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L'associazionismo culturale: il convitato di pietra della riforma del Terzo Settore

  • Pubblicato il: 17/06/2017 - 16:24
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Stefano Consiglio, Marco D'Isanto

Alla luce della riforma del Terzo Settore, quale futuro si prospetta per la galassia delle associazioni culturali che svolgono un  ruolo cruciale per il tessuto sociale del nostro paese?. “Gruppi formati prevalentemente da giovani appassionati che sono riusciti a trasformare il loro amore per la cultura in progetti di recupero di siti culturali abbandonati, in scuole di musica e di teatro, in eventi e festival culturali.” Secondo Stefano Consiglio e Marco D’Isanto, la riforma del Terzo Settore, in approvazione in Parlamento, rischia di cancellare questa sorta di palestra per i nuovi imprenditori della cultura, destinate ad acquisire la qualifica di Associazioni di promozione sociale. Il sistema associativo italiano è pronto a questa riforma? Un commento che affronta i nodi: lavoro retribuito, affidamento dei beni, imposizioni fiscali e le sanzioni.
 


 

In Italia esiste una galassia di associazioni che svolge un ruolo cruciale sia sul fronte della produzione culturale che su quello dalla salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale. Si tratta di gruppi formati prevalentemente da giovani appassionati che sono riusciti a trasformare il loro amore per la cultura in progetti di recupero di siti culturali abbandonati, in scuole di musica e di teatro, in eventi e festival culturali. Queste iniziative sono nate tra mille difficoltà e ostacoli, grazie alla caparbietà e alla determinazione di tanti giovani che sono riusciti a trasformare la loro passione per la cultura e per la propria comunità nella loro occupazione.  Si tratta di iniziative in grado di identificare un modello di sostenibilità, che consente di retribuire il nucleo duro delle persone che operano a tempo pieno per lo sviluppo e il consolidamento dei progetti in questione. La presenza di un team di persone retribuite rappresenta, infatti, la precondizione per garantire la continuità, che i gruppi formati esclusivamente da volontari non sono in grado di assicurare.
 
Per tanti di questi ragazzi l'associazionismo culturale è stato uno strumento in grado di facilitare la loro sperimentazione e un modo per attivare processi. L'associazione ha rappresentato una formula snella, poco costosa che ha consentito a tanti appassionati di fare una prima esperienza verso la costruzione di un'impresa sociale culturale.

La riforma del Terzo Settore, in approvazione in Parlamento, rischia di cancellare questa sorta di palestra per i nuovi imprenditori della cultura.
Cinque sono i punti critici che meritano di essere sottolineati e su cui le associazioni attuali devono prestare grande attenzione:
1. l'utilizzo di lavoro retribuito;
2. le attività in convenzione con i soggetti pubblici;
3. le agevolazioni fiscali;
4. l'affidamento dei beni culturali;
5. le sanzioni ed i controlli.
 
1. L'utilizzo di lavoro retribuito
Le organizzazioni culturali di tipo associativo sono prevalentemente destinate ad acquisire la qualifica di Associazioni di promozione sociale (d’ora in avanti APS) ed è su questa figura che quindi concentreremo la nostra analisi.
L’art. 35 e 36 del codice del Terzo Settore prevede che tali enti devono  avvalersi  in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati e che il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati. Il legislatore esprime, quindi, chiaramente la volontà di restringere l’operatività delle APS al contributo volontaristico degli associati, limitando fortemente il ricorso a risorse remunerate siano esse associati o esterni.
 
2. Le attività in convenzione con i soggetti pubblici
Le amministrazioni pubbliche potranno sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi di interesse generale, ma tali convenzioni dovranno prevedere esclusivamente il rimborso alle organizzazioni di volontariato e alle APS delle spese effettivamente sostenute e documentate.
Nella sostanza le APS potranno operare in rapporto con la pubblica amministrazione con lo strumento delle convenzioni per l’espletamento di attività o servizi di interesse generale facendo ricorso prevalentemente al lavoro volontario e gratuito e le risorse economiche ottenute non potranno mai eccedere le spese effettivamente sostenute e documentate.
 
