, e di immediata sintesi: qual è il ruolo che le università possono ricoprire nei confronti delle dinamiche dei principali agglomerati umani, che sono le città? Più precisamente, in che maniera gli atenei possono contribuire al rafforzamento di tre elementi dirimenti per lo sviluppo delle società, ovvero lo scambio di informazioni, l’accumulazione di conoscenze e l’acquisizione di competenze? In che modo contribuire a quello “sguardo lungo” che sembra sempre più indispensabile per costruire futuri sostenibili?
Se le università producono capitale culturale, la questione non è solo come valorizzarlo (il sempre vivo tema della professionalizzazione e del placement), ma anche quali scelte fare in termini di indirizzo strategico. E tali scelte non possono prescindere da una completa considerazione sulla evoluzione delle nostre città, appunto.
Dal quadro delineato da Pignataro sono emerse tutte le tensioni attuali delle trasformazioni urbane: vere e proprie post-metropoli caratterizzate sempre più da flussi (di persone e di cose), con un rapporto nuovo con i territori, limitrofi ma non solo grazie a nuove infrastrutture di scala vasta. Veri e propri “network territoriali” che aumentano il valore sociale ed individuale del farne parte, estendendolo molto al di fuori della cosiddetta comunità cittadina, e includendo invece una assai ampia categoria di city users.
Citando un recente editoriale dell’Economist Pignataro ha ricordato però l’altra faccia della medaglia, quei divari definiti left behind che sono l’effetto diretto e connaturato dello sviluppo urbano, divari di persone e di territori: gentrificazione dei centri storici (ed anche di altre aree ritenute di valore), marginalizzazione ed esclusione sociale delle periferie, spopolamento delle cosiddette aree interne.
Ed anche inaridimento delle relazioni umane, povertà assolute, relative ed educative: una situazione che paradossalmente potrebbe essere prodotta da un sistema di welfare sociale minimo delle città, che sortisce il blocco della mobilità sociale, ingessando su livelli elementari di sopravvivenza chi ne usufruisce («Welfare makes capitalism less brutal for individuals, but it perpetuates the problems where they live»).
E allora, come contribuire ad un potenziale sviluppo sostenibile delle città? Con quali strumenti e con quali obiettivi? E, non meno importante, evitando quali scelte che invece possono concorrere alla polarizzazione sociale?
A tal proposito si diceva poc'anzi che le tre dimensioni indicate durante i panel come necessarie erano appunto quelle degli scambi di informazione tra le persone, della accumulazione di conoscenze e della acquisizione di competenze: tutt'e tre dimensioni che l’Università può e deve concorrere ad alimentare, quando si pone il compito di essere qualificato produttore di capitale culturale e sociale.
E per raggiungere questo obiettivo Pignataro ha suggerito che gli atenei debbano saper andare oltre il tema assai ricorrente della fruizione di beni, servizi e prodotti culturali, avviando anche una seria riflessione sul contributo scientifico alla produzione culturale, e quindi al settore industriale che ne è l’ecosistema di riferimento. E questo perché tale azione è prodromica alla creazione e al rafforzamento di una “atmosfera creativa” ad alta attrattività di talenti, necessaria affinché le tre dimensioni sopracitate trovino le adeguate condizioni per esistere e proliferare.
Ma, si badi bene, non si tratta di un facile invito alla riproposizione delle città creative e “rigenerate” teorizzate da Richard Florida, che lo stesso studioso statunitense ha poi riconsiderato come concausa di ulteriori forme di gentrificazione: a tal proposito Pignataro ha messo in guardia dalle politiche territoriali che scommettono ad esempio sui flussi turistici come elemento principale di rilancio economico urbano, e che invece spesso sortiscono l’effetto di produrre polarizzazione sociale, dualismi, conflitti e potenziali nuove marginalità.
Si tratta invece di una visione della produzione culturale come stimolo di un rinnovato ruolo dei cittadini nei confronti (e all’interno) della città: non in chiave di mero diletto, abbellimento o decoro urbano, ma di atteggiamento proattivo verso la sua complessità.
Per fare un esempio, è ciò che accadde pochi decenni or sono a Catania a proposito della sua produzione musicale: un atto molteplice e plurale di generazione di un patrimonio culturale immateriale assai diversificato, che denotò la capacità del tessuto creativo catanese di interpretare problemi, di rileggerli in chiave artistica, di attrarre ingegni, di consolidare comunità, di produrre economie.
