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La MADRE di tutte le storie

  • Pubblicato il: 31/01/2014 - 21:54
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Pierpaolo Forte

Il Madre di Napoli ha vissuto un periodo di difficoltà con peculiarità tutte proprie, connesse alla sua genesi, al suo velocissimo posizionamento, alle personalità e le competenze di coloro che ne hanno retto le sorti, con la stagione (storica, politica, economica) in cui la sua giovane vita si è svolta, con il luogo ove sorge, con le soluzioni tecniche utilizzate per costituirlo e farlo funzionare, e con tante circostanze, più o meno concorrenti.
Concentrerei l’attenzione solo su alcuni di questi fenomeni, di rilievo esemplare.
Il museo è nato, nel 2005, per una mossa politico-istituzionale, non del tutto improvvisa, conseguente a una lunga stagione di fermenti in cui Napoli, a vario titolo è stata un singolare crocevia artistico internazionale. Dopo una breve esperienza di interventi pubblici nei primi anni del XXI secolo, la Regione Campania decise di aggiungere al tessuto esistente, fatto di alcune collezioni pubbliche, molte private, gallerie, centri di studio e documentazione, un museo regionale di arte contemporanea, affidando la gestione a una fondazione ad hoc totalmente controllata, la quale si serve di una società mista regionale per le attività operative (la Scabec SpA), la cui compagine privata, minoritaria, fu individuata con gara ad evidenza pubblica. Il Madre ha così funzionato con due fonti di alimentazione finanziaria: uno stanziamento sul bilancio regionale, e un più cospicuo intervento di fondi di origine europea, la cui somma consentì al Museo di arrivare ad utilizzare, al culmine della sua fase iniziale, un budget di poco inferiore ai dieci milioni di euro annui, oltre gli investimenti di tipo patrimoniale, che avevano consentito l’acquisto del palazzo dove ha sede, la ristrutturazione per renderlo un Museo, l’acquisizione di opere iniziali per una collezione. Il carattere politico ed interamente pubblico della sua genesi e del suo primo funzionamento, ha avuto un suo ruolo allorché nella primavera del 2010 si verificò - dopo un decennio – l’alternanza della maggioranza politica che regge il fondatore, nel pieno della crisi economica con le connesse esigenze di contenimento della spesa. Il Madre fece presto a diventare argomento di disputa politica e non molti si sottrassero al gioco delle parti in cui spesso si riduce il dibattito pubblico nel nostro Paese.
Pochi perciò fecero caso ai cambiamenti che, a metà del 2011, la Regione Campania operò sulla struttura della Fondazione Donnaregina: fu mutata la figura del Presidente (originariamente lo stesso Presidente della Giunta regionale o un assessore da lui delegato) che oggi deve essere un esperto; fu stabilita la regola del concorso internazionale ad evidenza pubblica per la selezione del direttore generale (che dirige anche il Museo) con un mandato quinquennale (in precedenza era stato individuato fiduciariamente e a tempo indeterminato); furono portati da tre a cinque i componenti del comitato scientifico; venne aperto l’accesso di privati nella compagine della Fondazione.
I nuovi organi dirigenti della Fondazione si insediarono, nell’autunno di quell’anno, in un museo allo stremo, con più di otto milioni di euro di debiti, il personale scoraggiato sul proprio futuro professionale, una fibrillazione politica ancora evidente – che ha contagiato anche diversi esperti - numerose richieste, diversamente motivate, di ritiro delle opere, casse vuote e nessuna programmazione per il futuro. I titoli dei media di quei mesi riflettevano con approccio spesso cronachistico la crisi, parlando di un Madre svuotato, chiuso, agonizzante, e molti, anche tra gli addetti ai lavori, si lasciarono andare a dichiarazioni di morte del Museo.
