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Il Crowdfunding come antidoto alla crisi

  • Pubblicato il: 03/05/2013 - 14:59
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Articolo a cura di: 
Chiara Tinonin

Se c'è un vero protagonista tra gli antidoti anticrisi, questo è il desiderio di coinvolgere le persone, in termini di cittadinanza attiva,    nei processi di condivisione della conoscenza e di generazione dell'innovazione. È la filosofia dell'«open source» e del «crowdsourcing», quei principi secondo cui la folla eterogenea degli utenti, posti in una condizione di parità nell'accesso alle informazioni, produce risultati migliori e in minor tempo rispetto ai singoli individui, che l'economista americano Scott E. Page ha descritto nel suo «The Difference: how the power of diversity creates better groups, firms, schools and societies» (2007). Dal «crowdsourcing» al «crowdfunding», il passo è stato breve. Vero leitmotiv del momento, il «crowdfunding» - letteralmente il finanziamento della folla - è esploso negli Stati Uniti agli albori della crisi finanziaria (un caso?), coniugando l’idea di crescita accelerata grazie all’attivazione dell’intelligenza collettiva e l'attitudine anglosassone di occuparsi della cosa pubblica con un intervento (pecuniario) privato diffuso.
L'obiettivo dichiarato del «crowdfunding» è raccogliere fondi sulla rete per garantire pluralismo nella produzione di idee e iniziative culturali che partono dalle arti, ma arrivano al design, ai viaggi, alle imprese impossibili, gratificando i finanziatori con testimonianze e reward della loro partecipazione al progetto. Apostolo del «crowdfunding» statunitense è Kickstarter, un vero e proprio colosso che, dall'apertura nel 2009, ha raccolto 574 milioni di dollari: 487 milioni effettivamente distribuiti, 63 milioni non distribuiti perché i progetti non sono riusciti a raggiungere il budget prefissato e 24 milioni attualmente in corso di destinazione. A titolo comparativo, solo per i progetti cinematografici Kickstarter ha raccolto nei suoi primi 4 anni di vita 100milioni di dollari: poca cosa se paragonati ai budget da capogiro dei blockbuster di Hollywood, ma una grande leva (per il cinema indipendente) se si pensa che il bilancio 2012 del National Endowment for the Arts, l’agenzia federale americana che finanzia progetti nelle arti, è stato di 146 milioni di dollari.
In Italia il «crowdfunding» è arrivato presto (la prima esperienza è stata «Produzioni dal Basso» lanciata nel gennaio del 2005), ma il vero anno di espansione è stato il 2011. A oggi le piattaforme attive sono 21, monitorate dall'Italian Crowdfunding Network, con 30mila progetti ricevuti, 9mila approvati e pubblicati, oltre 2.500 finanziati per 13milioni di euro complessivamente. Ciò che colpisce, però, è che il metodo del «crowdfunding» si sta espandendo con grande velocità anche in maniera autonoma, su progetti specifici, esulando dalle piattaforme preposte, per attivare la partecipazione dei membri di una comunità al progetto di crescita culturale e sociale del loro territorio. Per questo, le fondazioni sono in prima linea.

