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Con Manifesta forse aiutiamo a guardare Palermo in modo diverso

  • Pubblicato il: 15/06/2018 - 13:00
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Micaela Deiana, da Il Giornale dell'Arte n 387, giugno 2018
Per Hedwig Fijen la città è lo specchio delle tensioni che dividono l’Europa: cambiamenti climatici, immigrazione, crisi economica. La speranza è che l’arte possa proporre alternative.
Palermo. Olandese, storica dell’arte, laureata ad Amsterdam, Hedwig Fijen è la fondatrice di Manifesta, la biennale itinerante di arte contemporanea europea nata a Rotterdam nel 1993. È anche la direttrice della 12ma edizione, che si svolge a Palermo dal 16 giugno al 4 novembre. Ai lettori del «Vedere in Sicilia e dintorni», Hedwig Fijen racconta il suo incontro con i luoghi, gli artisti e gli abitanti della regione.

Conosceva già la Sicilia?
Ho iniziato a lavorare a Manifesta 12 nella primavera del 2012. Ero stata invitata a Palermo come consulente internazionale per lo sviluppo del gruppo Capitale Europea della Cultura e ho potuto trascorrere del tempo con studiosi locali e professionisti dell’arte. Ero già stata in Sicilia negli anni Novanta, quando ero rimasta colpita dai problemi e dalle contraddizioni presenti a livello sociale, politico, economico e anche ecologico. L’ecologia della città di Palermo ha sofferto molto sia della disoccupazione sia della mafia, sia della crisi economica e governativa. Ho subito pensato che la città di Palermo potesse funzionare come metafora delle crisi globali che stiamo affrontando in Europa, legate ai cambiamenti climatici, alla migrazione dei rifugiati, al traffico illegale di uomini e di stupefacenti. Qui si toccano con mano le contraddizioni scaturite dalle continue tensioni tra Nord e Sud Europa e quelle derivate dai conflitti bellici che crescono nel mondo. Alla luce di tutti questi temi complessi, incarnati in modo così autentico dalla città, ho ripensato la metodologia di Manifesta, non più iniziando dall’invitare dei curatori a lavorare in città, ma affidando la ricerca preliminare alla biennale allo studio di architettura di Rotterdam OMA, in modo da far nascere prospettive e soluzioni per il futuro della città grazie all’analisi di ciò che nella città è già presente e che già opera per il suo cambiamento.

Che impressione ha avuto del centro storico di Palermo?
Mi ha colpito che non sia mai stato sottoposto a molti interventi architettonici. Non è stato mai veramente ricostruito. È il simbolo della rinuncia a intervenire, della rassegnazione umana. Sembra che i cittadini non siano più interessati a prendersene cura e facciano in modo che gli eventi seguano il loro corso. La storia profondamente stratificata e intensissima della città è un terreno fertile per la mappatura di moltissime pratiche culturali. Manifesta ha sempre scelto luoghi distanti da quelli considerati i centri delle pratiche artistiche contemporanee. L’idea di pensare a Palermo come città globale, come un crocevia di tre continenti, mi è sembrata vincente, anche e soprattutto per analizzare sul campo molte crisi del nostro tempo.

Qual è il luogo simbolo della città?
Tra tutte le sedi che ho visitato nel momento in cui l’architetto Ippolito Pestellini Laparelli (mediatore creativo di Manifesta, Ndr) e i suoi colleghi di OMA sono arrivati in città, quella che mi ha colpito di più è l’Orto Botanico. La straordinaria e complessa diversità delle specie naturali presenti a Palermo è una metafora di quella degli esseri umani e dei beni culturali che transitano qui da millenni. Inoltre, ho sempre avuto un debole per i Quattro Canti, che per secoli è stato il centro propulsore, legale ed economico della città, mentre oggi è quasi non luogo, se non fosse per il crescente settore del turismo che ne fa una meta di visita da non perdere.

Su quali presupposti si è basato il suo dialogo con la città?
Chi possiede la città e ne guida la trasformazione? Questa è la domanda fondamentale a cui cerchiamo di rispondere attraverso pratiche artistiche, interventi di attivismo politico e installazioni volte a pensare e a guardare la città in modo diverso. A Manifesta cerchiamo di proporre un approccio inclusivo ed ecologico basato sulla molteplicità. Non vogliamo mai concentrare la ricerca su una sola tematica. In questo momento storico in particolare mi è parso fondamentale monitorare le questioni ecologiche che hanno un impatto diretto sul modo in cui organizziamo la nostra vita in città. Abbiamo potuto contare sull’aiuto e la collaborazione di molte persone, non solo artisti di Palermo. La ricerca condotta per il «Palermo Atlas» ci ha permesso di entrare a contatto con le diverse realtà cittadine. Abbiamo avuto modo di scansionare la città tramite ricerche scientifiche e con la raccolta di storie tratte da una varietà di fonti formali e informali. Abbiamo portato avanti Manifesta con un approccio olistico, espresso anche attraverso l’uso di vari mezzi d’indagine.

L’arte contemporanea può cambiare una città tanto carica di storia?
Quando dobbiamo trovare una nuova città per Manifesta, le domande fondamentali che ci poniamo sono due. Qual è la tematica più urgente in questo preciso momento storico? Quale città può funzionare come lente d’ingrandimento per l’analisi di questa tematica e per lo sviluppo di strumenti per le comunità che abitano in un determinato territorio? In alcune città, come Palermo, non ha senso realizzare una biennale come somma di singole mostre. Abbiamo invitato gli artisti a sviluppare proposte con i cittadini e le associazioni locali, per immaginarsi e progettare usi diversi dello spazio pubblico. Inoltre, per ogni edizione, Manifesta propone un programma educativo molto intenso e site specific. Si sviluppa di pari passo con le opere e i progetti della biennale. Ci auguriamo che le organizzazioni e gli operatori locali possano sviluppare ulteriormente i rapporti e le indagini avviate con Manifesta e che questi rapporti e indagini aiutino a rispondere alle urgenze già identificate per il prossimo futuro.

Com’è stato rapportarsi e collaborare con le autorità locali?
Manifesta 12 ha sempre avuto un ruolo autonomo sia nella progettazione sia nello sviluppo del progetto. Ovviamente abbiamo dovuto fare i conti con limiti logistici ed economici, come capita anche in altri luoghi. I curatori hanno ricevuto supporto dalle autorità cittadine per affrontare questioni particolarmente complesse e per poter condurre le loro indagini critiche su temi delicati come i diritti umani, l’immigrazione e la diseguaglianza economica che governa la relazione tra Nord e Sud. Speriamo di poter portare avanti uno studio sull’impatto degli effetti sociali, economici e d’attualità dei progetti di Manifesta 12 dopo che la biennale sarà terminata; magari fino a due anni dopo la sua fine per identificare l’impatto che un tale evento può avere sull’energia della città. Parafrasando Rasheed Araeen: solo quando le persone sono in grado di utilizzare le proprie potenzialità creative, potenzialità che possono solo essere valorizzate da un’immaginazione artistica, si verificherà il cambiamento. L’arte può e dovrebbe sforzarsi di proporre un’alternativa che non si riduca a un’affermazione estetica, ma che sia realmente benefica per tutte le forme di vita.
 

Micaela Deiana, da Il Giornale dell'Arte numero 387, giugno 2018