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Dall’«immaginazione al potere» al «potere dell’immaginazione»

  • Pubblicato il: 22/04/2016 - 17:50
Autore/i: 
Rubrica: 
LA PAROLA AGLI ARTISTI
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe
Emilio Fantin, Dynamica,

«Può accadere che in una conversazione […] avvenga una sorta di miracolo: sentire all’unisono che qualcosa è penetrato in noi e ha fatto chiarezza». E’ quanto accaduto nel dialogo con Emilio Fantin. Una conversazione «Dynamica» in cui la parola si fa estetica, un continuo dispiegarsi e ricostruirsi della forma che attraversa campi e che, «camminando sui crinali dei saperi», ci accompagna verso un «equilibrio acrobatico» fatto di sogni e immaginazione. Un’epifania
 
 
 
 
«compito nostro sarà dunque rilevare la possibilità, e anzi la probabilità dell’effetto magico della parola, nella prospettiva di mostrarne anche l’effetto mistico»
[Pavel A. Florenskij, Il valore magico delle parola]
 
  
 
 
Svegliarsi presto al mattino e, con la faccia ancora un po’ stropicciata, trovarsi insieme ad altre persone alle luci dell’alba per raccontare i propri sogni. In uno stato tra in-coscienza e realtà, questo fu il mio primo incontro con Emilio Fantin. Lo rincontro dopo alcuni anni a Torino al PAV Parco Arte Vivente e, sempre in un contesto informale e laboratoriale, leggemmo Pavel Florenskij, prima di allora a me sconosciuto. Ad un senso di spaesamento e nebulosità iniziale, dopo aver decantato le emozioni, segue una sensazione, che è una consapevolezza. Rendersi conto che qualcosa è cambiato, «che qualcosa è penetrato in noi e ha fatto chiarezza». Per questo mi sento di essergli infinitamente grata e per questo è un grande piacere affidare alle sue riflessioni l'apertura di questo numero.
 
 
 
 
La tua ricerca si caratterizza per una costante sovversione dei concetti di produzione artistica e condivisione dell’opera introducendo nuove forme di creazione condivisa ed esperienziale (che va molto al di là dell’abusata partecipazione), formazione e educazione, fruizione dell’opera, rapporto tra spazio pubblico e privato. Un’idea «politica» dell’arte che non è demagogia ma esercizio di creatività e sensibilità attraverso l’immaginazione, tema che mi sta particolarmente a cuore.
Il politico è un imprenditore che deve imparare a giocare bene le sue carte se vuole avere successo. Così il sistema politico ha introiettato leggi proprie del mondo economico: un’idea aziendale del mondo, basato sulla produzione. Ma un nuovo paradigma sembra sorgere all’orizzonte: gestire e dirigere il flusso del danaro servendosi delle categorie politiche. Le leggi che governano tale anomalia sono trasparenti e indiscutibili. Ce le elencano ogni giorno i vari media: finanziarie, tagli, aumenti di capitale, risanamento delle banche, ecc. Attraverso queste decisioni «l’azienda» produce potere. La produzione di beni materiali sta per essere sostituita dalla produzione di potere.
Il denaro perde la sua potenza simbolica e il suo valore di scambio evapora. Il potere è il nuovo valore simbolico di scambio. Ma il potere è un valore astratto. Ricordo un vecchio motto degli autonomi, alla fine degli anni 70: l’immaginazione al potere. Possiamo dire che questo si è avverato ma non nel modo che speravamo. Immaginare (anche il potere) è un processo complesso dove ragione e logica hanno il compito di articolare un flusso che non sappiamo fermare, né collocare, del quale non siamo in grado di individuare l’origine. La capacità immaginativa ha a che fare con un'altra sapienza. Una sapienza che vede nel passato e nel futuro, che crea mondi e li distrugge. Una sapienza che è strumento delle forze che ci abitano. Non si tratta di arte, o meglio l’arte viene dopo, prima bisogna scegliere da che parte stare.
 
 
 
Proprio tu, che tanto lo rifuggi, sei forse la persona più indicata per uno sguardo sul sistema dell’arte contemporanea. Il mercato più di tutti ha compreso la potenza trasformativa dell’arte e se ne è appropriato, facendo del valore di scambio il principale meccanismo propulsore di una potenza che viene sempre più destituita della sua funzione sociale. Viene a mancare quel «Qualcosa che po[ssa] sfuggire ed insieme celebrare l'assurdo, la mancanza, l'assenza di uno scopo, di un fine»
Si tratta ancora del processo immaginativo. Se la sensibilità è l’intensità fine con cui intuiamo le cose, l’immaginazione ne è il prolungamento oltre le coordinate fisiche. Se questa sensibilità viene messa al servizio di quella parte di noi che riflette la nostra immagine interiore come deformata e se ne compiace, l’immaginazione si comporterà di conseguenza. L’origine del processo immaginativo non può che fondarsi sull’immagine stessa e non sul suo riflesso. Quello specchio si serve di condizioni esteriori per creare tale deformazione. Quando prima parlavo di come la politica abbia introiettato leggi proprie del mondo economico, intendevo questo. Così è per l’arte. Se nell’immaginario dell’artista le opere vengono «prodotte» e diventano «lavori», se le idee vengono «capitalizzate», se la «creatività» viene riciclata come brand, se si «investe» sui giovani «creativi», allora i miti, gli archetipi e le icone che dovrebbero alimentare la visione si inaridiscono, diventano smilzi e incartapecoriti.
 
