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Il patrimonio culturale nel quadro della politica comunitaria di ricerca e innovazione

  • Pubblicato il: 28/08/2015 - 12:57
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Mattia Agnetti

Ad integrazione del forte e diffuso consenso per la tutela, la conservazione, il recupero, e la valorizzazione del patrimonio culturale, la Commissione europea intende sviluppare un quadro comunitario di riferimento per la ricerca e l’innovazione applicata al patrimonio culturale, quale fonte di crescita inclusiva e dinamica, che tragga spunto da nuovi modelli di business ed innovazione sociale per stimolare gli investimenti in questo settore. Un gruppo di esperti, coordinato dalla Direzione Generale per la Ricerca e l’Innovazione della Commissione europea, ha prodotto un Rapporto pubblicato nella primavera 2015. Ne scrive Mattia Agnetti, Segretario Organizzativo della Fondazione Musei Civici di Venezia, che ha contribuito ai lavori
 
 
 

Nel secolo scorso si è fortunatamente consolidato nei diversi paesi europei un forte e diffuso consenso in favore del recupero, della conservazione, della tutela e dello studio del patrimonio culturale che ha trovato a livello normativo quadri di riferimento certi e in alcuni casi, come in Italia, all’avanguardia. A livello comunitario la salvaguardia del patrimonio culturale è inserita nel Trattato sull’Unione europea[1].
 
Fonte vitale per i cittadini, quale elemento di richiamo alle tradizioni e alle conoscenze, nonché di indissolubile crescita culturale per ogni singolo individuo, il patrimonio culturale è oggi sempre più un fattore chiave per il potenziale vantaggio competitivo che l’Europa può avere sul resto del mondo ed un volano per una vera e propria crescita economica, sociale ed ambientale.
 
In termini prettamente economici tuttavia il patrimonio culturale è sostanzialmente sempre stato considerato un costo da sostenere per la società, un impegno finanziario per gli Stati e gli enti pubblici depositari di musei, collezioni, monumenti storici, siti archeologici, parchi e ambienti naturalistici. In qualche modo questo approccio ricorda l’oramai datato concetto di protezione ambientale, intesa quasi ed esclusivamente come onere e non come opportunità economica.
 
Così come per le politiche ambientali un grande balzo in avanti è stato compiuto a livello nazionale e comunitario con l’approvazione di quadri normativi che mirano a creare opportunità di sviluppo e business, allo stesso modo il patrimonio culturale è oggi finalmente considerato un propulsore positivo per la crescita del PIL europeo[2].
 
Il patrimonio culturale viene riconosciuto sempre più come priorità nel quadro delle riflessioni strategiche che l’Unione europea conduce nei vari settori di intervento e di sua competenza. L’approccio interdisciplinare e intersettoriale, già ampliamente sperimentato per altre politiche comunitarie, trova crescente impulso quando focus della riflessione diventa il patrimonio culturale, nel senso più ampio del termine. Trova altresì terreno fertile in ragione di esperienze maturate a livello di singoli stati membri che portano quindi un valore aggiunto quando la riflessione diventa comune ed europea. Gli stakeholders pubblici e privati che si confrontano e discutono nei diversi fora sono portatori di esperienze e casi studio di successo (ma anche di insuccesso) cruciali per la determinazione di linee d’azione comuni.
 
In tale contesto la Commissione europea intende sviluppare un quadro comunitario di riferimento per la ricerca e l’innovazione applicata al patrimonio culturale, quale fonte di crescita inclusiva e dinamica, che tragga spunto da nuovi modelli di business ed innovazione sociale per stimolare gli investimenti in questo settore. Tale proposito è stato integrato recentemente dal lavoro svolto da un gruppo di esperti che hanno operato nel quadro del Programma di lavoro 2014/2015 di Horizon 2020[3]. Il gruppo, coordinato dalla Direzione Generale per la Ricerca e l’Innovazione della Commissione europea, ha prodotto un Rapporto pubblicato nella primavera 2015.
 
Il Rapporto Getting cultural heritage to work for Europe[4] parte dal presupposto che il patrimonio culturale, quando valutato secondo un’ottica economica, genera un valore aggiunto diretto (ad esempio i siti culturali quali attrattori di turismo nazionale ed internazionale) ed ulteriori benefici produttivi (valore aggiunto indiretto), se viene approfondita anche tutta la filiera di settore (ad esempio il personale che opera nei siti, le maestranze coinvolte nelle attività manutentive, ecc)[5]. Considerazioni analoghe possono farsi per il patrimonio culturale intangibile quali la produzione cinematografica, il teatro, la danza, la musica, ecc.
 
Allo stesso tempo il patrimonio culturale è un pilastro per politiche inclusive in un contesto comunitario di sfide quotidiane e crescenti legate alla crisi sociale ed economica, alla disoccupazione, all’immigrazione. Gli effetti positivi di coesione sociale e sviluppo di benessere sono indicati anche nelle Conclusioni del Consiglio europeo sulla governance partecipativa del patrimonio culturale del dicembre 2014[6].
 
Non da ultimo il patrimonio culturale è strettamente correlato allo sviluppo sostenibile di siti urbani e rurali. Basti pensare da un lato agli interventi di rigenerazione urbana condotti nelle principali città europee e dall’altro all’incremento esponenziale della aree riconosciute a tutela ambientale nei diversi paesi europei.
 
Il Rapporto evidenzia quindi come l’uso innovativo del patrimonio culturale può certamente contribuire allo sviluppo economico, alla creazione di posti di lavoro, alla coesione sociale e alla sostenibilità ambientale.
 