Cosa ne è stato poi di quel tessuto? E ancora per stare nell’esempio e di nuovo a Catania, città ricca di patrimonio culturale materiale che ne costituisce testimonianza di civiltà ed al contempo strumento per leggere il futuro: come fare affinché esso possa diventare una opportunità per lo sviluppo di processi e prodotti innovativi per la sua fruizione sostenibile? Catania – Si è chiesto Pignataro – ha le precondizioni per diventare terreno fertile e laboratorio permanente per la sperimentazione e l’esportazione di tali innovazioni? E le politiche pubbliche, sono pronte per facilitare questo scenario?
In questa direzione Pignataro ha ricordato – citando Scott Hartley e il suo recente The Fuzzy and the Techie: Why the Liberal Arts Will Rule the Digital World – che l’innovazione tecnologica richiede non soltanto quelli che sono chiamati techie (i cosiddetti laureati STEM, Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma anche, e soprattutto, i fuzzie (letteralmente “sfocati”, con la testa tra le nuvole: gli umanisti o gli scienziati sociali). La tecnologia consente di affrontare problemi sempre più complessi, ma caratterizzati da una natura economica, sociale e soprattutto etica che dovrà essere affrontata con competenze tipiche del pensiero umanistico e sociale: una “sfida educativa” che tocca alle università coltivare, contribuire ad arricchire, stimolare e consegnare ai propri allievi. Una sfida che contempla anche la reputazione sociale che può connotare gli atenei, il loro ruolo, la loro credibilità scientifica e la loro utilità, ovvero la loro capacità di produrre benessere per le società di riferimento.
Sapranno far sì che la tecnologia diventi occasione di democratizzazione diffusa e terreno fertile di sviluppo sostenibile? E in che modo tale visione si potrà fare impresa culturale efficace, efficiente ed utile?
I relatori dei due panel seguenti hanno quindi articolato alcune riflessioni in risposta agli argomenti proposti dal keynote speaker Pignataro.
Per prima Patrizia Asproni (Presidente Museo Marini, Presidente Confcultura) ha proposto una considerazione sul tema del futuro, declinandolo al contesto museale: solo apparentemente in contraddizione, i musei invece non sono solo depositi del passato ma elementi indispensabili per la costruzione di ciò che verrà. E su questo asset che va costruita la loro visione.
A integrazione di tale ragionamento Salvatore Carrubba (Università di Milano - Presidente Piccolo teatro, Presidente della Fondazione Collegio Università Milanesi) ha proposto invece di concentrare le imminenti politiche pubbliche sulla democratizzazione dei consumi culturali, perché per rendere più comprensibile il futuro è necessario aumentare l’accesso per alla cultura, modificare la consapevolezza che si ha dei suoi luoghi. Secondo Carrubba sarà necessario che le università forniscano sempre più competenze multidisciplinari: non tanto opportunità formative per far nascere nuovi creativi ma opportunità per i nuovi creativi affinché essi diventino imprenditori culturali. Tutto con una forte regia pubblica, che miri a creare società più coese e solidali, non rendite di posizione: affinché i paesi vengano valutati sulla base del soft power generato, cultura inclusa. Non conti più la quantità di patrimonio culturale, ma la sua capacità di concorrere a un futuro accessibile e inclusivo per nuovi pubblici, anche difficili.
A seguito di queste sollecitazioni Gaetano Lalomia del DISUM ha stimolato al confronto Alessandra Cilio (Passage to Sicily), Lorenzo Daniele (Fine Arts Produzioni S.R.L.) e Alessia Ferrara (Aditus in rupe): ne è emerso un quadro di attivismo imprenditivo dei laureati dell’ateneo che alternano iniziative volte a migliorare l’accoglienza turistica secondo standard di qualità culturale, produzioni innovative connesse al patrimonio e associazionismo civico che si fa portatore di competenze scientifiche e di restituzione alle comunità di riferimento.
Nel secondo panel in forma di tavola rotonda, Maria Rosa De Luca (DISUM) ha ricordato che la cosiddetta Terza Missione delle università – ventaglio di azioni sempre più codificate dal MIUR e dall’ANVUR per progettare e valutare gli impatti degli atenei sul benessere delle persone e delle comunità – richiede una governance globale, spesso difficile per le singole organizzazioni universitarie concentrate su ricerca e didattica (e prive di sostegno economico dedicato nei Fondi di Finanziamento Ordinario, NdR): emergono così iniziative prevalentemente personali dei docenti e ancora rapporti tutti da costruire con il sistema delle PMI del territorio.
Giuseppe Spoto (Dipartimento di Chimica) ha illustrato quali possano essere gli impatti del patrimonio culturale e della ricerca scientifica, illustrando una possibile “catena del valore” composta da gestione, ricerca, conservazione, offerta pubblica, e sviluppo industriale e commerciale delle attività e dei servizi: ciò che accade al Louvre con la ricerca applicata ai musei potrebbe essere un modello per costruire una filiera per il patrimonio culturale delle città come Catania.
Ilde Rizzo (Dipartimento di Economia e Impresa) ha ricordato l’esperienza catanese del Master universitario in Economia e Management dei Beni Culturali, a proposito di multidisciplinarietà e competenze per il settore culturale e creativo. Settore che è strategico per l’UE, tanto da essere uno degli assi del Piano Juncker, secondo la logica condivisibile che vede le attività culturali non solo in quanto generatrici di fatturato, ma soprattutto quale terreno fertile per la produzione creativa e per nuovi contenuti culturali che sappiano essere anche innovativi.
Laura Maniscalco (Responsabile sezione archeologica della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali) ha illustrato l’intenso lavoro delle soprintendenze regionali, sottolineato come ancora i dirigenti pubblici regionali spesso non vengano adeguatamente messi in condizioni di operare, rischiando vere e proprie crisi di identità (per l’ISTAT il direttore di un parco archeologico è equiparabile a quello di una Sala Bingo).
Daniele Malfitana (Direttore IBAM CNR) ha ricordato che proprio il limitrofo palazzo Ingrassia, sede del suo Istituto, del Museo Universitario di Archeologia e dei corsi di laurea in archeologia rappresenta un significativo esperimento di spazio multifunzionale dove la ricerca e la didattica si integrano con la fruizione progettata da una impresa culturale qual è Officine Culturali, che si occupa – in un’ottica di Terza Missione e in collaborazione con l’Ateneo – dell'accessibilità culturale di diversi siti, Monastero in testa.
Malfitana ha anche citato la recente esperienza dell’IBAM all’anfiteatro romano catanese, test che ha chiuso uno sperimentale triangolo tra didattica, ricerca e impresa, a dimostrazione di quanto sia necessario dare maggiore peso proprio alla Terza Missione.
In conclusione Enzo Bianco (Sindaco di Catania), ha concluso la mattinata di lavori ricordando che è preciso dovere delle città e di tutti i suoi attori principali quello di reagire all’ondata di egoismi che ha pervaso l’Europa, pensando a città più accoglienti e orientate alla erogazione di servizi culturali.
I Colloqui hanno così delineato un interessante terreno di riflessione, smarcando il dibattito da facili conclusioni su temi quali il futuro delle città, il ruolo sociale della produzione, fruizione e partecipazione culturale, le ricadute del settore culturale e creativo, la rilevanza della Terza Missione degli atenei. Proprio a questi ultimi toccherà cogliere l’opportunità fornita da tali dibattiti, per spostare in avanti l’asticella delle scelte strategiche per il prossimo futuro.
Fondazioni universitarie e associazioni collegate all’Università di Catania [lista in aggiornamento]
CUTGANA: centro di ricerca multidisciplinare dell'Università degli Studi di Catania, che promuove, coordina e realizza, anche in collaborazione con i dipartimenti dell'ateneo e con altre istituzioni scientifiche nazionali e internazionali ed enti pubblici e privati, ricerche e studi in materia di tutela, gestione e valorizzazione delle risorse ambientali e degli ecosistemi naturali e agrari.
Fondazione Bellini: La Fondazione e il Centro di Documentazione per gli Studi Belliniani sono stati costituiti con lo scopo di valorizzare la figura e l’opera di Vincenzo Bellini nell’àmbito della storia, della cultura e della scienza musicologica italiana e internazionale.
Fondazione Verga: centro nazionale di studi sul Verga e il Verismo.
Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale: è un'istituzione culturale il cui fine è la promozione degli studi storici, filologici e archeologici sul territorio.
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