3. Le agevolazioni fiscali ed il rilievo commerciale delle attività
L'impatto della Riforma su questo fronte è molto rilevante, ma tra gli aspetti più importanti è necessario focalizzare l'attenzione su alcuni punti: i contributi pubblici sono non imponibili a condizione che le prestazioni di servizi a favore dell'utenza siano svolte gratuitamente ovvero dietro corrispettivi tali da coprire una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto degli apporti economici delle amministrazioni pubbliche. Si prevede la perdita della qualifica di ente non commerciale qualora i proventi derivanti dalle attività commerciali superano  le entrate derivanti da attività non commerciali e questo comporta  un irrigidimento importante della vecchia normativa.
Viene abrogato il vecchio regime forfettario previsto dalla legge 398/91 e per quanto alle APS sono riconosciuti benefici fiscali aggiuntivi c’è un peggioramento complessivo delle disposizioni tributarie. Tutta l’attività condotta nei confronti del pubblico, sia in virtù di contratti di fornitura di servizi culturali con le PA, sia per servizi condotti nei confronti del pubblico in generale assume rilievo commerciale.
Quello che non si è voluto recepire è che l’attività economica condotta in campo culturale, a prescindere dai destinatari e dalle modalità di effettuazione, avrebbe dovuto, fermo restando la natura commerciale delle attività e gli obblighi impositivi connessi,  avere un riconoscimento di attività conforme alle finalità istituzionali.
 
4. L'affidamento dei beni culturali
I beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, potranno essere dati in concessione a enti del Terzo Settore, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario. La concessione d'uso è finalizzata alla realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la  corretta conservazione, nonché l'apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione.
Ora ci chiediamo: se l’impianto normativo nel suo complesso limita la possibilità di remunerare le risorse umane degli enti e dall’altra rende difficoltosa la realizzazione di attività economiche, seppure conformi alle finalità istituzionali, in che modo gli enti associativi potrebbero da una parte assolvere gli oneri connessi alla concessione e dall’altra allestire un'attività necessariamente economica per la fruizione e la valorizzazione del bene?
 
5. Le sanzioni e i controlli
Il sistema dei controlli viene pesantemente inasprito. Oltre alla nomina degli organi di controllo viene prevista un’attività di controllo da parte del registro unico che si somma a quella esercitabile dall’Amministrazione finanziaria. In caso di disconoscimento della natura non lucrativa dell’ente, anche ad opera dell’amministrazione finanziaria, i rappresentanti legali sono suscettibili di sanzioni pecuniarie dai 5.000,00 euro ai 20.000,00 euro che si sommerebbero in caso di accertamento fiscali alle sanzioni tributarie. Inoltre gli enti sarebbero soggetti all’obbligo di devoluzione del patrimonio.
Dall'analisi congiunta di questi aspetti emerge con forza una domanda: ma il sistema associativo culturale italiano è pronto alle sfide della Riforma?  A questo proposito, Agostino Riitano, manager culturale, ci ha detto che "La maggior parte delle associazioni culturali con le quali ho discusso, non sono sintonizzate sul processo di cambiamento in corso, spesso non per carenza di volontà, ma per mancanza di informazioni. Temo che tanti spazi di produzione culturale, laboratori di sperimentazione dei linguaggi dell’arte, della comunicazione e delle pratiche democratiche, gestiti da associazioni, possano chiudere i battenti sotto il peso delle nuove incombenze introdotte dalla Riforma. Fondare un’associazione per tanti giovani, e non solo, rappresenta il primo livello di protagonismo sociale, soprattutto nei piccoli centri, dove le associazioni sono il luogo per l’autoformazione e la crescita collettiva. Nel corso degli anni ho assistito a tante trasformazioni di associazioni culturali in imprese, ma in tanti altri la vocazione all’impresa non è mai arrivata, e non per questo l’attività di queste ultime è stata inefficace e superflua".
 
Siamo ancora in tempo per fare in modo che la Riforma del Terzo Settore rappresenti una buona notizia per gli operatori culturali o corriamo il rischio che questo provvedimento faccia impodere la galassia dell'associazionismo culturale?
 
Stefano Consiglio -prof. Ordinario di Organizzazione Aziendale Università Federico II di Napoli
Marco D'Isanto - Dottore Commercialista – Esperto di fiscalità del Terzo Settore

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