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  • Pubblicato il: 15/06/2018 - 13:02
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Giorgio Righetti
Se nel XXIV Congresso Nazionale Acri, a Parma lo scorso 7 e 8 giugno, il Presidente Giuseppe Guzzetti, padre nobile delle Fondazioni di origine bancaria, giunto quasi al termine di mandato ne ha tracciato il percorso evolutivo nei 25 anni di storia sul filo conduttore  “Identità e cambiamento”,  il Direttore Generale Giorgio Righetti ha sottolineato i limiti macroscopici della “tendenza a far coincidere l’identità delle Fondazioni con l’attività erogativa (che) è, a mio avviso, alquanto bizzarra”. Certo, le risorse erogate dalle Fondazioni di origine bancaria nei 21 settori individuati dalla legge Ciampi sono imponenti: dal 2000 ad oggi ammontano a oltre 21 miliardi di euro. Ma, con l’evoluzione di strategie e competenze, le Fondazioni oggi rivendicano il riconoscimento del loro ruolo da “enti erogatori” a “enti attivatori di capitale sociale e umano”.

Proponiamo alcuni passaggi del suo intervento in apertura di una tavola rotonda, articolata per aree tematiche (contrasto alla povertà educativa minorile, nuove realtà urbane, innovazione e sviluppo), che ha coinvolto figure centrali nel dibattito[1] di trasformazione di “attività in programmi organici (…) nella visione di una società in cui si offrano opportunità a tutti i giovani (…), intervenendo con maggior impegno là dove questa capacità di coglierle è più fragile e svantaggiata.  Una società in cui i luoghi del vivere possano essere accoglienti, sicuri e capaci di favorire la socialità. Luoghi del vivere inclusivi e non escludenti, in cui la bellezza rappresenti la cifra che guida e informa l’azione di tutti coloro che i luoghi costruiscono e abitano.  Infine, una società in cui l’innovazione sia il principale fattore di sviluppo, ma i cui processi siano sapientemente guidati al fine di contenere gli effetti collaterali che l’innovazione inevitabilmente genera nel suo processo di “distruzione creatrice” e, soprattutto, che abbiano sempre ed esclusivamente al centro l’uomo”.


 
Spesso, nel definire le Fondazioni, si pone enfasi sul ruolo di soggetti erogatori. Anzi, le si definisce proprio enti di erogazione. Questo infatti è il tratto più noto delle Fondazioni.
 
In effetti, sulle erogazioni sappiamo molto. Dal 2000 sono circa 21 i miliardi di euro di risorse erogate dalle Fondazioni di origine bancaria per sostenere centinaia di migliaia di iniziative nei 21 settori di intervento che la cosiddetta Legge Ciampi ha individuato. Nel 2017, le erogazioni sono state pari a circa 1 miliardo di euro, in linea con l’anno precedente e probabilmente cresceranno nel 2018, visto che l’avanzo di esercizio 2017 che le alimenterà ha registrato uno straordinario incremento di oltre l’80% rispetto all’anno precedente.
 
La tendenza a far coincidere l’identità delle Fondazioni con l’attività erogativa è, a mio avviso, alquanto bizzarra e contiene almeno due limiti macroscopici. Il primo è che questa visione trasforma un mezzo in un fine. Le  risorse erogative, non sono un fine, sono uno strumento attraverso il quale le Fondazioni perseguono i propri obiettivi di missione che sono, come indicato dalla Legge Ciampi, quelli di perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e promozione dello sviluppo economico.
 
Il secondo limite è che fa implicitamente intendere che le erogazioni siano l’unica leva a disposizione delle Fondazioni (…). Se l’erogazione poteva in effetti essere considerata, in una primissima fase della loro storia, l’unica leva a disposizione, in un processo di graduale presa di coscienza, le Fondazioni si siano rese conto che “l’armamentario” a loro disposizione per perseguire i propri scopi istituzionali, è quantitativamente e qualitativamente più ampio. Ritengo cioè, che le Fondazioni abbiano in qualche modo intrapreso quel processo evolutivo che il filosofo russo Ouspensky nel libro “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” così sintetizza: “L’evoluzione può essere necessaria soltanto a colui che si renda conto della sua situazione e della possibilità di cambiarla, e si renda conto che ha dei poteri che non usa e
delle ricchezze che non vede
”.
 
In altri termini, le Fondazioni hanno avvertito l’esigenza, la vera e propria necessità, di una evoluzione perché si sono rese conto che possedevano poteri che non usavano e ricchezze che non vedevano. E questa evoluzione le sta trasformando, agli occhi esterni e ai loro stessi occhi, da “enti erogatori” a “enti attivatori di capitale sociale e umano”.
 
