Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Le sfide dell’approccio partecipativo. I musei sono realmente interessati a mettersi in gioco profondamente?

  • Pubblicato il: 16/12/2011 - 10:35
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Alessandro Bollo
Nina Simon

Con sempre maggiore frequenza e interesse - anche grazie al successo mediatico ottenuto dal libro-manifesto «The Participatory Museum» di Nina Simon, direttrice del Museum of Art & History in Santa Cruz – si sente parlare, soprattutto in contesti museali non italiani, di approccio partecipativo.
Il museo partecipativo è orientato a un coinvolgimento attivo e intelligente della comunità e dei visitatori per renderlo luogo maggiormente dinamico, stimolante, interattivo, rilevante e aperto ad un gruppo di persone che sia il più ampio e differenziato possibile.
La formula asseconda, stimola, coltiva, negozia e adopera – con gradi d’intensità diversi - il potenziale creativo ed espressivo e l’intelligenza collettiva del suo pubblico. Tale potenziale viene generalmente utilizzato e valorizzato nella co-ideazione e nella co-progettazione di attività espositive e didattiche, di dispositivi di comunicazione e di mediazione, di momenti salienti della vita del museo stesso. L’approccio partecipativo fa ampio ricorso agli strumenti della nuova cultura digitale e dei media sociali.
Le novità dell’approccio risiedono nella multi-direzionalità dei messaggi che si generano tra il museo e i suoi pubblici, nell’importanza dell’ascolto e della relazione, nel valore del coinvolgimento attivo. Il museo diventa una piattaforma entro cui e a partire da cui le persone sono invitate a realizzare attività e significati collettivi. Esistono diverse sfumature e molteplici gradi di intensità nel processo di partecipazione: da operazioni di «crowdsourcing» in cui la creatività collettiva viene utilizzata per migliorare la comunicazione e la mediazione, per riclassificare e risemantizzare «dal basso» i contenuti delle collezioni (attraverso il «tagging» e la «folksnomy»), per arrivare a processi più radicali di coinvolgimento dei visitatori come veri proprio curatori di mostre e percorsi allestitivi.
Esemplari, a tale proposito, il progetto «It’s time we met!» del Metropolitan e la realizzazione dell’iniziativa promossa dal Victoria & Albert Museum, «Wedding fashion». Nel primo caso, alcune, tra le centinaia di fotografie realizzate dai visitatori all’interno del museo e pubblicate per motivi personali e con intenti amatoriali su Flickr, sono diventate la «parte visiva» della campagna pubblicitaria ufficiale lanciata in grande stile nel 2009. Nel caso del progetto «Wedding fashion», il V&A Museum ha invitato gli utenti a contribuire alla realizzazione di un database di immagini di matrimoni che vengono uplodati sul sito, con l’intento di realizzare una mostra temporanea dedicata ai vestiti da sposa prevista per il 2013. Durante la mostra «Graffiti» realizzata dal Brooklyn Museum nel 2006, i visitatori furono invece invitati a realizzare sia dei graffiti virtuali utilizzando un’apposita applicazione online, sia dei disegni reali all’interno del museo inspirati al tema dei graffiti e i migliori lavori (reali e virtuali) sono entrate a far parte della mostra e della sezione fotografica di Flickr, che tutt’ora testimonia del processo e dei suoi sorprendenti risultati in termini di persone coinvolte e di risultati artistici ottenuti.
In Italia esperienze significative, ancorché pionieristiche, vengono condotte, tra le altre, da istituzioni come Palazzo Madama a Torino, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia «Leonardo da Vinci» a Milano, il Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna e il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo.
L’approccio partecipativo non è, evidentemente, una novità nella storia più o meno recente dei musei - penso in particolar modo alla nouvelle muséologie e alla genesi dei musei comunitari e degli ecomusei in Francia nel corso degli anni ’60 o all’esperienza dell’Anacostia Neighborhood Museum di Washington come prototipo del «museo di quartiere» che superava le tradizionali funzioni della conservazione, dello studio e dell’esposizione delle opere, per ripensare «uno spazio privo di collezione ma animato dal dialogo costante con la comunità, coinvolta a pieno titolo nelle attività espositive e didattiche» (John Kinard).
A distanza di quasi quarant’anni il tema della partecipazione nel museo ritorna prepotentemente d’attualità in una situazione complessiva, interna ed esterna al mondo delle istituzioni culturali, che, tuttavia, è radicalmente mutata. Dal punto di vista socio-economico, il mainstream della «consumer culture» viene problematicizzato e messo in discussione da forme nuove ed emergenti di culture partecipative caratterizzate da barriere all’espressione artistica e al coinvolgimento civico relativamente basse in cui, secondo Henry Jenkins, «non tutti devono contribuire, ma in cui tutti credono di essere liberi di contribuire e confidano che il loro contributo verrà preso in considerazione». Internet e i social media hanno agito da deflagratori e catalizzatori di questo processo rendendo i comportamenti partecipativi sempre più trasversali, pervasivi e difficilmente reversibili. L’impatto sul mondo dei musei è, per certi versi, ancora più complesso a causa dei livelli molteplici di interazione, scambio e potenziale conflittualità tra l’esperienza digitale e quella in situ.
La progettazione di un approccio partecipativo nel museo non potrà non prescindere dall’affrontare alcuni nodi problematici: il rapporto tra la dimensione digitale e lo spazio fisico, la perdita di controllo (e di potere) sui contenuti, il rapporto con le collezioni, le implicazioni sul modus operandi complessivo.
La gestione dovrà prestare molta attenzione a generare una tensione virtuosa e complementare tra la dimensione digitale e lo spazio fisico del museo. Finalmente ci si va convincendo che la presenza digitale del museo non entra in «concorrenza sleale» con l’esperienza fisica e reale; una buona identità digitale consente semmai di rendere più intense e dense le esperienze di visita. Internet dovrà servire sia in fase di «avvicinamento» e di preparazione alla visita sia in una fase successiva per approfondire contenuti e appagare curiosità che non potevano essere soddisfatti nel «qui» e «ora» della fruizione.
La logica partecipativa contemporanea non esclude la centralità della collezione, ma, al contrario, parte dalla della collezione e dai valori identitari tangibili e intangibili del museo stesso. La collezione deve rappresentare il motore di senso da cui si svilupperanno percorsi di significato individuali e collettivi che reclameranno spazi (più o meno controllabili) di protagonismo «alla pari» obbligando le istituzioni a irrituali concessioni nel processo di governo e di controllo dei contenuti.
Da un punto di vista organizzativo e gestionale l’approccio apre a direzioni gravide di implicazioni su questioni centrali nella definizione dell’identità e del senso del museo contemporaneo, quali l’autorialità e il controllo del processo di produzione, organizzazione e accesso alla conoscenza, l’apertura e il confronto, anche critico, con il pubblico. Richiede, inoltre, il coinvolgimento di tutto lo staff (dalla direzione alla front-line), non solo di coloro che si occupano di attività educative, di comunicazione, di rapporti con il visitatore. I musei sono realmente interessati a mettersi in gioco cosi profondamente?