 
 
Sempre più spesso si assiste a una ibridazione tra artisti e imprese, attraverso progettualità condivise e percorsi laboratori ali. Credi che l’arte possa contribuire a creare anche nuovi paradigmi economici?
Credo di non essere la persona più adatta per rispondere a questa domanda. Vedo che c’è un grande interesse per un nuovo rapporto con l’esistenza, sia che si parli di ambiente, di energie, di società o di pedagogia. C’è una forte spinta e circola anche denaro, per ora abbastanza svincolato da logiche mercantili. Gli artisti hanno maggiori opportunità di avere rapporti economici con entità giuridiche o culturali e rendersi indipendenti: questo influisce concettualmente anche sul significato delle opere che si giustificano attraverso un valore immateriale invece che come merce. Certo i rapporti economici non sono gli stessi, ma così si contribuisce a uno spostamento di senso. Speriamo non diventino paradigmi ma restino campi aperti.
 
 
 
Un eccesso di narcisismo solipsistico sembra accompagnare l’arte contemporanea oggi. Nonostante molti artisti adottino un approccio fortemente radicato nella società, ispiratrice e oggetto di interventi e pratiche, pare esserci uno scollamento tra arte e vita. E con questo non intendo un nostalgico ritorno alle provocazioni delle avanguardie dei primi del ‘900 ma la necessità di un pensiero sistemico e non dicotomico, capace di ibridarsi e contaminarsi con pratiche, saperi e metodi provenienti anche da campi lontani, attraversandoli. Attualmente lavori a una ricerca multi e cross disciplinare, oscillando tra arte e agricoltura biodinamica, arte e logica matematica, arte e architettura. Come procedi e quali processi vengono innescati?
L’arte può essere uno strumento di conoscenza. E intendiamo conoscenza non solo come approfondimento ma anche come rivelazione estetica, spregiudicata sospensione dell’empatia o della simpatia, forza vitale, passione e fulgore. Tutto ciò che tocca si agita, si rianima, riverbera. Assorbe in questo toccare, per la qualità osmotica del suo essere conoscente, il sapore della cosa che conosce. Non analizza le parti costituenti, la grammatica, ma coglie i processi e le metamorfosi. Ho scelto campi che sono pregni di mistero e di immaginazione: la terra per la sua organica vitalità, la logica per la sua drammatica esplorazione sulla soglia del pensabile, i sogni come dichiarazioni acausali della realtà, l’architettura, ovvero i modi del guardare.
 
 
 
Da sempre la tua ricerca muove verso nuove forme di condivisione del processo artistico in una dinamica laboratoriale in cui prioritario è l’«accadere» e sempre più spesso fuori dallo spazio solitamente deputato all’arte, il museo. Ma non solo, il tuo lavoro si situa ai margini, territoriali – fuori dai grandi centri dell’arte – e disciplinari. Penso a Dynamica, l’ ateneo dinamico, che ha in sé l’itineranza, il nomadismo e lo sconfinamento
Dynamica viene intesa come continua ricostituzione di forma. Nella dinamica dei fluidi, un liquido scorre alla ricerca di una forma, per raccogliersi in anse e tornare a scorrere. La parola dinamica si può interpretare come il processo stesso del prendere forma. Questo non solo dal punto di vista di un nomadismo geografico ma come prassi di studio. La ricerca di un equilibrio acrobatico, camminando sui crinali dei saperi, ci ha spinto a indagare personaggi non iscrivibili in categorie predefinite e ad affrontare concetti non ortodossi. Abbiamo lavorato su Wolfgang Paul, tra fisica quantistica e coscienza, su Demetrio Stratos la cui ricerca giocava tra bassa e alta cultura musicale, su Simon Weil, la cui avventura politica si è trasformata in misticismo per concludersi con una morte lenta, o come diceva lei, per decreazione.
Questo è accaduto accomodandosi in divani e poltrone all’interno di un appartamento; attraversando le montagne svizzere in treno, tra Milano e Zurigo, oppure facendosi dondolare dallo sciabordio nella nave che collega Arona con Ascona, all’interno del progetto ArTransit; alla Casa dell’Angelo del quartiere Santo Stefano di Bologna, nei centri culturali o per l’arte contemporanea come Barnum e Nosadella2 di Bologna o il PAV di Torino.
 
 
 
Una nota personale. Come ti ho raccontato, l’incontro con te – insieme a quello con Artway of Thinking e Cesare Pietroiusti – ha profondamente influenzato la mia visione dell’arte e la modalità di fare ricerca. Eravamo una ventina di persone alla Ginestra Fabbrica della Conoscenza, ci alzammo prestissimo e raccontammo i nostri sogni. Da allora sono nati legami e relazioni che resistono al tempo. Quale è la connessione tra arte e sogno e realtà?
 