Quali sono questi ulteriori poteri che non usano e ricchezze che non vedono, alla Ouspensky?
Almeno due, uno più intuitivo, l’altro un po’ meno.
 
Il primo, “la ricchezza che non vedono”, è l’impiego del patrimonio in investimenti correlati alla missione (…), investimenti che consentono di perseguire l’obiettivo di produrre rendimenti che vanno ad alimentare l’attività erogativa, perseguendo contestualmente anche l’obiettivo di missione. E lo si persegue in maniera peraltro, ove se ne verifichino le condizioni, più efficace. Infatti l’investimento ha un orizzonte di riferimento molto più ampio rispetto all’erogazione e può consentire di creare più concretamente le condizioni di sostenibilità degli interventi, cosa che rappresenta un obiettivo sempre presente nelle strategie delle Fondazioni, ma spesso una chimera se si utilizzano solo le erogazioni. Sulla base delle rilevazioni effettuate da Acri, l’ammontare complessivo di investimenti che presentano le caratteristiche di correlazione agli obiettivi di missione delle Fondazioni sono pari a circa 4,6 miliardi di euro e rappresentano circa l’11,5% del patrimonio.
 
Il secondo, il “potere che non usano”, è l’esercizio del proprio ruolo istituzionale quale leva di intervento. Nel corso dei venticinque anni seguiti alla loro nascita le Fondazioni, con un processo di graduale accreditamento nei territori e nel Paese, alla luce delle iniziative realizzate e dei risultati conseguiti, hanno assunto un ruolo sempre più determinante, divenendo importanti punti di riferimento per orientare i percorsi di crescita delle comunità locali. Vi sono tre cause principali alla base di questo processo di accreditamento.
In primo luogo vi è il fatto che le Fondazioni, nell’essere parte integrante dei territori, sono capaci di captarne i bisogni, comprenderne le esigenze, identificare le priorità di intervento. Sono antenne sul territorio, grazie alla loro capacità di dialogo con gli attori, pubblici e privati, che hanno a cuore la crescita delle comunità secondo i valori della solidarietà e del bene comune.
In secondo luogo, sono enti catalizzatori, enti cioè in grado di chiamare attorno al tavolo tutti coloro che, su specifiche problematiche, hanno esperienze e competenze e soprattutto, hanno a cuore la soluzione dei problemi. Grazie alla loro autorevolezza e alla loro neutralità, sono in grado di svolgere questo ruolo di coordinamento e di chiamata alla responsabilità.
In terzo luogo, sono propulsori di innovazione, sono soggetti cioè in grado di stimolare direttamente o attraverso la partnership con i tanti soggetti operanti sul territorio, processi di innovazione in campo sociale, culturale e formativo, di cui beneficiano i cittadini e che rappresentano punti di riferimento cui si ispirano frequentemente anche le politiche pubbliche locali.
 
Questo ruolo Istituzionale (…), rappresenta e forse sempre più rappresenterà, una leva fondamentale, non tanto a causa della riduzione delle risorse a disposizione sia pubbliche che private, ma soprattutto perché una azione corale e concertata con le tante realtà pubbliche e private, profit e non profit presenti sul territorio, mette a fattor comune competenze, esperienze e risorse, conferendo agli interventi più efficacia e efficienza operativa.
 
Pertanto, avere piena consapevolezza degli strumenti a disposizione, nonché una loro sapiente ed equilibrata dosatura, consente alle Fondazioni di intraprendere percorsi innovativi, efficaci e di ampia portata. D’altra parte, se fosse mancata questa chiara presa di coscienza sulle proprie potenzialità, programmi di ampio respiro e di ampia portata quali l’Housing Sociale, la Fondazione con il Sud e, più recentemente, il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, non sarebbero stati sicuramente possibili.
 
Giorgio Righetti, Direttore Generale Acri
Estratto dell’intervento al XXIV Congresso nazionale delle Fondazioni di origine bancaria. Parma 7-8 giugno 2018
 
 

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[1] tra gli altri intervenuti alle tre tavole rotonde tematiche, Mauro Magatti, docente di Sociologia, Università Cattolica; Carlo Borgomeo, Presidente della Fondazione Con il Sud (per le povertà educative minorili); Stefano Boeri, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano (per le nuove realtà urbane); Fabio Gallia, AD della Cassa Depositi e Prestiti; Francesco Profumo, Presidente di Compagnia di S. Paolo (per innovazione e sviluppo).