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MOMA: quando i musei «conservano» il futuro e promuovono innovazione

  • Pubblicato il: 18/04/2014 - 11:24
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Articolo a cura di: 
Elena Lombardo

Milano. Parlando del valore della cultura e del suo rapporto con la creatività, l’innovazione e lo sviluppo socio-economico è facile inciampare nelle consuete retoriche. Affrontare il tema dell’importanza della cultura è oggi più che mai una sfida all’originalità e alla concretezza dei contenuti.
Gli standard si sono ulteriormente alzati dopo l’intervento «Design e Musei del futuro» di Paola Antonelli, Senior Curator del dipartimento di Architettura e Design del MOMA, invitata da Meet The Media Guru a Palazzo Reale in piena Design Week milanese. (non perdere il video www.meetthemediaguru.org/rivedi-lincontro-con-paola-antonelli )
Accolta nella splendida cornice della Sala delle Otto Colonne, sullo stesso piano che ospita in questi giorni le mostre dedicate a due grandi “milanesi” Piero Manzoni e Bernardino Luini, Paola Antonelli ci ha raccontato con il suo incontenibile entusiasmo perché l’arte, la cultura e nel suo caso il design sono importanti per il nostro futuro.
L’incipit: senza cultura e senza design non solo non esiste progresso, ma pensando al «museo del futuro» si deve riflettere su come queste istituzioni, dai più ritenute ambienti sacri di conservazione del passato, siano realmente capaci di promuovere il cambiamento.
La scelta di aprire al MOMA un dipartimento interamente dedicato alla ricerca e sviluppo, del quale Paola Antonelli è direttore, nasce proprio dall’esigenza di rispettare la vocazione innovativa di questa istituzione.
Inaugurato nel 1929, a pochi giorni dal crollo di Wall street, il MOMA è il progetto rivoluzionario di tre «daring ladies» che stanche delle collezioni di arte antica dei mariti e convinte della necessità di dare spazio all’arte moderna e all’avanguardia, affidarono ad un giovanissimo Alfred Hamilton Barr Jr la direzione del nuovo museo. A soli ventisette anni, Barr spalanca le porte all’arte del suo tempo, legittimando la fotografia, il cinema e il design fino a quel momento esiliate dai luoghi di conservazione ed esposizione. Siamo in un momento storico nel quale pensare alla cultura come motore di cambiamento sociale era ben lungi da essere mera retorica.
Memori del passato, è necessario pensare al design e alla cultura tutta come momento di sperimentazione. Il design riflette da sempre su possibili e plausibili futuri, avvicinando le grandi scoperte scientifiche alla gente: dalle interfacce dei nostri smart device agli utensili più o meno sofisticati che ritroviamo nelle nostre case.
«Il design va oltre l’oggetto» spiega Paola Antonelli, e «oggi più che mai non riguarda l’idea di possesso ma la spinta alla condivisione» che dalla sharing economy in poi coinvolge tutti gli aspetti sociali.
Ripercorrendo la storia della @ che da abbreviazione latina di AD usata dai monaci amanuensi è arrivata sulle nostre tastiere, Paola Antonelli racconta come il design stesso si è trasformato, passando dalla staticità «problem solving-affirmative-answers provider» al design critico e aperto che trova i problemi e pone domande.
Un modello open source che deve essere adottato nei paradigmi futuri del museo, in una prospettiva di creatività diffusa nella quale le istituzioni culturali non si limitano a offrire arte, ma s’impegnano a sostenerne la produzione e la riflessione critica.
Solo così nascono gli splendidi progetti di design organico dell’israeliana Neri Oxman che studia le cortecce di alberi nordici per indagare come la natura risponde all’assenza di luce e, attraverso la tecnologia, riproduce materiali che vanno oltre la natura stessa. O gli arti artificiali di Sophie De Oliveira Barata, che con il suo Alternative limb project disegna e costruisce vere e proprie opere d’arte per i suoi clienti.
Il design riguarda infiniti ambiti: l’interazione, la visualizzazione, riguarda persino la politica, spiega Paola Antonelli. Million dollar blocks di Laura Kurgan permette di visualizzare in una mappa le statistiche relative ai costi del sistema di giustizia penale statunitense sostenuti dai quartieri ad alto tasso di criminalità di cinque della maggiori città americane.
Nell’ambito di un più ampio progetto di ricerca e sviluppo dedicato alla «Graphical Innovation in Justice Mapping», l’obiettivo è di tradurre informazioni complesse e grandi quantità di dati in mappe facilmente comprensibili che, come nel caso di Laura Kurgan, sono in grado di portare all’attenzione del pubblico temi che difficilmente potrebbero essere affrontati in tutta la loro originale complessità.
Il potere dell’immagine visiva può acquistare un potere politico, ma anche estetico, come nella Wind Map di Fernanda B. Viégas e Martin Wattenberg: un progetto di visual design che traccia live le traiettorie dei venti degli Stati Uniti. Una mappa sulla quale quest’antica energia prende finalmente forma attraverso delicati intrecci.
Ma design è anche superare se stessi, partecipare allo sforzo collettivo per l’ideazione di progetti open source come The Eyewriter (2009), un software per la scrittura tramite pupilla altamente sofisticato che, oltre ad essere da quel momento disponibile sul mercato a prezzi contenuti, ha permesso a un giovane writer, costretto alla paralisi da una malattia degenerativa, di poter di nuovo fare i suoi graffiti.
L’elenco è infinto, perché il design, aggiunge Paola Antonelli «riflette su tutte le questioni dell’umanità»: sull’inciviltà della guerra, come nel progetto «anti mine» Mine Kafon di Massoud Hassan; sull’apparentemente stravagante rapporto tra tecnologia e religione di Prayer Companion; sul superamento delle barriere di genere come nel progetto Menstruation Machine di Sputniko!
O ancora su altri importanti temi come il rapporto tra design e violenza, al quale il MOMA ha riservato un’intera sezione on line con spazi interamente dedicati al dibattito.
Il Design e l’arte, nella loro dimensione più provocatoria, spingono il museo ad aprirsi allo scambio e al dialogo attraverso la partecipazione attiva del «pubblico».
Perché ricerca e sviluppo al MOMA non solo si fa dentro e fuori il museo, ma anche (e soprattutto) grazie al loro contributo. Senza pubblico, evidenzia Paola Antonelli: «non esiste curatela, ne confronto critico», per questo i musei del futuro devono ripartire proprio da lì.
Per il «sistema cultura» è fondamentale espandersi e intrecciarsi con il «sistema mondo». Uscire sì dagli spazi consueti, ma anche dare accesso ai luoghi dedicati alla creazione di contenuti e valore. Per ritornare alla nostra @, le istituzioni culturali devono sapersi connettere alle altre parti sociali, intessendo nuove relazioni che si nutrono di un patrimonio culturale condiviso e in continua espansione.

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