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Di chi è il patrimonio?

  • Pubblicato il: 16/05/2013 - 23:20
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CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Michele Dantini
La copertina del volume di Tomaso Montanari

Ci sono due modi per considerare «Le pietre e il popolo», l’ultimo libro di Tomaso Montanari (164 pp.,minimum fax, Roma 2013, € 12,00). Il primo e più semplice è il modo militante. Nato dalla rielaborazione di contestazioni puntuali apparse su quotidiani locali e nazionali, il volume, che trae il titolo da una poesia giovanile di Fortini, è uno strumento di battaglia, un pamphlet che dispiega (e combatte) il vasto sciocchezzaio delle politiche culturali in tema di patrimonio. Sorretto da una condivisibile intransigenza benecomunitaria, l’autore trova facili bersagli tra gli interpreti di posizioni commerciali. Tra i i teorici del patrimonio inteso come «petrolio d’Italia», risorsa «mineraria» disponibile allo sfruttamento quantitativo, troviamo Gianni De Michelis e (oggi) Matteo Renzi: quest’ultimo nel disagevole ruolo di idolo polemico. Montanari non perdona a Renzi l’ostilità alle soprintendenze, le campagne promozionali (la ricerca del «Leonardo perduto» o la costruzione della facciata di San Lorenzo), la riduzione della storia dell’arte a fiction o spy story archeologica. Non sono in gioco mere questioni di gusto, ma dimensioni civili e politiche. A chi appartiene il patrimonio? Quale il suo ruolo, quali le forme di «valorizzazione» adeguate al testo costituzionale? Siamo chiamati a tutelare, con l’eredità storico artistica e archeologica, professionalità a elevata specializzazione, ricerca e istruzione; oppure possiamo assecondare senza indugio la trasformazione del patrimonio in industria turistica o «indotto» e augurarsi (come già si è fatto) la nascita di uno, dieci, mille parchi a tema?
L’accesso delle generazioni più giovani alla conoscenza (e dunque alla cura) dell’eredità culturale è importante perché restituisce memoria genealogica e al tempo stesso suscita immaginazione di futuro: libertà di affrancamento dalle inevitabili ristrettezze di un’unica tradizione o delle sottoculture familiari. Non è in questione la riconsacrazione nostalgica di edificanti «radici» identitarie, «campanili» o «piccole patrie». La domanda invece diviene: qual è il modo attraverso cui le politiche del patrimonio possono contribuire a produrre innovazione sociale e culturale? La storia recente delle maggiori città d’arte italiane, osserva Montanari, è quella di una «mutazione» in apparenza irreversibile. I centri storici diventano involucri promozionali, perdono residenti e accolgono boutique. Piazze, caffè, teatri e altri luoghi di ritrovo cedono il posto a parcheggi e gallerie commerciali. L’industria culturale che si è sviluppata attorno al patrimonio è luogo di sottobosco politico-mediatico, oscuri appannaggi, concessioni dequalificate, «grandi mostre» scientificamente miserevoli e dannose per gli spostamenti inflitti a fragili opere. Con attività di inchiesta giornalistica Montanari ricostruisce le gravi responsabilità di ex ministri per i Beni culturali, da Ronchey a Paolucci, da Veltroni a Bondi, Galan e Ornaghi.
Il secondo modo per considerare «Le pietre e il popolo» è teorico. Ci piacerebbe indagare in modo più approfondito la nozione di «popolo», che risulta poco confortevole per l’eccessiva coesione e omogeneità sociale, culturale, etnica che presuppone. Siamo inoltre persuasi che il rapporto tra politiche dell’istruzione e politiche della cultura (considerate sotto il profilo del consumo culturale) debba essere costruito su piani più libertari: l’una cosa non è l’altra, con buona pace di giuristi e sacerdoti costituenti, anche se l’una e l’altra attraversano il museo e pretendono a vario titolo di modellarne le attività. Una società non prescrittiva, plurale e democratica, prospera a patto che i processi di trasmissione del sapere siano quanto più possibile qualificati e diffusi. Al tempo stesso riconosce il diritto alle opzioni dell’inappartenenza, del disinteresse, dell’aleatorietà e del distacco. «I live in a material World», cantava Madonna nel 1984. «And I’m a material Girl».

da Il Giornale dell'Arte numero 331, maggio 2013