We are such stuff /As dreams are made on
and our little life / Is rounded with a sleep. [1]
William Shakespeare.
 
Questo esclama Prospero, nella Tempesta. Spesso «stuff» viene tradotto con materia (come in nota). Le cose sono due: o chi ha tradotto ha un concetto di materia assai poco materiale oppure ha un concetto di sogno assai poco onirico. Sta di fatto che stuff (roba) è paradossalmente più astratto ma anche, nel significato corrente italiano, quasi più «materiale» di materia. Questo gioco di significati mi diverte molto, perché rivela che anche i sogni sono sottoposti alle leggi del linguaggio. Per essere espressi devono essere detti e per essere detti devono piegarsi alla lingua. Rimane aperta però la questione: se la lingua rende percepibile anche quello che non è connesso alla nostra coscienza attraverso la ragione, ciò che anima i nostri discorsi, le nostre relazioni, le nostre vite, è espressione di una condizione a-temporale e a-spaziale? Ecco spiegata la frase di Shakespeare. Un drammaturgo, un musicista, un pittore possono cogliere questo mistero: roba da artisti.
 
 
 

«In principio era il Verbo» (Giov. 1:1-3) recita il primo libro della Bibbia. La parola 'Logos' è termine suscettibile di molteplici interpretazioni e oggetto delle tue ultime riflessioni. Quale la sua relazione con l’esperienza dell’arte?
Può accadere che in una conversazione a più persone avvenga una sorta di miracolo: sentire all’unisono che qualcosa è penetrato in noi e ha fatto chiarezza. Un sentimento di empatia e grande soddisfazione. Una svolta sorprendente, una scoperta. Non è un momento casuale questo. Nasce solo quando viene messa in campo una grande attenzione, sensibilità forza e spregiudicatezza. Non è per nulla facile raggiungerlo, ci vuole tempo e esperienza. È l’arte della conversazione. Partecipare a un tale evento significa riconoscerne la bellezza. È ciò che io chiamo l’estetica del processo. Il processo si valuta esteticamente attraverso le sue fasi, i contrappunti, la forma, i volumi, le direzioni, le assenze, gli imprevisti e gli errori. Esso si manifesta interiormente come qualcosa che lentamente si libera fino a culminare in una epifania. Se dovessi spiegare che cosa sia il riflesso del logos, l’abbaglio della sua potenza, direi che è questo momento.
 
 
 
A che cosa serve l’arte oggi e quale la posizione dell’artista rispetto ai mutamenti geopolitici?
Abbiamo visto come i terroristi attaccano monumenti e distruggono capolavori. Dove arriva la violenza non c’è spazio per l’arte. Ma potremo anche dire, osservando bene questo nostro mondo che, lontano dai siti archeologici mediorientali o mediterranei, lì dove le metropoli occidentali esprimono la loro anima, l’arte trasuda violenza. Violenza nel modo di asserire il bello e di compiacersi di una grazia deteriorata. Possiamo stare a casa propria, così come raggiungere luoghi lontani, ciò che conta è prendere posizione contro la violenza. Non deve servire anche a questo l’arte?
 
 
 
I tuoi compagni di viaggio in molte avventure sono Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti, chi i tuoi maestri e i tuoi punti di riferimento, artistici e letterari?
Sono grato agli amici che hai citato, a cui si è aggiunto anche Luigi Presicce, per avere ognuno di loro, saputo lasciare spazio e permettere la nascita di un vuoto da riempire o, a volte anche, lasciare intatto. Questo vuoto, nato dallo scalfire narciso e dal mantenere il fuoco dell’amicizia, credo sia il nostro maestro, o per lo meno uno dei nostri maestri. Ho incontrato fisicamente e intellettualmente autori, artisti, scienziati, persone comuni che mi hanno insegnato cose diverse: non riesco a fare una graduatoria. Le piante e le montagne sono punti di riferimento costanti: il loro insegnamento è sempre presente, anche quando sono attorniato dalla tecnologia, che pur ha qualcosa da insegnare.
 
 

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Emilio Fantin pone le condizioni per un confronto dialettico tra discipline diverse, dalla logica matematica, all’agricoltura, al mondo dei sogni.  Crea spazi e situazioni in cui invita a condividere l’area non geografica del sonno e del sogno, un’area in cui si generano intense dinamiche di scambio, intendendo mostrare ciò  chiama “l’aspetto sociale dei sogni”, alla ricerca di quei legami speciali e nascosti che animano la vita di una comunità. Appassionato di biodinamica, indaga le relazioni tra piante, terra e altre forme di vita, mettendo in atto processi artistici che ne manifestano il carattere estetico. Le sue incursioni nel campo della logica intendono illuminare il confine tra ragione e intuizione, terreno fertile per immaginari sorprendenti. Delle sue ricerche, Emilio Fantin cura in particolare l’aspetto pedagogico; pone grande attenzione al dialogo che si esprime come Arte della Conversazione e al concetto di  Comunità Invisibile,  dove gli aspetti poetici e evocativi del vivere sociale diventano pratica quotidiana.

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[1] Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita è circondata dal sonno, La Tempesta, William Shakespeare,