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Cosa ho imparato da Artlab16?

  • Pubblicato il: 04/10/2016 - 07:26
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Ilaria d’Auria

ARTLAB2016. Ilaria d’Auria, una giovane progettista culturale che vive a Bruxelles si è dedicata giornate di ascolto, di apprendimento al recente festival delle politiche culturali che si è svolto a Mantova, con la partecipazione di policy makers ed operatori. Ci restituisce le sue impressioni a caldo: come dice Silvia Costa “non è una risorsa inesauribile: se non si pratica, non si rigenera

Sono state giornate intense e indimenticabili che ancora oggi, nonostante il ritorno a Bruxelles, continuano ad animare i miei pensieri. Ringrazio gli amici della Fondazione Fitzcarraldo per insistere caparbiamente nell'organizzare questa piattaforma, unica e indipendente, che favorisce lo scambio sull’innovazione delle pratiche e delle politiche legate all’arte e alla cultura, attraverso il dialogo tra gli stakeholder dell’ecosistema creativo e culturale.

Cosa ho imparato ad #Artlab16?
Che la sfera culturale ha anticipato - e non di poco - le politiche europee in materia di accoglienza, dialogo, e cosiddetta inclusione sociale. Penso alle esperienze di Suq Genova, del Teatro delle Albe e in generale del teatro sociale di comunità che attraverso la pratica quotidiana fatta di tentativi ed errori sono riusciti a scrivere pagine toccanti di umanità che hanno generato significato e bellezza li dove spesso sembra ci sia solo spazio per paura ed ostilità.
Che esistono dei Sindaci con una visione, saldamente ancorata in una conoscenza trasversale del contemporaneo, che uniscono le attività di manutenzione ordinaria della città con quelle più strategiche e innovative - risultato di una ragionata consapevolezza che oramai le aree urbane si posizionano all'interno di logiche globali che fan competere Milano con Berlino e Londra, e non con Roma e Torino.
Che per incidere sulle politiche (culturali, ma non solo) in fase ascendente, bisogna avere due piedi (e anche una testa) a Bruxelles. Non basta fregiarsi dell'aggettivo europeo per avere un impatto oltre i confini del proprio orticello. Nelle istituzioni europee di riferimento, ci sono persone di grande valore che ci rappresentano e ci chiedono di ricevere input, idee e proposte concrete per migliorare ed influenzare le politiche europee prima che esse vengano approvate e poi tradotte a livello nazionale. Spesso ci si dimentica di – o non si vuole affrontare – questa possibilità, limitandoci ad accusare "Bruxelles" di imporci leggi dall'alto lontane dai nostri bisogni reali.
Che le Città sono un laboratorio ideale per sperimentare nuovi percorsi di condivisione, coabitazione, commistione di pratiche e di politiche che migliorano la qualità della vita. Questo mi fa credere sempre più in un'Europa dei Sindaci, in cui i primi cittadini particolarmente vicini ai bisogni delle propria comunità territoriali danno il loro prezioso contributo alla declinazione locale delle agende tematiche europee (in particolare modo sui migranti, le New Skills, la transizione digitale,...). In questo, l'Urban Agenda europea - fortemente voluta da Eurocities - è un esempio maestro di come le forze locali possono mettersi insieme per dare voce a una dimensione più locale li dove troppo spesso lo Stato Membro rimane l’unica interfaccia. Non ci vuole meno Europa, ma una declinazione più locale dell’Europa.
Che le tecnologie dello spazio, e in particolare l'Osservazione della terra, sono entrate nel dibattito culturale a pieno titolo grazie alla strategia per la diplomazia culturale portata avanti da Federica Mogherini, e che l'utilizzo pacifico dei dati satellitari per la tutela e la valorizzazione del patrimonio materiale riapre un fronte forse un po’ tralasciato dall’accordo tra l’Agenzia Spaziale Europea e l’UNESCO che può essere inoltre di grande ispirazioni per gli artisti. Copernicus, il sistema spaziale europeo di osservazione della terra, è l’infrastruttura europea per eccellenza, fatta di costellazioni satellitari di proprietà comunitaria e non dei singoli Stati Membri. Non mi risulta che ce ne siano altre simili.
Che le Fondazioni bancarie possono riposizionarsi andando verso una filantropia più partecipata, in cui gli utenti finali sono coinvolti già nella fase di ideazione del bando, passando dalla logica della donazione a quella dell'investimento e dalla reattività alla strategia.
Che la cultura, come dice Silvia Costa, non è una risorsa inesauribile. Se non si pratica, non si rigenera.
Che esiste una realtà come quella del Cartastorie, il Museo dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, che contiene un patrimonio di storie e di personaggi custodito nelle scritture degli antichi banchi pubblici napoletani lungo circa ottanta chilometri di scaffalature con oltre diciassette milioni di nomi, centinaia di migliaia di pagamenti e dettagliate causali che ricostruiscono un affresco vivo di Napoli e di tutto il Mezzogiorno, dal 1573 sino ai giorni nostri. Un tesoro di memorie lungo 450 anni. E che questo dispositivo sta progressivamente diventando non solo scenografia per reading, rappresentazioni teatrali e degustazioni eno-gastronomiche, ma anche materia prima di cui nutrire la ricerca artistica e numerosi esercizi creativi.
Che è possibile, ma anche auspicabile, che gli artisti, gli operatori culturali, i policy makers, i ricercatori e tutti coloro che da vicino o da lontano credono che l'arte e la cultura possano cambiare lo stato delle cose - dalle strade delle nostre città, al nostro modo di vedere il mondo e di pensarne il futuro - realizzino che condividiamo una responsabilità collettiva che diventa ancora più grave in questo cupo periodo di rigurgiti nazionalistici e ripieghi identitari. E che, come dice Ugo Bacchella, o ci si soddisfa di rimanere degli "splendidi marginali" oppure diventa necessario uscire da esperienze come #Artlab16 con delle linee guida concrete per agire oltre i confini della sfera culturale e dimostrare che l'arte non è un bell'accessorio ma può realmente contribuire ad allungare la vita, a spegnere la paura, a vivere in luoghi più belli, ad essere più motivati e sentirci più coesi.
Questo ed altro, ho imparato - e riscoperto - ad #Artlab16. E ne sono profondamente toccata perché dopo essermene andata dall'Italia, mio malgrado, realizzo che ciò che è stato profilato durante queste giornate mantovane è possibile, ed è possibile in Italia. Non è solo una bella utopia condivisa da una manciata di sognatori. E realtà, confermata dal racconto di ciò che migliaia di persone fanno, giorno dopo giorno, contribuendo affinché significato e bellezza siano un po’ più presenti in questo mondo insensato.

Ilaria d’Auria Sociologa di formazione, è stata attivista nell’Associazione culturale Matera 2019 che ha lanciato la candidatura della città a Capitale europea della Cultura nel 2019. Ha collaborato con il Comitato Matera 2019 e ha fatto parte del team della direzione artistica che ha sviluppato il programma culturale del dossier. Vive e lavora a Bruxelles, occupandosi sempre di politiche europee nel settore delle tecnologie spaziali. Aspira a tornare ad operare per, con e nel settore artistico e culturale.