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Litigi e contese di Stato per Klimt

  • Pubblicato il: 16/01/2014 - 23:17
Autore/i: 
Rubrica: 
DAL MONDO
Articolo a cura di: 
Flavia Foradini
Il Fregio di Beethoven nel padiglione della Secessione Viennese con l’intervento

Vienna. Anthony Stephen Felsovany lottava da anni per la restituzione dello splendido ritratto di sua madre, Gertrude Löw, firmato da Gustav Klimt nel 1902: ma il 7 ottobre scorso è morto all’età di 98 anni in California, senza riuscire a riottenerlo. Quel quadro era ed è tuttora parte di una piccola ma preziosa collezione di opere del fondatore della Secessione viennese. L’aveva creata uno dei suoi figli naturali,Gustav Ucicky, che venerava il padre e per questo aveva cercato di acquisirne tele e disegni. Divenuto regista di spiccata fede nazista, Gustav junior aveva potuto utilizzare canali privilegiati, oggi considerati poco trasparenti o addirittura scorretti. Come nel caso di«Wasserschlangen II» che l’estate scorsa è stato immesso sul mercato dell’arte e venduto per 120 milioni di dollari dopo un accordo con gli eredi di Jenny Steiner, la collezionista che aveva comprato l’opera dallo stesso Klimt nel 1911.
A decidere la vendita del dipinto non è stato Ucicky, morto nel 1961, bensì la moglie Ursula. Oggi novantenne, la donna aveva sempre gelosamente custodito la collezione del marito nella sua dimora viennese. A inizio autunno, però, ha deciso di far confluire le 14 opere in una fondazione apposita, la Klimt Foundation. Nulla di strano, se non fosse che ad aiutarla nell’impresa e a divenirne gli attori principali sono stati funzionari del Leopold Museum: il direttore amministrativo Peter Weinhäupl, l’archivista Sandra Tretter, nonché un avvocato del Leopold, Andreas Nödl. Un’operazione che, una volta trapelata, ha mandato in subbuglio il mondo dell’arte della capitale austriaca, perché portata avanti all’oscuro del soprintendente del Museo Leopold, nonché riconosciuto esperto di Klimt, Tobias Natter, oltre che del Belvedere, che dal 1961 ha già in comodato un’altra opera della collezione Ucicky, «Die Braut», e da sempre occhieggiava con quella raccolta.
Dichiarando la propria estraneità all’operazione e accusando i propri sottoposti di «servire due padroni» ed essere quindi in conflitto di interessi, Natter ha perciò presentato le proprie dimissioni, accettate dal Consiglio di amministrazione dell’istituzione dentro il Museumsquartier.
Alla domanda sul perché di quell’azione carbonara, Weinhäupl, tuttora direttore amministrativo del Leopold Museum, ha dichiarato laconicamente: «So che il fatto che ho informato tardi la direzione è un problema, ma per me era importante creare questa fondazione». Corroborato da robuste lodi di eminenti esperti del mondo museale viennese, in primis il direttore dell’Albertina, Klaus Albrecht Schröder, Natter non è tornato sui propri passi, confermando lo strappo e dando vento anche alle vele della comunità ebraica di Vienna che, intravedendo nuove ombre sull’istituzione museale, a gran voce ha chiesto l’azzeramento del Leopold.
Un terremoto che nel suo movimento tellurico è stato potenziato anche dalla recente richiesta di restituzione del Fregio di Beethoven, un caposaldo della produzione di Gustav Klimt, in forza al Belvedere ma custodito e aperto al pubblico nel sotterraneo dell’edificio dellaSecessione Viennese, dove fu collocato nel 1902. La complessa genesi della nuova richiesta della famiglia Lederer, che lo acquistò nel 1915 e lo vendette allo Stato austriaco nel 1973 per un prezzo (ora a sua detta) irrisorio, è un ulteriore esempio paradigmatico della complessa questione restituzioni. Fra i Lederer, un tempo collezionisti di punta di Klimt, e lo Stato austriaco è iniziata infatti una guerra di carte e mediatica che, grazie agli emendamenti alla legge austriaca del 1998, potrebbe rendere necessaria la riconsegna agli eredi dell’opera lunga 34 metri, dedicata a Beethoven: sia lettere di Erich Lederer, che proverebbero la svendita dell’opera a causa del protrarsi del divieto di esportazione, sia dichiarazioni della vedova diRudolf Leopold, che negli anni ’70 fu chiamato a stimare il controvalore da versare a Lederer, 15 milioni di scellini. Secondo Elisabeth Leopold, all’epoca di quella trattativa, il Fregio sarebbe stato in condizioni «pietose» e Lederer avrebbe detto a Leopold di essere soddisfatto della somma poi ricevuta. Rimane il fatto che l’estate scorsa «Wasserschlangen II» ha avuto la necessaria autorizzazione all’esportazione.

da Il Giornale dell'Arte numero 338, gennaio 2014