Nel frattempo, però, a Via Settembrini si lavorava duro, non solo per fronteggiare la difficilissima situazione, ma soprattutto per dare un’impostazione ed un futuro al Madre. Tra i tanti fili annodati, si è ritenuto di cominciare a tirarne alcuni: furono definiti obiettivi strategici, si cominciò ad affrontare la situazione debitoria con un articolato percorso tecnico di soluzione, si rivide l’organizzazione, tutta orientata sul pubblico, sulla ricaduta anche in termini sociali dell’azione del Museo e su nuovi metodi di funzionamento. Lo stanziamento di nuove risorse da parte della Regione consentì la ripartenza. In poche settimane fu pubblicato il bando per il nuovo direttore, nominato il nuovo comitato scientifico (generosamente gratuito) con alte personalità internazionali e la responsabilità di far da giuria nel concorso, e fu varato un programma-ponte di livello adeguato. Il concorso per il direttore del Madre si è rivelato un’esperienza notevole, forse un vero e proprio caso per la tecnica e le modalità utilizzate, tutt’altro che usuali nel mondo dell’arte, anche internazionale. I trentatré professionisti che, da tutto il mondo, hanno presentato la loro application hanno sottoposto alla giuria – oltre al curriculum – un progetto di intenti curatoriali, di contenuto artistico e culturale, ma anche quelli propriamente manageriali. Andrea Villani, poco meno che quarantenne, è stato nominato all’unanimità. Oggi il Madre è di nuovo in piedi, e siamo tutti al lavoro per farlo camminare bene.
Non è ancora tempo di bilanci, molte sono ancora le incertezze, il Museo non è ancora in salvo, né credo tocchi a me commentare l’impostazione, decisamente innovativa, che stiamo provando a dare al Museo, ma alcune indicazioni mi sono già chiare.
Un museo di matrice pubblica che si occupa di contemporaneo è gravido di rischi; la dinamica pulsante del confronto politico tende in ogni momento a riversarsi sulla sua attività, e non solo per le possibili interferenze, debite o indebite, ma per la natura che avvolge insieme politica ed arte contemporanea, esperienze umane che, quando non storicizzate, vivono spesso gli stessi fermenti.
Al Madre abbiamo potuto lavorare con pieno mandato, senza aver ricevuto pressioni dal Fondatore, che ha mantenuto gli impegni assunti in un momento così difficile. Senza questo presupposto non avremmo potuto, in un mondo dominato dalla comunicazione, sperare in altro. Fondamentale l'autorevolezza sostanziale: un mix di serietà, rigore, competenza, sobrietà che può trasmettere affidabilità e generare fiducia per costituire relazioni rilevanti in ambito culturale, e far funzionare il tutto anche con risorse notevolmente ridotte.
Lo sfondo è la chiarezza della missione. Quando un museo è pubblico il suo compito fondamentale è l’ampliamento della fruizione delle sue proposte culturali, che devono essere di qualità, ha una funzione sostanzialmente distributiva con finalità di uguaglianza e di giustizia sostanziale, con alte probabilità di utilità collettiva.
I decenni repubblicani che abbiamo alle spalle hanno concentrato le attenzioni prevalentemente nelle dimensioni economiche, trascurando quelle più profonde, di tipo culturale e sociale. Un museo dell’oggi deve provare a correggere questa stortura, ad immettere contenuti culturali per conseguire effetti di coesione, favorendo al pubblico più ampio possibile l'esperienza del contatto con tutto ciò che i prodotti culturali possono suscitare. Tutto quanto serve allo scopo (studiare, individuare, tutelare, spiegare, gestire, mostrare, rappresentare, ecc.), va considerato strumentale. Ed è su questo che oggi siamo protesi. Incrociando le dita, perché tanti rischi incombono ancora su questo fragile ma cruciale lavoro. www.madrenapoli.it


Pierpaolo Forte, Università degli studi del Sannio. DEMM - Dipartimento di Diritto Economia Management e Metodi Quantitativi. Presidente Museo Madre.

Dal XIII Rapporto Annuale Fondazioni, in Il Giornale dell'Arte, 338, gennaio 2014