Esiste, infine, una relazione molto stretta tra partecipazione e cittadinanza. L’approccio partecipativo è, implicitamente, un esercizio di cittadinanza attiva, è capacitazione di risorse e competenze individuali, è rafforzamento di capitale culturale, sociale e creativo del territorio. Fintan O’Toole giustamente osserva che «la partecipazione è qualcosa che deve essere vista come un sistema complessivo di comportamenti. In altre parole, non esiste un significato semplice e unico secondo il quale le persone partecipano alla vita culturale e politica, ma piuttosto esiste un istinto e una capacità di partecipazione. Se una persona partecipa ad una forma di attività umana – ad esempio di natura culturale - aumenta la probabilità che quella persona abbia le capacità di partecipare in altre forme. Quindi la partecipazione culturale è strettamente collegata con la cittadinanza, al senso stesso della cittadinanza».
I musei hanno una straordinaria opportunità per candidarsi a diventare i luoghi in cui si sperimentano nuove strade per riabilitare quell’istinto collettivo alla partecipazione, per troppo tempo sopito. Mai come ora se ne sente il bisogno.

© Riproduzione riservata

Alessandro Bollo è Fondatore Promotore della Fondazione Fitzcarraldo di cui è responsabile della Ricerca e Consulenza, docente al Politecnico di Torino e in diversi corsi e master sui temi del marketing della cultura e dell'innovazione in ambito culturale. Consulente per diverse istituzioni ed enti a livello internazionale e nazionale, sta completando per l'UNESCO il «Global Handbook for measuring the cultural participation».