Il crowdfunding autonomo delle fondazioni

Sulla scia dell'esperienza del Louvre, con il programma di raccolta fondi «Tous Mecenas» con cui il museo ha acquistato «Le tre grazie» di Cranach, la Fondazione Torino Musei ha inaugurato il «crowdfunding» con Palazzo Madama. In occasione dei 150 anni del museo civico, il 4 giugno 2013 potremo ammirare il servizio da tè e caffè di porcellana di Meissen appartenuto a Massimo d’Azeglio e acquistato dal museo con la campagna di crowdfunding «Acquista un pezzo di Storia», appoggiato dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, che ha coinvolto oltre 800 finanziatori (che hanno donato tra i 2 e i 12mila euro) e raggiunto una cifra superiore agli 80mila euro, prezzo del servizio. Il successo non è casuale: deriva da una chiara strategia del museo che, dopo una lunga fase di analisi dei suoi visitatori, ha compreso che il 40% è un pubblico di ritorno, cioè affezionato, da coinvolgere - perché no? - anche nelle acquisizioni, che dai tagli imposti dalla crisi erano scomparse dall'agenda del museo. Negli stessi giorni, alla Biennale di Venezia, potremo sapere in quale misura la folla degli italiani abbia contribuito alla produzione delle opere dei 14 artisti di «vice versa», il Padiglione Italia curato da Bartolomeo Pietromarchi, che ha lanciato il crowdfunding per la sua mostra da 1milione di euro, finanziata dal Ministero per 600mila euro. Se dall'Arsenale ci spostiamo alla Fondazione Bevilacqua La Masa scopriamo che i curatori Cake Away e l'artista Martin Romeo sono due tra i residenti del 2013 ad aver scelto il crowdfunding per produrre i loro lavori. Tra le fondazioni di origine bancaria è in testa la Fondazione CRT che, con l'associazione «Donare per Crescere» (fondata nel 2011 dalla Fondazione e dal suo ente strumentale Fondazione Sviluppo e Crescita - CRT) nel 2012 ha sviluppato una piattaforma di crowdfunding per «sostenere progetti e iniziative proposte dal territorio e vicine alla vita quotidiana delle persone» negli ambiti dell'innovazione sociale e della cultura. Nel 2013 ogni progetto avrà un limite massimo di 7mila euro - con eccezioni - e si punta a realizzare almeno 7 progetti, raccogliendo almeno 150mila euro, condividendo con i cittadini una missione sociale collettiva.
Questi sono solo alcuni esempi capofila di quella che può essere una nuova modalità delle fondazioni per incentivare la partecipazione delle persone alla loro progettualità sociale e culturale, anche considerando che «esiste un gap da colmare del non profit italiano che da un lato ha abbracciato i social networks, facendone largo uso, dall’altro lato però è in ritardo per quanto riguarda l’utilizzo degli stessi per raccogliere donazioni e fondi»come afferma l’esperta di marketing digitale Paola Peretti a partire dall’ultima ricerca di Fondazione Soliditas «La comunicazione digitale del non profit: usi, rischi e opportunità». Secondo l’indagine, in Italia il Terzo Settore «ha familiarità con l’uso dei social network (solo il 19,5% del campione non li utilizza), ai quali chiede soprattutto visibilità (85,7%) e sensibilizzazione verso la propria causa sociale (69%) ma solo il 15,6% delle organizzazioni rispondenti ha dichiarato di utilizzare questi mezzi per ottenere fondi o donazioni a sostegno delle proprie attività». Eppure, solo «nel 2012 in Europa sono stati raccolti circa 300 milioni di euro (un terzo di quanto è stato raccolto a livello mondiale) considerando tutti i tipi di crowdfunding, e l’Italia la cui regolamentazione sta cambiando “in corsa”, deve cercare di recuperare terreno».

L'Italia che cambia in corsa

L’Italia, effettivamente, sta cambiando in corsa e, secondo «Forbes», sarà il primo Paese al mondo a varare una norma sull'«equity crowdfunding». Su indicazione del decreto legge Crescita bis, il 30 aprile 2013 la Consob concluderà le consultazioni pubbliche a partire dalle quali costruirà la regolamentazione di «attuazione della norma per favorire l’accesso al pubblico risparmio da parte delle start-up tramite il web» con l’obiettivo di «agevolare l’attività dei gestori dei portali online volti a sviluppare il crowdfunding e garantire ai piccoli risparmiatori che aderiscano alle iniziative di crowdfunding un livello di tutela sostanzialmente equivalente a quello assicurato alla clientela retail dagli intermediari autorizzati alla prestazione di servizi di investimento». Che significa trasparenza e informazione completa da parte dei gestori delle piattaforme di «crowdfunding» sui progetti promossi, per consentire alle persone di fare consapevoli scelte d’investimento e regolamentazione dei rapporti con le banche autorizzate a raccogliere gli ordini dagli investitori, con una parallela de-materializzazione dei flussi informativi relativi ad autorizzazioni e vigilanza per contenere i costi amministrativi delle transazioni. Claudio Bedino, vice presidente dell’associazione Italiana Crowdfunding Network, però avverte: «siamo in un momento molto delicato per lo sviluppo del crowdfunding nel nostro Paese. La legislazione sembra essere arrivata in anticipo rispetto alla formazione di un mercato pronto ad accoglierla. E’ sicuramente un bene conservare il primato europeo dell’Italia in questo senso e fare da esempio ad altri paesi che vorranno regolamentare il crowdfunding nel prossimo futuro, tuttavia bisogna agire per colmare il gap tra gli operatori e gli esperti del settore e la vera protagonista del fenomeno, ovvero la 'folla' di persone che propone e finanzia i progetti, incentivando così l’innovazione e favorendo uno sviluppo sostenibile e ‘partecipato’ del mercato».
Un’attività in cui le fondazioni, con il loro tipico radicamento territoriale, potrebbero fare da guida.

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