Una agenda europea di innovazione e ricerca che debba contribuire a questi obiettivi non può prescindere dalle modalità organizzative, gestionali e finanziarie con cui progetti ed attività possono essere implementati.
 
A tale proposito viene evidenziato il rapporto pubblico/privato quale motore di iniziative, in un periodo di scarsità di risorse pubbliche. Il contributo privato alla gestione e alla valorizzazione del patrimonio culturale pubblico può avvenire applicando propri modelli organizzativi e di business. La normativa comunitaria e degli Stati membri a tale proposito è già avanzata e garantisce una base di intervento certa con istituti giuridici appropriati.
 
Un esempio è l’istituto giuridico della Fondazione che trova rilevanza in diversi paesi dell’Unione europea. In numerosi casi la sua applicazione ha evidenziato buoni risultati tanto in termini economico finanziari quanto quale elemento aggregatore di soggetti pubblici, proprietari del patrimonio, e soggetti privati portatori di know how, competenze tecniche e risorse.
 
Le esperienze maturate stanno dimostrando come questa possa essere una strada da percorrere. In Italia si è operato similmente, integrando le disposizioni del codice civile prima con il Codice dei Beni culturali del 2004[7] e più recentemente con l’importante riforma di organizzazione del Ministero dei beni culturali e del turismo[8] e, per il caso specifico del settore museale con il decreto relativo all’organizzazione e funzionamento dei musei statali[9]. Su queste basi può trovare nuovo impulso anche il partenariato pubblico/pubblico, ovverosia la possibilità di creare sinergie tra livelli istituzionali diversi (statale, regionale, comunale) coinvolti nella gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.
 
Ulteriore strumento da utilizzare, argomenta il Rapporto, è quello della leva fiscale tanto per stimolare e facilitare l’investimento privato quanto per alleggerire la gestione pubblica o comunque dei soggetti di diritto privato a rilevanza pubblica che gestiscono siti e patrimoni pubblici. A tale proposito vengono quindi suggerite azioni che mirano a defiscalizzare gli investimenti destinati alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio culturale e l’introduzione di una diversificazione mirata delle aliquote IVA applicate ai soggetti che operano nel settore.
 
Non meno importante è la sostenibilità finanziaria delle iniziative da intraprendere e quindi il coinvolgimento del settore bancario con la possibilità di agevolare i soggetti pubblici e privati per il tramite di schemi efficaci di finanziamento, prestiti agevolati, coinvolgimento diretto degli istituti bancari nei progetti. In molti casi l’esperienza ha dimostrato come il return on investment sia più che soddisfacente.
 
Nel quadro della finanza pubblica invece le indicazioni propendono per la predisposizione di programmi di finanziamento molto mirati (Funding schemes), legati a business plan certificati che possano garantire gli obiettivi di tutela e valorizzazione da un lato e di sviluppo e crescita dall’altro. Anche in questo settore di intervento come in altri a livello comunitario prevale il principio della concentrazione delle risorse da destinare.
 
Il Rapporto Getting cultural heritage to work for Europe evidenzia come le priorità di intervento e finanziamento che si dovranno attuare nel quadro della politica di ricerca e innovazione debbano comunque integrarsi con altri strumenti finanziari comunitari e nazionali, in particolare nel quadro della programmazione 2014/2020 dei Fondi strutturali e di investimento europei.
 
Secondo queste prospettive le raccomandazioni prevedono inoltre il finanziamento di progetti che possano svilupparsi sulla base di esperienze virtuose già operanti e sostenibili.
Si tratta sostanzialmente di continuare a testare quanto di buono è già in essere senza disperdere risorse (no need to reinvent the wheel). Partire dall’esistente per favorire il massimo utilizzo e valore aggiunto dato dal patrimonio culturale europeo anche focalizzando le azioni su piccoli e mirati investimenti che spesso garantiscono rilevante ritorno in termini economici e sociali.
 
In conclusione viene sottolineata la necessità di agire in modo intersettoriale, creando sinergie tra patrimonio culturale e politiche di ricerca e innovazione. Si tratta in sostanza di superare gli steccati e guardare ad uno scenario di crescita combinando al meglio tutte le risorse e le potenzialità che l’Europa ha a disposizione.
 
Mattia Agnetti è Segretario Organizzativo della Fondazione Musei Civici di Venezia e ha contribuito al seminario “Towards a new EU agenda for cultural heritage reserach and innovation” organizzato dalla Commisione europea a Bruxelles il 27.11.2014.

 

[1] Titolo XIII, Art. 167.2.

[2] Consiglio dell’Unione europea - Conclusioni sul  patrimonio culturale come risorsa strategica per  un’Europa sostenibile, 20.05.2014.

[3] Attività e criteri di selezione del gruppo di esperti sono disponibili: http://ec.europa.eu/trasnparency/regexpert/index.cfm?do=groupDetail.grou....

[4] www.bookshop.europa.eu.
 

[5] Il caso nazionale britannico è emblematico a tale riguardo – Oxford Economics (2013), The Economic Impact of the UK Heritage Tourism Economy.

[6] Consiglio dell’Unione europea - Conclusioni sulla governance partecipativa del patrimonio culturale, 23.12.2014.OJ (2014/C 463/01).

[7] Artt. 112 – 115, DL n° 42, 22.01.2014.

[8] Art. 34.2.p), Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n° 171, del 29.08.2014.

[9] Art. 5, Decreto ministeriale 23.12.2014.