Le competenze delle amministrazioni e le sfide della valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico
SPECIALE VALORIZZAZIONE DEGLI IMMOBILI PUBBLICI E SVILUPPO TERRITORIALE. Il Commento di Tommaso Dal Bosco, Responsabile Area sviluppo urbano e territoriale dell’IFEL Istituto per la Finanza e l'Economia Locale - Fondazione ANCI, al volume Strategie e strumenti per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico
Come altre «cose italiane», il dibattito sulla valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, soffre dei problemi e delle tensioni di un latente conflitto generazionale. La storia del patrimonio immobiliare pubblico ha attraversato in Italia tre grandi fasi.
Nella prima si è espanso: una qualsiasi amministrazione pubblica poteva semplicemente programmare un’opera pubblica necessaria (scuole, centri civici, biblioteche, …) e indebitarsi per realizzarla. In questa stagione, intermediari di risorse pubbliche - di solito politici locali collegati con i centri di potere sovraordinati – hanno alimentato finanziamenti straordinari (a fondo perduto o a debito, poco importava) generando costi di mantenimento che sono stati largamente sottovalutati.
Nella seconda è stato finanziarizzato. Per far fronte alla grave crisi finanziaria del Paese, è sembrato che si potesse usare l’ingente patrimonio immobiliare per rappezzare i bilanci, con logiche da rendita fondiaria, attraverso fantasiose operazioni finanziarie (ad esempio con Scip 1, Scip 2, FIP). Probabilmente alcuni pensavano che tale crisi fosse passeggera e che la solidità dei valori immobiliari al passare della buriana avrebbe premiato. Sono cresciute professionalità e competenze economico-finanziarie che tuttavia oggi sopravvivono di una rendita assicurata loro dai discutibili valori di conferimento del patrimonio incamerato.
Nella terza fase, quella attuale, molti nodi vengono al pettine. Bisogna occuparsi dell’esaurimento del ciclo di vita fisico, economico e sociale degli investimenti e dei costi collegati. A pagare è l’attuale generazione che - già penalizzata dalla crisi economica - è costretta in mezzo a una selva di regole e vincoli a rispondere alle esigenze di nuove strutture e funzioni pubbliche, senza consumare suolo e rifunzionalizzando il patrimonio esistente.
Si deve oggi passare da una economia largamente basata sulla rendita fondiaria, a una economia basata su funzioni produttive. Anche nel settore immobiliare dove, dall’abitare, al lavorare, al tempo libero, saranno sempre di più i servizi a contare e a richiedere soluzioni più avanzate e sofisticate.
Dopo qualche anno di proclami consolatori su improbabili valori dello stock immobiliare, su possibili proventi annuali e su velleitarie “operazioni straordinarie” mi sembra che, almeno tra gli operatori, si sia capito che la funzione di valorizzazione deve operare a regime e non può essere considerata un’azione estemporanea per fronteggiare la crisi del sistema economico.
È altrettanto chiaro che il problema non è la carenza di strumenti, ma una utilizzazione di questi in termini virtuosi e non meramente speculativi. La mancanza di risorse pubbliche rende indispensabile la cooperazione tra pubblico e privato. Gli istituti della concessione, della finanza di progetto, il contratto di disponibilità e i fondi immobiliari, nelle loro varie articolazioni, serviranno sempre più da un lato a compensare la carenza di competenze e progettualità dei soggetti pubblici, dall’altro a realizzare la necessaria separazione tra funzioni di policy e di gestione
Limitate competenze e continue resistenze passive sostengono rendite di posizione maturate quando la finanza pubblica distribuiva risorse e premiava ruoli e schemi operativi che sono tramontati da tempo. L’armamentario di formule di partenariato pubblico-privato fatica non poco a farsi strada tra le pieghe dell’ordinamento amministrativo del nostro Paese, dato che la loro matrice è stata derivata dalla “common law” anglosassone, che favorisce organizzazioni orientate al risultato.
Rimane un dubbio: cambiare l’ordinamento o adattare gli strumenti al nostro sistema? Difficile dirlo. Noi come sistema associativo dei Comuni cerchiamo da tempo di creare un centro di competenze che sedimenti e analizzi le esperienze per favorirne la diffusione con i correttivi che, di volta in volta, si rendono necessari localmente.
Speriamo che questa fase favorisca la nascita di professionalità capaci di integrare competenze industriali, legate alla necessità di implementare funzioni produttive differenziate, sviluppando l’attitudine a creare valore nel tempo: la vera sfida della sostenibilità.
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Tommaso Dal Bosco è attualmente il responsabile dell’Area sviluppo urbano e territoriale dell’IFEL Istituto per la Finanza e l'Economia Locale - Fondazione ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani).